
Ne ucciderà più la lentezza del terremoto

Tratto dal numero di Tempi di settembre
Scrivere del terremoto del 2016 in Umbria e nelle Marche è per me sempre più difficile. Mi sono fermamente convinto che la cosa più utile e più eloquente sia invitare le persone a recarsi nella montagna ascolana, maceratese e umbra, svalicando da parte a parte i monti Sibillini, per vedere; per “toccare con mano”; per parlare direttamente con le persone; per tentare di capire; per raccogliere e condividere il disagio esperito. Ho già scritto che molti nostri connazionali terremotati sono “eroi italiani”, modelli da raccontare per plasmare, in un’epoca di smidollati, i giovani italiani. Pur soffocati dalla burocrazia, infatti, alcuni tra loro cercano di resistere e di reinventarsi.
Quello di cui mi sono convinto, con grande amarezza, è che ci troviamo di fronte a un grande, ennesimo fallimento della politica italiana. Ma anche della cultura, dell’informazione e del nostro senso e amor patrio. I terremotati ne sono perfettamente consci: direttamente feriti e ampiamente dimenticati. Per loro ho visto ben poche manifestazioni nelle grandi città da parte delle “anime belle”.
Sorgono molte domande, a cui è difficile rispondere. In molti – responsabili direttamente in questi due difficili anni del logorio, della disinformazione e dei ritardi – cercano di rispondere negando le domande e le problematicità reali concrete. Altri soggetti politici, inevitabilmente, cavalcano il diffuso malcontento e le domande ineluse in maniera urlata. Si potrà forse non concordare con quest’ultimi, ma non si può certo fargliene un rimprovero.
E tuttavia mi chiedo perché, in una zona d’Italia colma d’arte, dal pre-romanico al tardo-gotico italiano, dalla pittura di Paolo da Visso all’opera di Lorenzo Lotto, si stia procedendo con una lentezza estenuante, ben sapendo che la sopravvivenza delle località rurali montane, in cui questo eccezionale patrimonio si trova diffuso, dipende primariamente dal “fattore tempo”: prima cioè che il tessuto sociale, già provato, si dissolva e i non molti giovani autoctoni scelgano percorsi e opportunità di vita lontani dai borghi natii, cosa più facile, più allettante (almeno apparentemente) e meno dispendiosa.
Mi chiedo perché l’infinita quantità di chiese, pievi, santuari, edifici antichi di numerosi secoli, che è stata profondamente lesionata, non sia stata vagliata per predisporre una cernita essenziale dei beni religiosi obbligatoriamente da salvare, facendo sì che ogni diocesi italiana ne adotti uno. Sarebbe un’occasione per legare le comunità e cementare il senso di appartenenza e corresponsabilità di tutta la nazione. Questo stupisce, anche perché il presidente della Cei è il vescovo di Perugia, che ben conosce queste zone e la loro straordinaria bellezza e ricchezza. E stupisce ancor più, pensando che queste terre sono legate – almeno a livello culturale, che è quello condivisibile da chi non è cristiano cattolico – a Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi!
Donazioni di privati
Quanto detto è valido ancor più a livello politico e amministrativo. Non pochi piccoli centri avrebbero potuto gemellarsi con altri comuni italiani, che avrebbero potuto così concorrere alla ricostruzione e alla salvaguardia del patrimonio nazionale e umano: dal Friuli-Venezia Giulia, al Trentino Alto Adige, al Veneto, alla Lombardia. Non si tratta unicamente di preservare il passato, si tratta – come forse non si è ancora sufficientemente compreso – di salvare il futuro e di consegnare questo scrigno d’Italia ai posteri, come è nostro preciso diritto e dovere. Dove c’è stato – caso raro! – un inizio di ricostruzione di edifici pubblici nei piccoli centri montani e collinari terremotati per lo più si è trattato di donazioni offerte da altri comuni, province o privati. Lo Stato centrale, cioè, ancora latita.
È evidente che il cratere è enorme e che parlare di ricostruzione e di salvaguardia dei beni artistici e naturali sia un’impresa più che ardua. È facile, cioè, puntare il dito e inveire. Se questo è vero, è però altrettanto vero che il “fattore tempo” è una delle variabili ineludibili all’interno di questa sfida che la natura ha imposto non esclusivamente ai terremotati, ma a tutti gli italiani. Troppi idealisti si dimenticano che le regioni ferite da sismi negli ultimi dieci anni sono ben sei: Abruzzo, Emilia Romagna, Umbria, Lazio, Marche e Molise, con tutte le conseguenze economiche e i drammi esistenziali.
Una richiesta a Mattarella
Tre proposte pratiche ho raccolto, che ripropongo al lettore perché se ne faccia a sua volta carico. La prima, dato che la beltà dei luoghi è rimasta illesa, è che riprenda il turismo di tutti gli italiani in queste parti d’Italia: un turismo che voglia comprendere quel che è successo e succede qui e che merita tutta la nostra attenzione e condivisione. La seconda è che per il prossimo anno il Giro d’Italia e la benemerita Mille Miglia, passino per queste terre: da Norcia a Castelluccio, da Visso a Pievebovigliana e Pieve Torina, sino a Camerino e alla costa. Questo obbligherà al serio rifacimento delle principali strade, sarà un volano economico e porterà l’attenzione del mondo sul dramma dei nostri connazionali.
Al riguardo, tutti possiamo scrivere e fare pressioni e petizioni in vario modo. Infine, la preghiera è che il presidente della Repubblica, dinanzi a questo fallimento delle istituzioni, ospiti presso il Quirinale, la “casa degli italiani”, i manoscritti di Leopardi, custoditi, sino a prima del terremoto, presso il Museo diocesano di Visso. Che il lascito del poeta della nazione, nella lingua della nazione, dia testimonianza della rovina e dell’auspicato risorgimento di una splendida parte dell’Italia più vera, sì che le visite ai suoi manoscritti da parte di migliaia di italiani possano finanziarne quanto prima il ritorno a casa.
Foto Ansa
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