
NE’ STRUZZI, NE’ IENE: VOGLIAMO LE API
Un nostro amico mi scrive: «è ormai da alcuni mesi che mi reco regolarmente a Baghdad dove sto per una decina di giorni ad implementare il progetto Avsi di ricostruzione di alcuni asili e di una scuola primaria. Beh, devo ammettere che la cosa più dura è chiedere tutte le volte questo sacrificio a mia moglie, ai miei figli – che, anche se piccoli, capiscono – ed ai miei soci in studio che devono poi seguire anche un po’ le cose che io lascio a metà qui. Inoltre, il guadagno che c’è non può essere paragonato alla fatica e al rischio che si corre lì.
La terra dell’Iraq è molto fertile, le persone molto disponibili, molto più che in Libano e Giordania. Sono innanzitutto povere, in tutti i sensi (non ho mai visitato un paese così povero in vita mia) ma, ripeto, davvero molto disponibili. Ad esempio l’ultima volta ho fatto una cena con due famiglie amiche tra di loro, una cristiana ed una sunnita a cui ho poi regalato Traces. è stato molto bello soprattutto perché, dopo mesi di cene anche nelle case di cristiani, sono riuscito a mangiare e parlare con delle donne sedute al tavolo con noi…
Devo dire che, per quello che vedo e che vivo con le persone laggiù, c’è una grossa distorsione tra quello che si ascolta dai nostri media e la realtà. Settimana scorsa abbiamo aperto il primo asilo di 100 bambini (nella foto). Una goccia tra i sei milioni di abitanti a Baghdad, ma almeno una cosa positiva che dimostra che qualcuno (io credo la maggioranza) laggiù vuole vivere normalmente, senza dittature, senza povertà, senza americani, senza attentati».
Quando si pensa all’educazione, si pensa a queste cose: a un intervento duraturo che cambi le cose dal basso. Non ci ha pensato chi riteneva che una guerra preventiva potesse portare democrazia e sviluppo ed è oggi impantanato a fronteggiare quello che può essere un nuovo Iran khomeinista e un nuovo Vietnam. Non ci pensano gli Zanotelli e gli Strada, che stanno strumentalizzando la loro stessa cooperazione per una ideologia violenta, antimoderna e priva di qualunque reale desiderio di pace. Non ci pensa chi è preoccupato semplicemente di ritirare le truppe non capendo che oggi un Irak fondamentalista sarebbe come una pistola alla tempia puntata ad ognuno di noi. Non ci pensa chi ha lavorato e lavora per un’Europa dominata dall’imperialismo franco-tedesco “meritevole” di generare guerre fratricide, depredare materie prime con l’aiuto delle legioni straniere in qualche altra parte del mondo. Magari in Africa. Contro l’“aquila” americana i nuovi simboli, nella migliore delle ipotesi, rischiano di essere degli struzzi; in qualche caso semplicemente delle iene. Preferiamo le api industriose.
*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà
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