
La rivoluzione che serve per far ripartire la natalità

Ogni volta che Gian Carlo Blangiardo apre la bocca e snocciola le aride cifre della bassa natalità italiana, un senso di angoscia invade l’uditorio. Perché il noto demografo nonché ex presidente dell’Istat non si limita a enunciare i numeri della nostra Caporetto demografica, ma allude alle conseguenze sulla vita dei presenti e dei loro cari.
Perciò, dopo aver spiegato che fra il 2014 ed oggi l’Italia ha perso 1 milione e 600 mila residenti, che da 9 anni di seguito il saldo nascite/morti/migrazioni è negativo e alla fine di quest’anno saranno 10, che da 1 milione e passa di nascite nel 1964 siamo passati a 393 mila l’anno scorso, che nel primo trimestre del 1943, in piena guerra mondiale, sono nati 243 mila italiani, mentre nel primo trimestre del pacifico (in Italia) 2023 ne sono nati 91 mila, che perdurando questa bassa natalità fra vent’anni il Pil italiano avrà perduto 500 miliardi di euro, aggiunge che il ministro Giorgetti ha detto giustamente al Meeting che con questa denatalità non c’è riforma previdenziale che regga, ma che «prima del problema pensionistico verrà quello della sanità, perché ci si dovrà occupare di 2,2 milioni di ultranovantenni, e non solo di 840 mila come oggi».
Aggiunge pure che «i migranti possono colmare i vuoti della denatalità italiana, ma per compensare le attuali mancate nascite ne servirebbero 530 mila all’anno per vent’anni di seguito, e questo onestamente credo che creerebbe difficoltà ai processi di integrazione».
Le proposte sulla natalità
Ma non è stato per alimentare angosce che il Meeting di Rimini ha invitato Blangiardo a parlare in ben due eventi dell’edizione 2023, il webinar (ma meglio sarebbe stato organizzare l’incontro in presenza) “Finalmente una pro-community tax?”, promosso dal network associativo “Ditelo sui tetti” presieduto da Domenico Menorello, e l’incontro serale “Demografia e natalità”, al quale ha partecipato anche il ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella.
Il demografo era contornato da una pletora di personalità (Alfredo Caltabiano presidente dell’Associazione famiglie numerose, Mauro Del Barba segretario della Commissione Finanze della Camera, Francesco Farri docente di diritto tributario, Maurizio Leo vice ministro con delega al fisco, Marco Osnato presidente della Commissione Finanze della Camera, Adriano Bordignon presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Matteo Rizzolli docente di Politica economica e Giuseppe Zola vicepresidente dell’associazione Nonni 2.0) che hanno colto l’opportunità delle parole di Blangiardo per proporre percorsi di soluzione del problema della bassa natalità, per esprimere preferenze per questo o quello strumento o per dire che cosa già si sta facendo.
La rivoluzione che serve sulla tassazione
Sostanzialmente nell’ottica proposta da Menorello: «Serve una rivoluzione copernicana della tassazione, che metta al centro il “noi” della famiglia e non l”io” dell’individuo. Il fisco italiano è iperindividualista». La legge delega per la riforma fiscale e l’assegno unico approvato nella vecchia legislatura (e a causa del quale l’Italia è sotto processo di infrazione in Europa, ha ricordato la Roccella) sono stati lodati con riserva: molto altro ci sarebbe da fare, a cominciare dai decreti delegati per l’attuazione della legge di riforma fiscale (cosa che potrebbe occupare l’intera legislatura, ha ricordato il vice ministro Maurizio Leo).
E così sono fioccate le proposte e le richieste, tante che è impossibile ricordarle tutte: aggiustare le scale di equivalenza dell’imposizione fiscale che adesso svantaggiano le famiglie che hanno più figli rispetto a quelle che ne hanno meno; introdurre il quoziente familiare, o lo splitting fra i coniugi, o rendere deducibili i costi per crescere i figli secondo parametri fissati dall’Istat, proporzionare gli aiuti sui redditi netti e non su quelli lordi, prevedere forme di decontribuzione fiscale per i datori di lavoro che assumono madri lavoratrici, agire a livello Ue perché nel fiscal compact la spesa pubblica per la famiglia non sia classificata come spesa corrente ma come investimento, legare le prestazioni pensionistiche future alle scelte di natalità, istituire il voto fiduciario dei minori ai genitori, cioè chi ha tanta prole dovrebbe potere esprimere alle elezioni tanti voti quanti sono i suoi figli minorenni (!), convocare una conferenza intergovernativa sulla natalità, defiscalizzare gli aiuti economici che i nonni danno alle famiglie dei propri figli e dei propri nipoti, ecc.
Cosa fa il governo per la natalità
Il ministro Roccella ha rassicurato che tutti i provvedimenti del governo hanno e avranno il criterio dell’attenzione alla famiglia e alla natalità, cosa per cui non è rattristata dal fatto che il suo ministero sia privo di portafoglio: alle riunioni dell’esecutivo tutti i ministri si farebbero, secondo lei, carico delle questioni della famiglia e della natalità, e questo già si vede dai contenuti della legge di delega fiscale, dal provvedimento sostitutivo del reddito di cittadinanza e dall’aumento dell’assegno unico. Ai quali vanno aggiunti la diminuzione dell’Iva su alcuni prodotti, l’estensione dei congedi parentali e le facilitazioni per i mutui per la prima casa. Ha promesso: “al prossimo Consiglio dei ministri proporrò un pacchetto di provvedimenti a favore delle famiglie che hanno il secondo figlio”. “Vogliamo essere i leader di un cambiamento culturale. Avere figli non deve più essere visto come un sacrificio, ma come una felicità”.
Le ragioni per cui non si fanno più figli
A dare profondità antropologica e spirituale a interventi centrati principalmente sugli aspetti politici della questione natalità ha provveduto soprattutto l’intervento di Giuseppe Zola, l’ex pro sindaco di Milano fondatore dell’associazione Nonni 2.0. Bastano alcuni passaggi per rendersene conto. «Ritengo che uno dei motivi per i quali oggi si fanno pochi figli, almeno nel nostro esausto Occidente, è che stiamo perdendo la coscienza di essere parte di una storia che lega indossolubilmente tra di loro le diverse generazioni. Stiamo perdendo la coscienza di questo legame e, con essa, il desiderio di veder continuare questa storia, di contribuire a perpetuare nel tempo quella discendenza che, nella tradizione ebraica e poi cristiana, è sempre stata giudicata una grande benedizione».
Citando un intervento di Eugenia Scabini della Cattolica di Milano: «La generazione come rapporto tra generante-generato è talmente strutturale al nostro essere che la troviamo al centro della nostra identità: infatti i generanti sono sempre generati, i genitori sono sempre figli, chi ha dato la vita alla nuova generazione è figlio della precedente. E pertanto fare i conti con la tradizione non è un optional, vuol dire fare i conti con la propria storia familiare e di popolo e con l’humus simbolico che l’ha nutrita». «Quando si indebolisce il legame vitale tra le generazioni, si indebolisce la coscienza di appartenere ad un popolo e ad una storia, il che produce il disamore verso l’avventura più affascinante che il Signore ci ha affidato, che è quella di partecipare al suo genio creativo».
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