
La chiamata alle armi dell’estremismo islamico

Un discorso che tiene Israele e il mondo con il fiato sospeso, in attesa dell’attacco annunciato da giorni: Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, parla ad una settimana dall’uccisione a Beirut di Fouad Shukr, numero due della milizia sciita iraniana, che controlla l’esercito più potente del Libano.
Un raid israeliano avvenuto subito dopo quello a Gaza in cui è stato ucciso il capo militare di Hamas nella Striscia, Mohammed Deif, e il giorno prima di quello a Teheran in cui è stato fatto esplodere il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Una sequela di omicidi mirati, che non si sono fermati: nei giorni successivi altri colonnelli di Hamas e Hezbollah sono stati uccisi dai droni israeliani. Ma il triplice colpo a Gaza, Beirut e Teheran assume un significato simbolico e ha il valore di un messaggio molto chiaro: Israele può colpire ovunque.
Nasrallah rincara la dose, il discorso che l’Iran attendeva
Mentre Nasrallah parla, i jet con la stella di David sorvolano Haret Hreik, il quartier generale di Hezbollah, infrangono la barriera del suono. Nasrallah coglie l’avvertimento, dosa il discorso, deve rispondere anche per conto di Teheran. E rispondere in modo che la stessa minaccia si ritorca contro Israele: nessuno si senta al sicuro. Non solo in Medio Oriente. Missili, guerra sul terreno, terrorismo, boicottaggio dei sistemi informatici indispensabili alla sopravvivenza del mondo occidentale non conoscono i confini tracciati sulle carte geografiche.
«Se Netanyahu e l’alleanza americano-sionista dovessero vincere contro la resistenza a Gaza e in Cisgiordania, l’entità che uccide i bambini si insedierebbe nella regione. Israele vuole annettere la Cisgiordania e afferma che non esiste uno Stato Palestinese». Quattro giorni fa aveva detto: «Israele deve avere paura», e ora il leader fondamentalista libanese rincara la dose e di fronte all’invito di mezzo mondo a non destabilizzare la regione ribalta la accusa sullo Stato Ebraico: «La regione si trova di fronte a pericoli reali. Tutti devono capire che se Israele vince, non ci sarà più la Palestina e la moschea di al-Aqsa sarà seriamente minacciata. II Libano sarà in pericolo, la Giordania sarà in pericolo, la Siria sarà minacciata, l’Egitto e tutti i paesi della regione saranno minacciati». Un discorso che delinea una visione del Medio Oriente molto chiara: Israele è un pericolo per tutti. Il discorso che l’Iran attendeva, che si spinge oltre l’orlo della crisi. Verso la risposta militare annunciata come inevitabile da Teheran.

La catena di “eliminazioni” di Israele, l’esercito contrario alla guerra totale
Israele prende sul serio, molto sul serio la minaccia: non è stato certo a guardare mentre attende l’attacco annunciato dall’Iran, umiliato dall’uccisione nella sua capitale Teheran del fedele alleato Haniyeh cui aveva garantito protezione e sicurezza: l’aviazione dello Stato ebraico ha continuato a colpire e a rispondere a ogni lancio di missili dal Libano, dallo Yemen. Una catena di “eliminazioni” che sta decapitando la leadership del “fronte di resistenza” sostenuto dall’Iran. Obiettivi, gli uomini simbolo dei fondamentalisti, ritenuti tutti responsabili del massacro del 7 ottobre e della logorante pioggia di razzi sulla Galilea che hanno costretto settantamila israeliani a cercare rifugio più a Sud.
Si scrive Hezbollah, Hamas e anche Houthi (i miliziani sciiti che colpiscono dallo Yemen) ma si legge Iran, questo dice Israele, che non ha dubbi. Sarà Teheran a guidare la risposta e decidere quando e soprattutto chi dove e per quanto tempo colpire. Ma le grandi potenze mondiali non vogliono una guerra totale, non vogliono che Israele ceda alla tentazione dei falchi ultrasionisti che spingono Netanyahu verso la guerra all out, totale, sul campo: all’invasione del Libano dopo quella di Gaza. Non lo vogliono nemmeno i capi dell’esercito israeliano: troppi fronti aperti per una guerra sul territorio, da Gaza alla Cisgiordania al Libano, troppo alto il rischio di un attacco aereo da tutti i fronti, che saturerebbe la difesa antimissile, lo scudo di ferro, Iron Dome, mettendo a rischio tutto il territorio israeliano.
L’ansia delle famiglie, «riempiamo i rifugi di viveri e acqua»
È su questo che punta il discorso di Nasrallah: tenere Israele in un perenne stato di ansia, sull’orlo, o oltre l’orlo, di una crisi di nervi. Le famiglie fanno scorte di cibo e medicinali, controllano le strutture blindate dei rifugi costruiti per legge in ogni casa e contemporaneamente fingono di vivere una vita normale. «Di giorno andiamo al lavoro, al parco con i bambini, ci ritroviamo per un caffè», mi racconta Noa, che vive a Gerusalemme. «Poi la sera ci raccogliamo vicino al rifugio, che fino al 7 ottobre era solo un gran ripostiglio. Ora è pieno di viveri e acqua. E non si dorme, l’orecchio teso alla sirene di allarme». Più a Nord è peggio: «Le sirene suonano quasi sempre alle sei di mattina, è il momento in cui piovono i razzi. Di solito Iron Dome li ferma, e si va al lavoro», racconta Hillel, che ha negozio di alimentari a Tiberiade. Anche a Tel Aviv sono arrivati i droni lanciati dagli Houthi: «Un uomo è morto», dice Eytan, «io quella mattina sono andato a fare surf sulla spiaggia e poi a lavorare in una azienda Hi-Tech, poi ho saputo. Poteva capitare a me, alla mia famiglia».
I dati del centro di igiene mentale dicono che stanno aumentando a dismisura gli israeliani che ricorrono a psicofarmaci per sedare l’ansia, e molti piccoli negozi soffrono una crisi economica che si teme irreversibile, il richiamo alle armi di quasi trecentomila riservisti ha avuto un impatto enorme sul paese. La guerra totale non c’è (ancora), ma l’economia di guerra si avvicina.
Pechino, Mosca, Washington: attorno al Medio Oriente si ridisegnano gli assi strategici mondiali
Intanto intorno al Medio Oriente si ridisegnano gli assi strategici mondiali. La Cina ha raccolto a Pechino i capi delle fazioni palestinesi e dell’Olp per un accordo che delinei il futuro di Gaza, a guida palestinese con l’appoggio cinese, Mosca si dice pronta sostenere l’Iran, invia armi ma chiede a Teheran di evitare vittime civili nella annunciata rappresaglia.
Di contro gli Stati Uniti non possono negare sostegno ad Israele e mandano un’altra portaerei nel Mediterraneo orientale, nonostante il presidente Usa Joe Biden abbia cercato di convincere Netanyahu a limitare la risposta agli attacchi e a trattare la tregua con Hamas a Gaza per ottenere la liberazione degli ostaggi: si parla di una lite violenta tanto che Biden avrebbe chiuso il discorso con il premier israeliano con un secco: «Basta fare cazzate» (bullshit, per la precisione, è il termine poco diplomatico e per nulla presidenziale usato da Biden). Ma Netanyahu sembra ora preferire il confronto con Trump.

La chiamata del Qatar ad «annientare» i nemici dell’islam
Le petro-potenze arabe cercano di calmare i toni. E abbassare il livello dello scontro. Fa eccezione il Qatar, che dopo la mossa di Pechino vuole riguadagnare la leadership del mondo palestinese. Memri (Middle East media research istitute), il sito curato dal più importante esperto israeliano di intelligence, Yigal Carmon, ha diffuso il discorso dell’Imam del Qatar, Muhammad al Muraikhi, ai funerali di Haniyeh, davanti a dignitari delle fazioni palestinesi e diversi leader del mondo fondamentalista musulmano: senza mezzi termini ha invitato ad «annientare» i nemici dell’islam. Con ogni mezzo. «La causa della Palestina – ha detto – è la madre di tutte le cause, Gerusalemme e la difesa di al-Aqsa è responsabilità di tutti i musulmani, il loro luogo sacro e la loro terra».
Parole che danno un ulteriore peso alla minaccia già contenuta esplicitamente nel pogrom del 7 ottobre, chiamato da Hamas proprio «diluvio di Al Aqsa», la moschea di Gerusalemme divenuta simbolo della lotta contro lo Stato Ebraico. E anche Nasrallah nel discorso di Beirut, tramesso dalle Tv libanesi ha ricordato che Israele minaccia proprio al-Aqsa. Una chiamata a raccolta che suona molto chiara al mondo fondamentalista islamico.
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