
Myanmar. Aung San Suu Kyi, vincere non basta

Si fa presto a dire democrazia e «vittoria schiacciante». In Myanmar non è così semplice. Molti hanno definito le elezioni dell’8 novembre «libere e democratiche» e anche se lo scenario non è così roseo (a 4 milioni di persone non è stato concesso di recarsi alle urne), il voto è andato anche troppo bene se si pensa che il paese del Sud-est asiatico arriva da oltre 20 anni di dittatura militare.
VINCERE NON BASTA. La Lega nazionale per la democrazia (Lnd), guidata dal premio Nobel 70enne Aung San Suu Kyi, ha sicuramente vinto ma per avere la maggioranza in Parlamento vincere non basta. Bisogna stravincere. Nel 2010 infatti l’allora generale e primo ministro Thein Sein si è dimesso dall’esercito ed è stato “eletto” presidente l’anno successivo, il primo a ricoprire tale carica in veste non miliare in 49 anni dopo lo scioglimento della giunta militare del generalissimo Than Shwe. Nel 2012 ha fatto approvare una nuova Costituzione che riserva molto potere ai militari, i quali non intendono ancora cedere il potere definitivamente.
VOTI E MINISTRI. In base alla nuova Carta, il 25 per cento dei seggi in Parlamento è riservato di diritto ai militari. Per avere la maggioranza, dunque, Suu Kyi deve ottenere almeno il 67 per cento dei voti. Al partito di Unione, solidarietà e sviluppo, guidato da Thein Sein, basta invece il 30 per cento. Anche se Lnd ottenesse una maggioranza schiacciante, il governo sarebbe comunque condizionato: il ministro della Difesa, infatti, deve essere un militare e l’esercito può decidere il budget da mettergli a disposizione.
LEGGE ANTI-SUU KYI. Anche per quanto riguarda la prima carica del paese ci sono ostacoli sulla via di un processo davvero democratico. Suu Kyi non potrà in alcun caso diventare presidente in base alla norma costituzionale che vieta di accedere alla carica ai candidati con figli che «devono obbedienza a una potenza straniera». L’articolo 59 è stato scritto appositamente per il premio Nobel, che è sposata a un inglese, dal quale ha avuto due figli. La vincitrice delle elezioni del 1990 – per questo arrestata e imprigionata da allora fino al 2011 – non potrà dunque essere eletta presidente in ogni caso. Potrebbe cambiare la Costituzione ma questo non può essere fatto senza il consenso dell’esercito, visto che servono i voti del 75 per cento dei parlamentari, con i militari che detengono il 25 per cento dei seggi.
DALLA DITTATURA ALLA DEMOCRAZIA. Una volta eletta l’assemblea legislativa, le due Camere e i militari potranno esprimere un candidato. Il processo non comincerà prima di febbraio o marzo dell’anno prossimo. Uno dei tre verrà eletto presidente, mentre gli altri due diventeranno vice-presidenti. Suu Kyi ha promesso che, chiunque verrà nominato, sarà comunque lei a governare. La Costituzione non prevede niente dal genere ed è su questo punto che potrà davvero essere valutato lo stato di avanzamento della transizione del Myanmar dalla dittatura alla democrazia.
Foto Ansa/Ap
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