Musulmano non vuol dire arabo o anti-Usa

Di Rodolfo Casadei
04 Ottobre 2001
L’associazione d’idee è scontata: dici “musulmano” e subito ti viene in mente qualcosa di arabo: La Mecca, il deserto del Sahara, il caffetano; Arafat, Gheddafi, Saddam Hussein. Ma è soltanto un cliché: gli arabi, circa 270 milioni, rappresentano appena poco più di un quarto di tutti i musulmani del mondo, i quali sono oltre 1 miliardo.

L’associazione d’idee è scontata: dici “musulmano” e subito ti viene in mente qualcosa di arabo: La Mecca, il deserto del Sahara, il caffetano; Arafat, Gheddafi, Saddam Hussein. Ma è soltanto un cliché: gli arabi, circa 270 milioni, rappresentano appena poco più di un quarto di tutti i musulmani del mondo, i quali sono oltre 1 miliardo. E si comincia a capire perché Bin Laden e soci, per il loro jihad del XXI secolo, abbiano scelto l’ideale panislamico (creare uno Stato che riunisca tutti i musulmani del mondo) anziché quello panarabo che fu di Nasser (unire tutti gli arabi) e di cui sono stati pallidi continuatori Gheddafi e Saddam Hussein. Se prendiamo in mano le statistiche, scopriamo che fra i quattro paesi più islamizzati del mondo (più del 99 per cento della popolazione è musulmana) solo uno, l’Algeria, è arabo; mentre fra quelli che ospitano la maggior quantità di musulmani il primo paese arabo lo troviamo addirittura all’8° posto, e si tratta dell’Egitto. Fra i 15 paesi più islamizzati quelli arabi sono 8, fra quelli con la maggior quantità di musulmani gli arabi sono appena 5. Con 19 miloni e 760 mila unità l’Arabia Saudita, suolo sacro dell’islam, registra un 16° posto quanto a numero di musulmani, preceduta addirittura dall’Etiopia a maggioranza cristiana e dallo sconosciuto Uzbekistan. Uno sguardo alle statistiche mette poi in crisi un altro luogo comune: quello secondo cui la politica internazionale degli Usa sarebbe percorsa da una costante anti-musulmana. In realtà, il paese più musulmano del mondo, e cioè la Turchia, rappresenta un pilastro della Nato, e quello con la più estesa popolazione musulmana, cioè l’Indonesia, ha sempre goduto dell’appoggio statunitense in funzione anticomunista, al punto che gli è stato permesso persino un quasi-genocidio ai danni dei cristiani di Timor est. Merita infine di essere notato che non dappertutto alla presenza di masse musulmane corrispondono governi musulmani: in India, Nigeria, Cina ed Etiopia le principali leve del potere sono piuttosto nelle mani di indù, cristiani, agnostici ed atei. D’altra parte in tutti e quattro questi casi si registrano tensioni più o meno forti fra le comunità musulmane e le istituzioni.

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