
La battaglia di Musk contro i bot e l’algoritmo ideologizzato di Twitter

Dopo avere sospeso l’acquisto di Twitter a causa delle sue preoccupazioni sulla presenza di troppi account falsi, Elon Musk ha ribadito che l’operazione da 44 miliardi di dollari non può andare avanti finché la società non sarà più chiara su quanti dei suoi account siano falsi.
Quello dei bot è un problema irrisolvibile oggi
Gli utenti falsi sono un problema che perseguita da tempo le società di social media, ma nel caso di Twitter si sta facendo strada il sospetto che essi siano molti di più del 5 per cento dichiarato dagli attuali dirigenti. Ieri mattina Musk ha twittato che l’amministratore delegato della piattaforma social si sarebbe rifiutato di documentare questa loro affermazione, e spiegato che la sua offerta di pagare 54,20 dollari ad azione era basata su quei numeri, che potrebbero però essere falsi. Rilanciando uno studio della società di ricerche di mercato SparkToro, il fondatore di Tesla ha detto che gli account fake del social network che piace a politici e giornalisti potrebbero addirittura essere il 20 per cento.
Molti osservatori spiegano che quella di Musk è una mossa per abbassare il prezzo, molto elevato, a cui l’uomo più ricco del mondo intende acquistare Twitter, ma che l’operazione si concluderà. I dirigenti della società insistono a dirsi disponibili a indagare più a fondo e a eliminare ancora più account falsi di quelli che già elimina quotidianamente (circa mezzo milione), ma che il patto è quello e la vendita deve concludersi al prezzo pattuito. Il fatto è che, come fa notare oggi il Wall Street Journal, quello dei bot (gli account falsi che postano spam) è un problema irrisolvibile adesso: lo stesso account di Elon Musk la scorsa settimana è stato segnalato come bot potenziale da Botometer.
«L’algoritmo ti manipola»
Un pretesto per sfilarsi da un affare non più ritenuto utile o un modo per speculare in Borsa? Al momento tutto può essere. Ma se è vero che Musk non ha ancora comprato niente, sono pur sempre settimane in cui la discussione su pregi, difetti, limiti e potenzialità di Twitter gira attorno alle sue dichiarazioni. Una delle più significative è stata quella sull’algoritmo che secondo Musk manipolerebbe gli utenti. Qualche giorno fa ha twittato tre consigli per “sistemare” il feed del tweet sul proprio profilo: andare su home, toccare le stelle in alto a destra, selezionare l’ordine cronologico dei tweet. «L’algoritmo ti sta manipolando in modi in cui nemmeno immagini», ha commentato, suggerendo di fare come dice lui e notare la differenza.
Il suo tweet non è passato inosservato da Jack Dorsey, che Twitter lo ha inventato, il quale ha spiegato che la funzione “Home”, quella cioè che fa comparire tweet selezionati dall’algoritmo non in ordine cronologico, è pensata per fare recuperare agli utenti le cose che si sono persi quando non erano connessi. Il fatto è che, sostiene Musk (ma lo può verificare chiunque abbia un account su Twitter, è così), compaiono soprattutto certi tweet, di certe persone e su certi argomenti. «Non sto dicendo che ci sia malizia nell’algoritmo» ha twittato malizioso Musk, «ma piuttosto che cerca di indovinare cosa potresti voler leggere e, così facendo, manipola e/o amplifica inavvertitamente i tuoi punti di vista senza che tu te ne accorga».
Gli algoritmi sono di sinistra?
Gli algoritmi determinano ciò che vediamo (e non vediamo) online. Su Twitter e Facebook, determinano quali post vanno bene e quali vengono nascosti, seppelliti sotto tonnellate di altri post. Come funzionino realmente resta un mistero. Musk si è detto «preoccupato da un pregiudizio de facto nell’algoritmo di Twitter che ha un effetto importante sul discorso pubblico. Come facciamo a sapere cosa sta realmente accadendo?». Più che ai gusti dei follower bisogna pensare se un nostro contenuto se piacerà all’algoritmo, altrimenti nessuno lo vedrà. I social media implementano algoritmi che danno la priorità o cancellano i contenuti in base a diversi fattori come il numero di commenti, le condivisioni e i “mi piace” ricevuti da un post.
Il dubbio avanzato da Musk, è che le preferenze politiche e ideologiche di chi controlla le piattaforme possano plasmare ciò che vediamo online. Ma se è facile dimostrare con quale frequenza vengano censurati con più facilità post e account non di sinistra, è più complicato dimostrare il pregiudizio ideologico di un algoritmo. Perché gli algoritmi sono un segreto gelosamente custodito da chi li ha programmati. «L’open source è la strada da percorrere», ha suggerito ancora Musk: mettere l’algoritmo a nudo, renderlo accessibile a tutti. E stare a vedere se sulla nostra timeline continueranno a comparire i tweet delle stesse persone che dicono tutte la stessa cosa.
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