Muscarà e la scuola per balbuzienti: quando un handicap diventa un dono

Di Benedetta Frigerio
19 Settembre 2011
La storia di Giovanni Muscarà, messinese di 29 anni, balbuziente fin da piccolo, che ha lasciato una carriera in erba nella finanza che conta per aprire a Londra una scuola per balbuzienti: «La cosa che mi dava più dolore è diventata la maggior fonte di soddisfazione umana, lavorativa ed economica della mia vita. Come disse mia mamma: se il Signore mi aveva fatto così c'era una ragione»

«Fin dal primo giorno di scuola mi accorsi di avere qualcosa di diverso dagli altri. Era un handicap, che prima mi ha permesso di fare carriera in finanza e poi di inventarmi il lavoro della vita». Così Giovanni Muscarà, messinese di 29 anni, sintetizza la sua storia, dopo aver lasciato l’avvio di una brillante carriera per fondare una scuola per balbuzienti in Inghilterra. «Il primo giorno di elementari non lo scorderò mai» spiega Giovanni, «cercai di aprire bocca e la mia compagna di banco mi prese subito in giro. Quella che per me era una fatica tremenda per gli altri era la cosa più naturale del mondo». Grazie ai suoi genitori, però, Giovanni riesce a proseguire gli studi. «Fortunatamente mamma e papà non mi compiansero mai: ricordo quando a sette anni in spiaggia chiesi a mia madre: “Ma perché con tutti i mafiosi che ci sono proprio io devo essere balbuziente?”. Immagino che le si strinse il cuore. Mi avrebbe potuto abbracciare, ma fece di più: “Giovanni, non permetterti più di lamentarti per come Dio ti ha fatto”».

Questa è la frase che segnerà per sempre la vita di Giovanni e diverrà metodo con cui oggi insegna ad altri a controllare la propria balbuzie. «Penso sempre a quando dovranno uscire di qui e affrontare il mondo: perciò non li compiango, mi ci affianco, certo, gli faccio capire che siamo insieme a scalare la montagna, che la cima c’è (io ne sono la prova per loro), ma che bisogna concentrarsi sulla tappa. Insomma li accompagno, ma perché poi là fuori sappiano combattere da soli, sapendo che qui hanno un punto d’appoggio». Giovanni passa le elementari e con pazienza le medie. «In quegli anni imparai a gestire situazioni di stress imparagonabili a quelle che sopportano le persone che non hanno questo problema. Noi non siamo gente insicura. Anzi, sapendo che in certe situazioni, soprattutto quelle in cui non possiamo dire ciò che vogliamo, ci agiteremo, acquisiamo un grande autocontrollo». Finite le superiori, Giovanni si iscrive all’università Cattolica di Milano. Frequenta la facoltà di Economia, con il pallino per la finanza. «Qui invece imparai a dare tutto. Quando preparavo gli esami c’era chi diceva che potevo approfittarmi del mio handicap: allora mi prese l’orgoglio, che mi fece studiare il doppio». Dall’età di 16 anni Giovanni segue dei corsi che lo aiutano a imparare a gestire la parola. «A livello mondiale non c’è cura. Si è scoperto solo di recente che la balbuzie è una malattia genetica di tipo neurologico. Parlare significa muovere centinaia di muscoli, che chi balbetta non riesce pienamente a controllare. Quindi l’unica soluzione è l’educazione a governare la muscolatura attraverso diverse tecniche, che imparai seguendo quei corsi». La scuola permette a Giovanni di raggiungere buoni risultati, ma gli richiede un allenamento di qualche ora al giorno: «Non basta una volta, occorre esercitarsi sempre. Io invece mi impegnavo a fasi alterne per cui anche il mio rendimento era oscillante».

Giovanni riesce comunque a sostenere tutti gli esami fino al giorno della laurea. «Era una nuova sfida: avrei dovuto discutere una tesi a cui tenevo molto, davanti a tanti amici, ai miei genitori e parenti. Mi allenai per tre giorni di fila. E non aprivo bocca se non per parlare come avrei fatto durante la discussione». Il giorno della laurea, però, l’orario viene continuamente posticipato. «Non c’è cosa peggiore della tensione che sale, quando già devi controllarti su altro. Ero agitatissimo, ma prima di entrare riuscii a ripetermi la frase di san Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà forza”. Era come per il protagonista del film Il discorso del Re: non ha paura della guerra, ma di parlare davanti a tutti». Entrato in aula, Giovanni parte piano, poi ingrana fino a non fermarsi più: «I miei genitori e amici erano commossi, avevo parlato meglio di tutti».

Per Giovanni, però, non è finita. Per arrivare dove vuole, deve sostenere colloqui molto selettivi. «Il mio pallino è sempre stata la finanza. Sapevo che per entrare in quel mondo bisognava sostenere selezioni dure. Perciò, quando mi venne proposta dalla mia scuola per balbuzienti una collaborazione come insegnante decisi di accettare. Era solo un’occasione per allenarmi». Mentre Giovanni sostiene brillantemente i colloqui per lavorare nella finanza, scopre un mondo da insegnante: «Durante i corsi che tenevo, incontrai tantissimi ragazzi intelligenti e intraprendenti, con storie drammatiche. C’era chi aveva mollato la scuola, chi sceglieva lavori che non amava purché non richiedessero il contatto con la gente: ho incontrato un ragazzo che sognava di fare il magistrato, che lasciò la scuola spronato dalle insegnanti; ricordo una ragazza molto bella e intelligente che faceva la magazziniera per non parlare». Giovanni è così appassionato e determinato che riesce ad aiutare molte persone. «Penso a Stefania, che non diceva mezza parola e che dopo tre settimane ricominciò a parlare. In quel periodo mi accorsi che aiutando me stesso potevo aiutare anche altri».

Ma il tempo per insegnare si riduce, quando i capi di una delle società finanziarie più importanti d’Italia si accorgono della tenacia di Giovanni e decidono di puntare su di lui. «Mi misero a lavorare nel settore top della finanza, in un team di mergers and acquisitions, la fusione di banche e società. Se andava bene uscivo dal lavoro alle dieci di sera, altrimenti alle cinque del mattino. Riuscivo a malapena a tenere i corsi a cui tenevo tanto. Pensai: “Se devo vivere così, voglio almeno che mi frutti più soldi”». Perciò, Giovanni decide di volare a Londra, centro della finanza mondiale. «Per fare i colloqui dovevo parlare in inglese. Non sapevo come fare: ogni balbuziente ha tecniche che dipendono dalla lingua in cui si parla. Così, mi esercitai per trovare nuovi sistemi adatti all’inglese: cominciai i colloqui e vidi che funzionavano». Dopo questa scoperta, Giovanni decide di ascoltare quello che i genitori e alcuni amici gli dicono da anni: «Soprattutto decisi di ascoltare me stesso. Per la prima volta presi il coraggio di guardare il mio desiderio e la realtà, non più uno schema: quello che da anni mi entusiasmava, non era la finanza. Vedere una vita ricominciare con il mio aiuto non aveva paragoni rispetto al fondersi di due banche». Così Giovanni molla tutto e decide di fondare una scuola per balbuzienti, che ha appena aperto e ha già tre sedi: «Si chiama The New Stuttering Centre. Ho già ricevuto richieste da varie parti, per cui ho una sede a Londra, una in Scozia e un’altra a Dublino. E sto creando insieme alla mia scuola italiana una piattaforma internazionale, l’International Stuttering Centre».

Qualcuno gli dà ancora del pazzo, «altri mi chiedono come ho fatto a mollare un lavoro sicuro e redditizio, in un momento di crisi, per fare qualcosa che non so nemmeno come andrà. Rispondo che nella vita ho imparato a non fermarmi davanti a paure e ostacoli per inseguire ciò che desidero». Ma Giovanni non si definisce uno che si è fatto da sé: «Il mio handicap mi ha insegnato anche altro. Che da solo il desiderio non basta. Ci vuole qualcuno che ti sostenga. Infatti, sto chiedendo aiuto a tutti gli amici e conoscenti che ho. I miei genitori sono i miei primi sponsor». Una scuola, quella di Giovanni, che avrà quindi criteri ben precisi: «Non farsi commuovere istintivamente, ma preparare l’altro a stare nel mondo (come fece mia madre con me quel giorno sulla spiaggia); fare ogni tappa insieme (come i miei amici con me); ricominciare se si cade e ripartire dal fatto che se un giorno hai parlato bene, significa che puoi rifarlo (come insegna l’educazione ragionevole della fede dei miei genitori e degli amici incontrati in università)». Solo oggi, dopo quasi vent’anni, Giovanni capisce il perché di quell’handicap: «La cosa che mi dava più dolore è diventata la maggior fonte di soddisfazione umana, lavorativa ed economica della mia vita. Come disse mia mamma: se il Signore mi aveva fatto così c’era una ragione. Per me e per il mondo».

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3 commenti

  1. Luciana

    Ti capisco in pieno io ho avuto un passato da balbuzienze e non ho finito gli studi ora sto la stessa cosa succede a mua figlia di 10 anni viene derisa a scuola e la cosa più triste che le maestre non intervengono anzi l’anno scorso ci hanno dato addosso

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