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Muore don Rudolf, sacerdote clandestino nella Slovacchia comunista: «La nostra comunità e Cl avevano uno sguardo simile»

Fiby_celebraDon Rudolf Fiby, uno dei responsabili della Chiesa «clandestina» slovacca, è morto il 9 ottobre scorso a Košice, dov’era ricoverato dal 2012 per un ictus cerebrale. Nato il 4 aprile 1946 a Nitra, in Slovacchia, Rudolf già da ragazzo non si accontenta delle risposte preconfezionate della propaganda comunista: al primo anno delle superiori approfondisce i fondamenti del marxismo sui testi del professor Miroslav Kusý (che di lì a poco avrebbe abbracciato la causa del dissenso), con alcuni amici si interessa di letteratura e pensiero (leggono Sartre, Camus, Kundera). Inizialmente affascinato dalla filosofia indiana, «presto capii che questo pensiero non corrispondeva alla mia percezione dell’essere umano: che l’uomo dovesse perdere la propria identità in Dio non poteva essere, secondo me, lo scopo dell’agire divino. Perciò anche dopo questa intensa ricerca della verità mi rimanevano delle domande fondamentali ancora aperte». Durante le vacanze di Natale del ’68 si fa prestare il Vangelo da un compagno di studi, e dopo alcuni mesi «mi resi conto che era proprio ciò che stavo cercando».

La matematica è il suo pane: si laurea in algebra e teoria dei numeri, e nell’agosto del ’69 è nominato assistente alla cattedra di Geometria dell’università di Bratislava, dove insegnerà dopo il servizio militare: «Era Capodanno ed ero di guardia. Attorno c’erano solo campi innevati, flagellati da un forte vento; stava per cominciare il 1970 e io mi chiedevo come l’avrei affrontato. Desideroso di convertirmi, dissi a Dio: “Mi metto a Tua completa disposizione”. E Lui prese sul serio le mie parole».

batumi1986Nel maggio 1971 i docenti di scienze matematiche sono in gita sui luoghi dove ha vissuto uno dei maggiori studiosi nazionali. In autobus Rudolf conosce Vladimír Jukl, anch’egli matematico, che ha trascorso 14 anni di carcere per la fede e da pochi mesi è stato consacrato clandestinamente sacerdote. Con Jukl inizia una profonda amicizia, Rudolf comincia a partecipare agli incontri della nascente «comunità Fatima», composta soprattutto da giovani credenti sotto la guida del vescovo «clandestino» Korec, e si fa sempre più chiara in lui la volontà di consacrarsi a Dio. Intanto in Cecoslovacchia inizia la politica di «normalizzazione» seguita all’invasione sovietica del ’68, e anche Fiby finisce sulla lista nera. Dall’aprile 1974 perde il lavoro in università, perché «c’è la possibilità che influenzi gli studenti».

Grazie a un amico della comunità «Fatima» si impiega come ricercatore all’Istituto di cibernetica dell’Accademia delle scienze, dove l’ambiente è meno repressivo. Nel dicembre ’77 Rudolf termina la preparazione teologica informale in vista del sacerdozio, ma il vescovo Korec vuole evitare incidenti tra lo Stato comunista e la Chiesa, perciò gli suggerisce di recarsi, per la consacrazione, a Cracovia dall’arcivescovo Wojtyła. «Eh – ricorderà poi Rudolf, – rispetto a noi, in Polonia c’era una libertà incredibile: basti pensare che alla mia consacrazione l’arcivescovo non era in città perché era andato sui Tatra a sciare con i giovani!… Da noi avrebbe rischiato un anno di carcere per elusione delle leggi sul controllo statale sulla Chiesa».

?????????????????????????????????????????????????????Assieme a Jukl e agli altri responsabili di «Fatima», ma evitando di esporsi come sacerdote, riprende a visitare i gruppetti sparsi per la Slovacchia, dove oltre ai momenti di preghiera si scambiano informazioni, samizdat e consigli su azioni comuni. «Fatima» ha a cuore anche le sorti dei cristiani perseguitati in URSS. Nell’agosto del ’79 il direttore dell’istituto lo manda per tre mesi a Novosibirsk, nella locale sede dell’Accademia delle scienze, dove oltre a svolgere il proprio lavoro allaccia rapporti con ortodossi e battisti, e il suo nome finisce nei rapporti del KGB. Negli anni ’80 viene convocato ripetutamente dalla polizia, è bollato come «elemento ostile» e gli installano due cimici in casa. Nel marzo ’88 è tra gli organizzatori della «manifestazione delle candele» a Bratislava, quando i fedeli scendono in piazza per chiedere il rispetto della libertà religiosa e vengono brutalmente assaliti dalla polizia.

Nel marzo dell’89 ottiene il visto di studio all’università di Torino. «In Italia – ricorderà don Rudolf – ho frequentato la gente di Comunione e Liberazione. La nostra comunità e questo movimento avevano uno sguardo simile sulla Chiesa e sulla società. Ci si incontrava ad esempio durante le vacanze estive o invernali, dava molta gioia vedere come i giovani che vivevano nel “capitalismo in putrefazione” capissero l’importanza di vivere un’autentica vita cristiana nella Chiesa, sul posto di lavoro e nella società. Gli amici di CL si ricordavano anche delle nostre necessità per l’attività clandestina, come quando ci procurarono un computer che portai in Slovacchia di ritorno dal viaggio di studi, e che avremmo usato per preparare samizdat e i materiali per la comunità».
Dopo la rivoluzione dell’89, cui partecipa attivamente assumendo responsabilità pubbliche per l’Accademia delle scienze, finalmente don Rudolf può celebrare in pubblico: «Dal ’91 celebravo regolarmente la prima messa in San Ladislao, dopodiché mi recavo al lavoro, come sempre». Dai primi anni ’90 insegna anche etica sociale all’università di Košice, ed è attivo nella pastorale familiare.

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