Mr Bore il sacerdote della litania apocalittica

Di Giulio Meotti
19 Luglio 2007
Le noiose prediche verdi dell'ex vice di Clinton, sono buone per una Messa cantata a Hollywood, ma non hanno nulla di scientifico

Lo chiamano già “Mr Bore”. Altri agitano lo slogan “No More Gore”. L’ex vicepresidente americano Al Gore, neopapa dell’ambientalismo hollywoodiano, è stato massacrato dal meglio della pubblicistica americana per il suo An inconvenient truth, il docufilm con il quale lancia e cavalca a fini elettorali l’allarme global warming. Più profanamente, surriscaldamento globale. Nel 2004, quando Mr Bore iniziò a investire in scenari pessimisti, il compassato Washington Post gli pose il problema della catastrofe ambientale prodotta in America dalle turbine a vento, la forma più “pulita” di energia alternativa che si possa immaginare. Le turbine hanno causato una strage di pipistrelli, con conseguente esplosione della popolazione di insetti, che stanno divorando la produzione agricola. Il Post usò il paragone con la mitica campagna contro i passeri nella Cina maoista. Per giorni i contadini “rieducati” causarono un potente baccano con cimbali e tamburi, finché gli uccelli, accusati di mangiare i semi, caddero a terra morti stecchiti. Senza più passeri, a mangiare le messi ci pensarono gli insetti, la carestia produsse decine di milioni di vittime.
Ad aprire le danze contro Mr Bore è stata la iena con tacchi a spillo Ann Coulter: «Il global warming è una nuova religione che ha bisogno di giudici dell’inquisizione e di film hollywoodiani che la sostengano». è d’accordo il massimo esperto politico americano, Michael Barone, che dice a Tempi: «Al Gore si presenta come un tribuno della scienza, ma è più simile a un profeta dell’Antico Testamento, che ci chiede di pentirci e di non peccare più. I profeti religiosi non si preoccupano dei costi. E così Gore chiede l’immediata cessazione di nuove immissioni di anidride carbonica. In altre parole, chiede di fermare la crescita economica. Leggete la storia: fascismo, comunismo e guerre mondiali. Ci sono cose peggiori dell’aumento di uno o due gradi di temperatura». Sulla stessa linea Lynn Scarlett, alfiere di quello che lei chiama, orgogliosamente, “nuovo ecologismo”. «Noi vogliamo proteggere l’ambiente – dice – ma crediamo sia possibile farlo senza bruciare la Costituzione». A differenza del catastrofismo goriano, l’ambientalismo di mercato è cresciuto lontano dalla ribalta e dalle cascate di denaro delle grandi corporation e di Hollywood. Il suo decano si chiama Fred Smith, il cui obiettivo è «convincere il mondo che il global warming è solo nella testa dei politici». Ronald Bailey ha compilato un formidabile The real state of the world in cui demolisce le illazioni della letteratura ecologista oggi in voga, come l’Earth in the balance firmato da Al Gore quando era vice di Clinton. Bailey è un discepolo di Julian Simon, l’economista liberale scomparso nel 1998, che aveva smentito con i suoi studi le teorie malthusiane e le previsioni catastrofiste del Club di Roma. Leon Louw parla dello sviluppo sostenibile di Gore come di una «scienza vudù»: «Non si chiede mai sostenibile per quanto tempo: 10, 200, 1000 o 1 milione di anni? Per chi? Per persone progredite con tecnologie, necessità e risorse future e sconosciute? Per quanto tempo dobbiamo conservare le cosiddette risorse “non rinnovabili”? I nostri discendenti, seguendo la stessa logica perversa, dovrebbero fare lo stesso? Per sempre?».
Per i professori Michael Economides e Ronald Oligney, quest’ambientalismo ha assunto una piega sinistra. «Politicizzato com’è, si dimostra del tutto indifferente all’impatto positivo che l’industria energetica ha sull’economia mondiale. Usando slogan moralistici, disonesti e pseudoscientifici, il movimento ambientalista ha deviato pericolosamente dai suoi obiettivi iniziali, finendo col prendere il posto di alcuni dei più radicali movimenti di sperimentazione sociale dell’ultimo secolo». Dello stesso avviso di Barone anche il canadese Mark Steyn: «L’ambientalismo di Gore non ha bisogno del sostegno della chiesa anglicana perché è esso stesso una chiesa». Il saggista Paul Driessen, autore del pamphlet Eco-imperialismo, spiega a Tempi che «la ricerca sul riscaldamento globale è diventata un lucroso affare, che promette carriere a vita e finanziamenti». Tra il 1992 e il 2000, durante l’amministrazione Clinton-Gore, la Casa Bianca ha speso circa 18 miliardi di dollari nella ricerca sul riscaldamento globale e “l’educazione”. Spiega Driessen che «nella loro costante litania apocalittica, si sono rifiutati di riconoscere i grandi miglioramenti, secondo ogni standard razionale, nella qualità dell’aria e dell’acqua, le notevoli riduzioni nell’uso di carburanti e materie prime per unità di prodotto e i significativi declini nel tasso di crescita della popolazione umana. Perfino uno studio recente di Conservation International, che dimostra come quasi la metà della superficie terrestre si trovi ancora allo stato selvaggio e come le foreste pluviali tropicali siano ancora largamente intatte, ha provocato le grida di incredulità e indignazione dei gruppi più radicali». Non solo, il gorismo riflette anche «la prevalente mentalità dei Verdi e dell’Unione Europea, che vedono gli americani come grossolani, avidi, spreconi, portati all’eccessivo consumo di risorse naturali».

La Royal Society contro la Exxon
La paura è amica della censura. è successo che la Royal Society abbia chiesto alla multinazionale Exxon di interrompere il finanziamento di 39 fra organizzazioni e centri studi a cui ha destinato fondi per la ricerca sull’ambiente. Il tempio della scienza ha stilato una blacklist di scienziati che non accettano le previsioni catastrofiste di Gore e del “rapporto Stern”. Due gruppi, il George Marshall e il Competitive Enterprise Institute, sarebbero “colpevoli” di aver diffuso un rapporto in cui spiegano che l’innalzamento della temperatura non è legato alle emissioni nell’atmosfera. E gli scienziati dell’Harvard-Smithsonian Center di aver detto che le temperature correnti sono due gradi più basse rispetto al «caldo periodo medievale». «Le sarei grato se volesse farmi sapere quali organizzazioni nel Regno Unito hanno ricevuto fondi», ha scritto alla Exxon il capo delle comunicazioni della Royal Society, Robert Ward. è la prima volta che l’accademia che fu di Newton e Darwin ha chiesto a una compagnia di bloccare la ricerca.
La Royal Society, ma più in generale la cultura occidentale, deve scegliere fra il suo motto oraziano («nullius in verba») e il soffocamento di quella libertà di pensiero e scientifica che rivendica solo quando si tratta di frullare embrioni. Il motto della Royal Society significa: non ti fidare della parola di alcun maestro. Tantomeno di un ex vicepresidente fallito che ha investito carriera e denaro nel diffuso senso di colpa dell’Occidente.

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