Motta: «Leopardi ha successo negli Usa perché rispecchia l’uomo di oggi»

Di Daniele Ciacci
04 Gennaio 2012
Intervista a Uberto Motta, ordinario di Letteratura italiana presso l'Università di Friburgo, sul successo dei Canti di Leopardi in America: «Ha molto da dire ai lettori di oggi. Anche nell’aggressività delle sue affermazioni più dure, è vicino al sentire contemporaneo, ad esempio nella combinazione di desiderio d’infinito e scetticismo»

Il New York Times, alla fine del 2011, ha registrato un forte apprezzamento per il poeta italiano Giacomo Leopardi da parte dei lettori degli Stati Uniti. I Canti, tradotti da Jonathan Galassi, sono stati inseriti tra i 100 libri più importanti del 2011 negli Usa, dove questa faccia della letteratura italiana è ancora poco conosciuta. Secondo Uberto Motta, professore ordinario di Letteratura italiana presso l’Università di Friburgo, «tra tutti gli autori della nostra tradizione Leopardi è quello che possiede tutte quelle caratteristiche che rendono un autore affascinante».

A cosa è dovuta la riscoperta di Leopardi oltreoceano?
«La ragione è duplice. Innanzitutto per la bella traduzione di Jonathan Galassi, che ha riscosso un grande successo. Prima, l’autore italiano più presente in America era Dante. Però, se si superano le circostanze contingenti, si può anche scorgere una ragione più profonda. Non è difficile dire che tra tutti gli autori della nostra tradizione, Leopardi sia quello che possiede tutte quelle caratteristiche che rendono un autore affascinante».

Quali sono?
«Da un lato, la classicità della scrittura, conquistata a prezzo della fatica ma che senza dubbio raggiunge l’apparente naturalezza di un dettato cristallino. Si pensi Alla luna, All’infinito o A Silvia. È una scrittura immediata, che un buon traduttore non fatica a rendere in altre lingue. Questa trasparenza la deve sicuramente a Petrarca».

Quindi, Leopardi incanta solo per una ragione formale?
No, anche per i contenuti: il recanatese ha molto da dire ai lettori di oggi. Anche nell’aggressività delle sue affermazioni più dure, non è difficile notare una certa vicinanza con il sentire contemporaneo, come la combinazione di desiderio d’infinito e scetticismo, di aspirazioni al vero e paura ad abbandonare totalmente il positivismo».

Perché i nomi della nostra letteratura contemporanea non colpiscono con la stessa forza i lettori americani?
«Non mi sentirei di dirlo. Anzi, potrei osservare l’opposto. C’è una grande attenzione verso molti esponenti della letteratura italiana del Novecento. Ad esempio Pirandello, Calvino, Eco, Fo sono autori che circolano molto. Persino Montale ha avuto un cospicuo numero di edizioni, segno di una notevole attenzione del mercato e della critica».

Anche nel campo accademico si registra questo apprezzamento?
«L’America è sempre stata famosa per gli studi medievalistici – Dante su tutti – e rinascimentali. Tuttavia, negli ultimi quindici anni si è assistito a un crescente interesse nei confronti dell’età contemporanea. Non è difficile trovare corsi sui letterati durante il fascismo, su Primo Levi o sul neorealismo. La fortuna di Leopardi non è un segnale di disinteresse verso il Novecento».

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