
Moschea a Milano, il bando di Pisapia è stato «inutile e rischioso». Parola di imam

«A Parigi hanno costruito ghetti in periferia, a Bruxelles i ghetti si trovano in centro. Io spero che in Italia si possa affermare un modello ambrosiano per quanto riguarda il rapporto con l’islam». Quando Yahya Pallavicni (foto in basso), vicepresidente di Coreis (Comunità religiosa islamica) e imam della moschea Al-Wahid di Milano, parla di “modello” pensa a molte cose, ma tra queste non rientra sicuramente il bando per la costruzione di nuovi luoghi di culto proposto dalla giunta Pisapia.
PERCHÉ UN BANDO? Il 4 aprile il Comune di Milano ha firmato un “procedimento di autotutela”, preludio al fallimento del bando, che potrebbe terminare con un sostanziale nulla di fatto. È tutto da rifare, insomma, e l’imam Pallavicini non sembra scontento: «Non si capisce perché si è voluto fare un bando quando non mi risulta che parrocchie e sinagoghe siano sottoposte alle stesse procedure. Il Comune non può delegare alla tecnica formale di un bando la soluzione del pluralismo della libertà di culto».
«NON TUTTI SONO AFFIDABILI». Anche perché non tutte le comunità di musulmani a Milano sono uguali. «Noi in via Meda abbiamo uno spazio di proprietà che è stato premiato dalla giunta Moratti con l’Ambrogino d’oro», continua il vicepresidente di Coreis. «Esistono già comunità radicate sul territorio, affidabili e trasparenti con cui interloquire. Invece mi dispiace dover dire che altri interlocutori o modelli hanno creato problemi e hanno dimostrato di essere inaffidabili anche per quanto riguarda la predicazione».
«EVITARE CATTEDRALI-MOSCHEE». L’imam preferisce non fare nomi e non alimentare polemiche, anche se i riferimenti sono piuttosto chiari. «Per un proficuo rapporto con l’islam nella città del patrono Ambrogio non serve la tolleranza. Bisogna promuovere l’attenzione alle identità storiche e spirituali del luogo, così come delle novità culturali e religiose, che devono integrarsi sempre nel rispetto della storia e del patrimonio di Milano». Ecco perché «bisogna evitare artificiose cattedrali-moschee nel deserto, ma seguire il modello dei piccoli luoghi di culto, delle piccole sinagoghe, delle parrocchie. Come ci sono sinagoghe gestite in modo dignitoso da rappresentanze affidabili e serie, così deve essere per le comunità musulmane». Servono «referenti credibili e accreditati, garanti dell’autenticità della loro rappresentanza confessionale».
ATTENZIONE AI SOLDI. Ma non è con un bando che si può distinguere tra i referenti adatti e meno adatti, perché «se poi affidiamo il bando a una realtà antisemita abbiamo di fatto aggravato il problema». Ora che il bando sembra fallito, la nuova amministrazione comunale dovrà ripartire con dei punti fermi: «Scegliere bene gli interlocutori giusti. Poi il Comune deve verificare l’affidabilità dei finanziamenti. Bisogna evitare che finanziatori stranieri paghino la costruzione della moschea e poi, forti dei soldi, facciano ricatti per condizionare la predicazione con sfumature ideologiche. È chiaro che se un interlocutore si presenta al Comune con i finanziamenti stranieri non è per forza negativo, ma credo che possa mettere in imbarazzo Milano».
ASSISTENZIALISMO DI FACCIATA. L’obiettivo è «promuovere quello che l’arcivescovo Angelo Scola chiama unità nella pluriformità». E se da una parte i musulmani devono mettere da parte il vittimismo, dall’altro i politici devono bocciare l’assistenzialismo. Soprattutto quando è un assistenzialismo di facciata per nascondere altri interessi: «Le rappresentanze religiose, se vogliono qualcosa, non possono pretenderlo, devono dare garanzie. Il Comune però non può far finta di essere generoso e affidare con un bando la bonifica di tre aree che non ha né l’interesse, né la capacità di valorizzare. Con la clausola che lascia le aree per un po’ agli enti che le sistemano con i loro soldi e poi magari si riprende tutto. Non confondiamo la libertà di culto con la gestione della cosa pubblica. Perché facendo così che cosa è stato risolto? Niente».
Foto Ansa
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