
Mori. Fiandaca: «Pm approssimativi, trattativa “pompata” dai media. Ma in tribunale non basta ipotizzare»
Da una parte una difesa sugli specchi, che appare al lettore almeno piena di rancore. Dall’altra parte, una bacchettata ferma e decisa all’intero sistema accusatorio. Il mezzogiorno di fuoco della giustizia a Palermo è pubblicato oggi sulle pagine del Corriere della sera: doppia intervista al procuratore aggiunto palermitano Vittorio Teresi, che dopo Ingroia guida il pool di magistrati impegnati nei processi sulla presunta trattativa Stato-mafia, e a Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto Penale nell’università del capoluogo siciliano, ex membro del Csm, maestro di Antonio Ingroia, penalista di riferimento della sinistra.
Eppure, come aveva già fatto in un complesso intervento su una rivista di settore e in convegni pubblici, Fiandaca non ha mai avuto dubbi: «In un tribunale non basta ipotizzare. Ho letto la memoria dei pm nel processo “trattativa”. Venti paginette. Le prime quindici dalla nascita del mondo alla caduta del muro di Berlino in un affresco sociologico. Le altre cinque tentano di contestare il reato di violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato, reato però che considero sbagliato a configurare in questo caso».
TERESI: «VINCE CHI HA LE CORNA PIU’ DURE». Per Fiandaca senza dubbio l’assoluzione del generale Mario Mori per la presunta mancata cattura di Bernardo Provenzano avrà forti effetti anche sul processo trattativa, nel quale non ha mai creduto. Ripete: «In un tribunale non basta ipotizzare». Il procuratore Teresi si dimena verbalmente, cerca di svincolarsi dalle accuse e finisce per chiudersi in un vicolo cieco: «C’è una guerra psicologica contro di noi. Vincerà chi ha le corna più dure. Non è concepibile che qualche professore confonda l’articolo 338 del codice penale (l’accusa cardine nel processo trattativa di “minaccia al corpo dello stato”) con una trattiva solo sulla base di una memoria riassuntiva scritta in fretta e furia dalla Procura. Il processo è fatto di 78 faldoni, e ci sono quasi tutti gli atti del processo Mori». Fiandaca risponde senza scomporsi e analizza i fatti. Con l’assoluzione Mori, secondo il professore, «cade una colonna portante dell’impianto accusatorio» del processo trattativa, «il presunto patto mai provato fra Mori e Provenzano sta alla base di tutto il resto». Poi aggiunge: «Teresi non sa niente della giurisprudenza di Strasburgo, che dice che l’imputazione deve essere chiara ed evidente, che deve capirla anche un bambino di dieci anni. La verità è che i pm palermitani si sono rivelati tecnicamente approssimativi».
DUE VISIONI DELLA GIUSTIZIA. Fiandaca prosegue: «Parlano di “strategia” senza che si capisca a cosa alludono». Teresi dall’altra parte balbetta: «Sì, questa assoluzione forse rende più complicato il processo trattativa, ma non lo azzera. Dovremo leggere le motivazioni, capire». Insiste su una concezione del diritto che ha davvero poco a che fare con il giudizio sui reati in un’aula di tribunale: «Come magistrato resto convinto che il processo è il luogo dove si deve cercare la verità». Il giurista nel cuore della sinistra Fiandaca, intanto, affonda l’intera “scuola di pensiero” che ha voluto imporsi sul resto della procura di Palermo negli ultimi decenni: «Ingroia è stato mio allievo, gli voglio bene, però questo non mi impedisce di essere critico. Di Matte non lo conosco bene: ma a prescindere dai singoli magistrati ho l’impressione che campeggi un orientamento di tipo sostanzialistico, non sufficientemente attento ai principi e alle categorie del diritto penale. Ma bisogna pure che qualcuno lanci l’allarme su questa deriva giuridica. E sono contento che mi arrivino tanti attestati di solidarietà da altri professori di diritto, da giudici, anche dai magistrati dei Verdi e di Magistratura democratica, tutti stanchi di questa “trattativa” pompata dai media».
«ORIENTAMENTO CHE DEVASTA IL DIRITTO». Fiandaca osserva: «I media sono malati da tempo. Suonano i tamburi estremizzando la notizia in una drammatizzazione spettacolare in cui prevale chi la spara più grossa. Trattativa, tradimento, facilitazione indiretta alla morte di Borsellino diventano così anelli di una catena che prescinde dalla ricerca del reato, dalla configurazione giurica. Ma c’è pure la “lagnusia”, la pigrizia che fa la sua parte, e prevalgolo le tifoserie. Il rischio è che prevalga un sentire per cui i principi del diritto fondamentali diventano un lusso accessorio. Un po’ come accade con le “agende rosse”, con tanti ragazzi convinti che comunque gli imputati vadano puniti, a prescindere dalle prove. Un orientamento religioso-moraleggiante che devasta il diritto».
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!