
«Il fango ci ricorda che ciò che diamo per scontato può sparire in un attimo»
«Avevo timore di trovare un paese in ginocchio, distrutto. Invece ho trovato gente lieta che lavora a pancia bassa e senza recriminare.
«Avevo timore di trovare un paese in ginocchio, distrutto. Invece ho trovato gente lieta che lavora a pancia bassa e senza recriminare. I giovani erano molti, moltissimi» racconta Fernanda Bastiani, medico di base di Colecchio, parlando di Monterosso, uno dei paesi colpiti dall’alluvione che ha investito la Liguria il 4 novembre. «Sono innamorata di questo borgo dove vengo a ritemprarmi appena ho un attimo di tempo». Il cuore di Fernanda è ancora fermo alle immagini di «quel paese splendido» mentre parla «del fango di 2-3 metri di altezza che adesso è scomparso da negozi, ristoranti e piani terra delle case, ancora pieni di gente intenta a ripulire e sistemare le ultime cose». Le tre strade principali, che coprono da un millennio i canali, portano i segni del disastro; in particolare quella del paese vecchio ha numerosi squarci, all’interno dei quali lavorano instancabili con i bobo-cat i militi della Protezione civile per rimuovere i detriti, protetti da un aspiratore pneumatico per le esalazioni.
A dimostrare questa tempra non indifferente è «gente schiva ma semplice e fiera». Uno dei militi viene da Benevento, accompagna le persone nella zona rossa e spiega quanto stanno facendo, «dice che per il momento non c’è bisogno di medici, non c’è tempo di pensare alle malattie, il morale è alto». Entro una settimana lasceranno il paese per non gravare sull’amministrazione: «Villa Adriana, albergo di proprietà di religiose sud tirolesi, ha ospitato, sfamato e coperto di ogni attenzione in tutti questi giorni gli sfollati» spiega Fernanda. Restano due enormi cumuli di fango e macerie nella spiaggetta antistante il porto e il parcheggio di Fegina. Verranno presto rimossi. Nella piazza del paese un enorme tendone bianco della Protezione civile copre la mensa con i tavoli già apparecchiati. Fa da cornice un mare calmo e stupendo, «come non l’ho mai visto. Io, spaventata dalla distruzione del posto che per me è il più bello al mondo, non mi aspettavo potesse essere anche meglio: con spiagge deserte e così linde». Al tramonto, da Cigolini, Fernanda osserva la spiaggia più spettacolare: sul faraglione c’è un pescatore assorto e, solo qualche metro distante, un cormorano nero. Anche lui è a caccia di pesce. Si immerge, nuota e riaffiora più in là. I gatti di Monterosso passeggiano tranquilli, anche loro a coda alta.
Gli amici di sempre, al passare di Fernanda si fermano, salutano e raccontano: «Abbiamo perso molto, ma riusciremo a riprenderci» spiegano mentre discutono della chiesa parrocchiale che, appena restaurata, ha subìto molti danni all’arredo: «Stiamo cercando idropulitrici professionali per la comunità, anche una soltanto».
«Venerdì scorso gli abitanti di Monterosso hanno poi deciso di festeggiare la festa di san Martino» continua Fernanda. Una tradizione per il paese che celebra goliardicamente l’evento: «La festa dei cornuti la chiamano». Fino alla sera prima gli abitanti non sanno se annullarla. Poi decidono che ne vale la pena. Le ragioni della scelta sono chiare. Il discorso di apertura della sagra è tenuto dal ferramenta del paese (guarda qui, sulla pagina di Facebook di Tempi.it, il video con il discorso integrale): «Abbiamo passato giorni nel fango senza nulla. Ognuno di noi ha perso qualcosa. Tanti di noi sono ancora fuori casa. È dura ma noi facciamo festa». Il ferramenta non si ferma qui e sottolinea che «facciamo festa, non per dimenticare, ma perché se si guarda indietro si rischia di non andare avanti e noi vogliamo andare avanti».
Di più. «Quello che è successo ci fa capire che tutto quello che diamo per scontato può sparire in pochi minuti. E che è meglio un amico vero che soldi in più». Il ferramenta ride con un elmetto cornuto che gli balla in testa, la gente si diverte e applaude. Trova anche le parole per sorridere dei ragazzi del paese, da cui anche quell’uomo dalle spalle larghe e gli stivali ancora pieni di melma è rimasto colpito: «Noi di una certa età abbiamo sempre pensato che foste un branco di galline spinellate. Non abbiamo cambiato idea – ride l’uomo – ma avete dimostrato di essere molto di più». Fra le burla la conclusione. Quasi a non voler perdere quanto emerso dal fango: «Pensateci quando sarà tutto finito, quando Monterosso sarà più bello di prima. Pensate ai giorni dello sconforto, ma anche alla bellezza di tornare a casa dopo il lavoro insieme stanchi, ma contenti».
Fernanda dice di aver scoperto di più anche del segreto di quell’«incantevole rifugio e dolce rimedio alle tempeste della vita», come ha scritto al sindaco del paese per mettere a disposizione il suo aiuto e quello di altri medici amici. «Ho scoperto una posizione umana – conclude – vera, un atteggiamento onesto nei confronti della realtà che non genera obiezione, pregiudizio, recriminazione ma disponibilità e risposta creativa ed efficace». Da dove viene? «È umana. Poi credo che la bellezza in cui i monterossini vivono immersi da sempre, e lo stupore che ne consegue, siano più grandi del fango da cui sono venuti fuori». Per questo, conclude la donna, «mi sento addosso la responsabilità di capire e non ignorare quanto è accaduto e accade».
Flannery O’ Connor, continua Fernanda, «nella postfazione del suo libro La saggezza del sangue scrive: “Nascendo cattolico, ricevi qualcosa di dato e accettato prima di farne esperienza. Io sto arrivando solo per gradi a fare esperienza delle cose che accetto da sempre (…) senza esperienza la convinzione genera asprezza”. Così è per me e credo sia stato per la gente di Monterosso. Hanno fatto esperienza, impattandosi con la realtà, di una saggezza che avevano nel sangue, già data. Il giudizio espresso pubblicamente è scaturito in modo cristallino proprio da questa esperienza».
La conseguenza, conclude, «è che riconoscendo un bene non lo molli, nei fai parte con altri e ti ci attacchi. Dall’uso corretto della ragione scaturisce l’affezione. Per questo nel disastro mi ritrovo più affezionata a questo paese, anche se non è più esteticamente perfetto».
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