Mistero sudanese

Di Rodolfo Casadei
08 Novembre 2001
A che gioco sta giocando il Sudan? Il paese dove nel 1989 sono saliti al potere militari ed estremisti islamici insieme e che fra il 1992 e il 1996 ha ospitato Bin Laden e i suoi uomini, oggi si presenta come il tassello più indecifrabile del mosaico internazionale dopo gli attentati dell’11 settembre.

A che gioco sta giocando il Sudan? Il paese dove nel 1989 sono saliti al potere militari ed estremisti islamici insieme e che fra il 1992 e il 1996 ha ospitato Bin Laden e i suoi uomini, oggi si presenta come il tassello più indecifrabile del mosaico internazionale dopo gli attentati dell’11 settembre. Il vicepresidente Ali Osman Taha annuncia che il governo “non abbandonerà mai il jihad” contro il sud ribelle; il ministro degli esteri Ali Osman Taha dichiara ai tigì italiani che non ci sono prove della colpevolezza di Bin Laden, e intanto per le strade di Khartum si svolgono manifestazioni di sostegno al miliardario saudita nel corso delle quali vengono bruciati ritratti di G.W. Bush. Ma intanto l’ideologo degli estremisti islamici Hassan al – Turabi è agli arresti domiciliari da febbraio, il governo condanna il terrorismo e starebbe attivamente collaborando con le autorità Usa, tanto che il 29 settembre le Nazioni Unite, con l’approvazione degli americani, hanno abolito le sanzioni che colpivano il Sudan per aver ospitato nel 1995 gli attentatori che avevano cercato di uccidere il presidente egiziano Mubarak al Cairo. Come si spiega una situazione tanto schizofrenica? È certo che già da anni il Sudan sta cercando un riavvicinamento con gli Usa. Nel 1996 il governo del presidente al-Bashir è stato sul punto di consegnare agli americani Bin Laden, e pare che a tirarsi indietro siano stati proprio gli Usa, timorosi di non avere prove sufficienti per ottenere la condanna del saudita in giudizio. Nell’estate dello scorso anno i sudanesi hanno fatto insediare a Khartum una delegazione di Cia e Fbi con piena libertà di indagare su eventuali presenze terroristiche (il Sudan figura sempre sulla lista dei paesi sostenitori del terrorismo che annualmente il Dipartimento di Stato Usa rende nota) e sulle loro attività finanziarie. All’indomani degli attentati dell’11 settembre le autorità sudanesi avrebbero arrestato, e forse anche consegnato, una trentina di individui segnalati dagli Usa. I numeri esatti dell’operazione non sono a tutt’oggi noti, ma è appurato che il 24 settembre scorso l’aeroporto di Khartum è stato chiuso al pubblico per quattro ore, e da esso è partito un aereo senza insegne per destinazione sconosciuta. Il giorno dopo alcuni negozi del quartiere di Riyadh, gestiti da arabi volontari della guerra in Afghanistan scesi poi in Sudan al seguito di Bin Laden, non hanno aperto i battenti e i loro gestori sono risultati da quel momento volatilizzati. I sudanesi avrebbero fornito agli americani anche informazioni sensibili su 25 Ong musulmane e sui loro conti presso alcune banche arabe. La politica di al-Bashir ha tre motivazioni: evitare altre rappresaglie Usa come quelle del ’98, ottenere la cessazione del sostegno americano ai ribelli del sud e creare le condizioni perché infine il petrolio sudanese possa essere sfruttato. Le manifestazioni pro Bin Laden rappresentano il tentativo di al-Turabi di sfruttare il sentimento anti-americano popolare contro al-Bashir, che non può concedersi il lusso di reprimerle. Per questo i ministri diffondono dichiarazioni pubbliche che sono capolavori di ipocrisia. Ma che sono l’unica strada percorribile di un’inedita collaborazione fra Usa e regime di Khartum.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.