
Miseria, nobiltà e stranezze nella lotta di genere all’italiana

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – C’è una verità profonda scolpita in controluce nella splendida, ironica e poco riverente vignetta di copertina disegnata da Vincino (scusateci, principesse): la progressiva svirilizzazione della società e della cultura in generale, in Italia e altrove, trova un riscontro sempre più evidente nell’emergere di leadership politiche femminili. Con le dovute differenze, tuttavia: non appena possibile mi diverto a ricordare ai miei interlocutori televisivi di sinistra, ai corifei delle quote rosa e ai demonizzatori del maschio, che le donne di potere europee dimorano quasi esclusivamente nel fronte conservatore. In Italia, oltretutto, non si conoscono presidenti o segretarie di partito gosciste consacrate da un suffragio elettorale domestico. Esistono, sì, figure di primo piano come Maria Elena Boschi e Laura Boldrini, ma nessuna di queste è paragonabile a una Giorgia Meloni per status e consenso. Strana, la lotta di genere. A sinistra viene declinata in forma rivendicativa, attraverso una sindacalizzazione corale del tema e in omaggio al principio giacobino dell’egualitarismo imposto per decreto o tramite ghigliottina, dall’alto di un presunto primato antropologico ormai scolorito dal rosso al rosa. E con una non trascurabile aggravante emotiva: la totale assenza di autoironia. Che siano gli occhi liquidi e piangenti di Laura Boldrini (i famigerati “occhi della madre” nella fantozziana rievocazione della Corazzata Potiomkin) o quelli incantati e perforanti di Maria Elena Boschi, raramente vi scorgerete una luce di umorismo. Complice, aggiungo io, l’indicibile ma concretissimo senso di competizione che spesso fa delle donne, fra loro, le più capaci interpreti del così detto fuoco amico.
E a destra? La questione femminile esiste anche qui, ma viene formulata in modo diverso, secondo un canone che premia più la libertà e il merito rispetto alle lamentele di genere, più la contrattazione personale che non quella collettiva e ciecamente orizzontale. Nell’intervista a Giorgia Meloni che pubblichiamo su questo numero di Tempi, purtroppo non leggerete le parole di stima e amicizia rivolte a Mara Carfagna dalla leader di FdI. Perché anche lo spazio è tiranno, non soltanto il tempo. Ma garantisco io, che le ho ascoltate, così come ho percepito dall’inizio alla fine della conversazione con Fabrizio Ratiglia quella serissima levità che induce Giorgia a farsi serenamente ritrarre nella nostra copertina sulle Regine di Spade come la Daenerys Targaryen della Garbatella. Chapeau.
Immagino già le obiezioni occhiute dei detrattori professionali: e il bunga bunga? E il machismo brianzolo berlusconiano? E le cene eleganti? Per anni abbiamo dovuto ingollare ogni giorno quintalate di puritanesimo sinistro applicato alla vita privata di Silvio Berlusconi, proprio quel Cav. che i puritani di ieri consacrano oggi come ultimo argine alla dilagante ascesa del populismo salviniano armato di ruspe e bambole gonfiabili. Devo aggiungere altro? Sì. Studiate da vicino l’intelligenza pratica e la militanza animalista di Michela Vittoria Brambilla, altro gran colpo di scouting politico da parte d’un centrodestra al femminile che ha saputo valorizzare sensibilità e sfere d’influenza prima d’ora monopolizzate dalla sinistra. E non vi stupite se, di qui a qualche mese, dal cilindro rosa di Arcore uscirà fuori una qualche potente figura femminile che s’intesterà una battaglia ideale per un ambientalismo sostenibile, non fanatico né settario, molto verde e altrettanto biancorosso. Nell’attesa del Re, ancora dormiente, eccovi dunque le Regine di Spade.
Foto Ansa
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