Minori veneti condannati dal giudice ad andare a Messa

Di Carlo Candiani
20 Maggio 2011
Due giovani di Bassano del Grappa, colpevoli di bullismo, sono stati condannati dai giudici a un maggiore impegno scolastico, al volontariato e alla partecipazione obbligatoria alla Messa. Si tratta del riconoscimento del valore pedagogico della religione oppure di un modo per far sembrare la Messa simile a un castigo?

Ecco un bell’argomento da sondaggio a tappeto, una notizia capace di aprire discussioni infinite. 
Il Tribunale dei Minori di Mestre ha disposto per due ragazzi di Bassano del Grappa che hanno rapinato alcuni loro coetanei, compiendo atti di bullismo, un anno di “prove correttive”, per poter in seguito valutare quali pene infliggere per le loro bravate: un percorso di redenzione che va dall’impegno scolastico, al volontariato, alle scuse ufficiali alle famiglie delle vittime, fino alla partecipazione festiva alla Messa.


Quest’ultima imposizione del giudice, se confermata, sorprende e divide tutti in entusiasti e perplessi. Un confronto serio su questa decisione del giudice è importante perché svela il rapporto di ciascuno con il fatto religioso e la sua funzione sociale, che riguarda non solo il concetto di “laicità” dello Stato ma anche quello di libertà religiosa e se sia giusto obbligare all’osservanza dei riti religiosi per sentenza.

Le reazioni sono di due tipi: una ritiene che non si può, anche lontanamente, anche involontariamente, far passare la partecipazione alla Messa come un castigo, una pena da scontare. Oddio, tra canti schitarrati “new age” e omelie interminabili, spesso la domanda che nasce spontanea è: “Che cosa abbiamo fatto di male per meritarci simili scempi?”. Ma, fuor di battuta, una decisione come questa potrebbe essere intesa come affermazione dello Stato etico, che sembra lontano dai canoni della base del Cristianesimo, perlomeno quello post–medievale.

La seconda reazione è di apprezzamento della decisione del giudice perché in questo modo si riconosce il ruolo pedagogico del fatto religioso, insieme al classico tragitto educativo scolastico e al volontariato, nella vita quotidiana. Sarebbe dunque una conferma della validità del valore civile della religione da parte dell’autorità giudicante, pur attraverso un’imposizione sentenziata in tribunale. Le due posizioni sono antagoniste, difficile dire quale delle due è l’interpretazione giusta.

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