
«Ministro Azzolina, venga qui a vedere come riapre una scuola»

«L’ordinanza del 17 maggio della Regione Veneto ha dato la possibilità di riaprire, nel rispetto di alcune norme. Abbiamo avvisato i nostri 250 alunni e rispettive famiglie. Nessuno ha fatto obiezione, e così abbiamo riaperto». Alberto Raffaelli, preside dell’Istituto alberghiero Dieffe, lo dice con parole semplici e anche con un po’ di orgoglio: «In certe condizioni si può fare. Vedo molte polemiche sulla riapertura delle scuole, ma non bisogna fasciarsi la testa prima di romperla e, soprattutto, non dobbiamo nasconderci dietro alle regole. Al contrario, penso che sia importante, anche da un punto di vista educativo, mostrare ai ragazzi che, con qualche accortezza, il pericolo è giusto affrontarlo. Altrimenti, cosa insegniamo loro? Che quando c’è una difficoltà l’unica soluzione è scansarla?».
No al plexiglas
Valdobbiadene, culla del Prosecco. È qui che la scuola di Raffaelli ha aperto per dieci giorni le sue aule, accogliendo a turno gli studenti per un giorno, dalle 8 alle 13.30, facendo ruotare le classi, mettendo i banchi a distanza di sicurezza, facendo indossare mascherine, mettendo a disposizione il gel per le mani, sanificando e ventilando l’ambiente dopo le lezioni. Insomma, si può fare, no? Oppure dobbiamo per forza inscatolare gli studenti in gabbie di plexiglas? «Per carità», dice Raffaelli. «Noi, in effetti, abbiamo una gran fortuna: la nostra struttura ha spazi ampi, in un’aula ci stanno anche 24 alunni a distanza di sicurezza. Quindi, appunto, potendo farlo, perché non farlo? Vorrei dire al ministro Lucia Azzolina: venga qui da noi a vedere come ci siamo riusciti».
La vita è più grande della malattia
Le giornate, racconta il preside, sono andate molto bene. «All’inizio i ragazzi erano un po’ intimiditi, quasi timorosi. Abbiamo pensato di chiedere loro come avevano vissuto questi cento giorni. Non è vero che “non è successo niente” o “non abbiamo fatto niente”. Si è fatto scuola, solo in un modo diverso; si è vissuto, solo in un modo diverso». Non è stato un tempo sospeso, è stato un tempo nuovo, «ed è importante che i ragazzi ne siano consapevoli. Qualcuno ha iniziato i corsi per entrare nella Protezione civile, qualcun altro ha scoperto nuove ricette. Abbiamo fatto loro ascoltare la presentazione del primo movimento della Quinta di Beethoven da parte di Ezio Bosso, il direttore d’orchestra morto recentemente. “Ecco, vedete?, abbiamo detto loro: la vita è più grande della malattia”».
La scuola si fa in presenza
I ragazzi del terzo e quarto anno sono venuti a scuola per due giorni. «Il lavoro di cucina è un lavoro d’équipe, ma alle attuali condizioni va ripensato. Così abbiamo strutturato i laboratori in modo che ci fossero postazioni individuali e poi abbiamo chiesto loro, in vista dell’esame, di pensare a un piatto per rilanciare il Made in Italy. È giusto che si calino anche loro dentro l’attualità: come far ripartire il Veneto dopo il Covid-19?».
Conclude Raffaelli: «La didattica online è stata fondamentale, ma la scuola è un’altra cosa. Perché c’è differenza tra istruire (cioè fornire nozioni) e formare. Per educare occorre accompagnare e per accompagnare bisogna esserci, essere presenti, dal vivo. Questo è il cuore della questione: non si educa solo con le parole, ma con l’esempio».
Foto Dieffe
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