Il Deserto dei Tartari

Mini alberi in piazza Duomo? Mini capri espiatori per mini adepti del mini ecologismo milanese

Ma me lo sapete dire perché Milano avrebbe bisogno di alberi alti tre metri nelle aiuole di piazza Duomo nell’area retrostante la statua a Vittorio Emanuele, sulla sinistra? Perché bisogna piantare frassini o carpini, non ho capito bene, là dove non ce ne sono mai stati? Che cosa aggiungono all’estetica, alla funzionalità, ai valori architettonici della piazza qualche decina di fusti e un sacco di foglie che andranno a sporcare il lastricato? In piazza Duomo ci si va per vedere e magari visitare, appunto, il Duomo di Milano, la Galleria Vittorio Emanuele, le mostre a Palazzo Reale e il museo del Novecento all’Arengario, la Loggia dei Mercanti proprio subito dietro le famose aiuole. Non è un’area residenziale bisognosa di un inserto vegetale a colori per ritrovare un po’ di armonia, o di un polmone verde per non soffocare: è la piazza principale della città capitale economica e finanziaria d’Italia!

Capisco l’iniziativa “adotta un’aiuola” con cui l’amministrazione comunale ha coinvolto i residenti nella creazione e manutenzione di fazzoletti di verde e di fiori in vari punti della città: in molti angoli o quartieri di Milano la bellezza è profuga, speculazione edilizia ed edilizia popolare per tasche poco profonde hanno portato al sacrificio degli spazi e alla trascuratezza dell’arredo urbano. Trovo naturale che molti cittadini abbiano effettivamente “adottato” aiuole in largo Treves, in via Rosales o in via Giacosa, in largo Marinai d’Italia. Ma perché dovrebbero presentare progetti e adottare per tre anni, tramite concorso comunale, l’aiuola in piazza Duomo?

“Calmati”, direbbe qualcuno, “ricordati che il progetto originario dell’archistar ecologista Renzo Piano prevedeva 212 frassini alti 20 metri disposti su file che trionfalmente sarebbero partite dalla piazza per costeggiare via Dante fino al Castello Sforzesco”. Da certe angolazioni la facciata del Duomo e la guglia della Madonnina non sarebbero state più visibili. Per mesi via Dante sarebbe diventata un colabrodo di lavori in corso: ve lo immaginate cosa si sarebbe dovuto fare in previsione dell’espansione delle radici di 212 alberi destinati a raggiungere l’altezza di venti metri? Il sottosuolo del centro di Milano è un intrico di cavi, condotte, tubi, macerie e resti vari di antiche e meno antiche costruzioni.
Sì, quel progetto lo ricordo bene: contro di esso tre anni fa sparai a palettoni da questo stesso blog, che allora si chiamava “Il mondo è grigio il mondo è blu”. Scrissi che l’ossessione dell’architetto che voleva piantumare alberi a due passi dal Duomo e dalla Galleria era tutta ideologica:
«Renzo Piano ha spiegato in una sua lettera al Corriere della Sera: “Sono loro (gli alberi, ndr) la finestra aperta sul ciclo della natura, che poi è anche il ciclo non eterno della nostra vita. E ci ricordano che anche noi facciamo parte della natura, con tutte le conseguenze del caso”. Capito? Piano prima scrive che gli alberi in città servono a rallegrare i bambini, a rendere più bella la città, a farla respirare, ad assorbire la Co2 emessa dai veicoli, ecc. Cioè tutte le ragioni utilitaristiche del verde in città. Che però hanno poco a che fare con una “vegetalizzazione” del centro storico. Ma poi svela la ragioni ideologiche, addirittura religiose (di una religiosità panteistica) dell’operazione. Piano vuol mettere gli alberi in faccia al Duomo per contrapporre la religione della natura alla tradizione cristiana della città: l’uomo frammento di Natura contro l’uomo creatura di Dio che l’ha pure redento. La piazza centrale di Milano è, architettonicamente parlando, un dialogo alto fra illuminismo e cristianesimo, che sono poi i due fattori identitari più forti della storia della città. Renzo Piano (e chi la pensa come lui) visibilmente non ama queste due visioni del mondo, troppo antropocentriche. E pensa di contrastarle con la sua siepe di pioppi (questa era una sineddoche: non sapevo che tipo di piante prevedesse l’intervento, ndr). Il progetto dell’architetto genovese è uno schiaffo in faccia a Milano, alla sua storia e alla sua identità».

Quello che ora il Comune di Milano vuole realizzare è il progetto di Piano ridotto ai minimi termini. In formato bonsai, verrebbe da dire, e perdonate la battuta un po’ scontata. Gli interrogativi in apertura di questo pezzo sono puramente retorici: è facile farsi un’idea delle motivazioni che hanno condotto la giunta Pisapia a indire per ottobre un bando per progetti cittadini volti all’installazione in piazza Duomo di quelli che il Corriere della Sera ha già definito “Mini alberi”.

È tornato di moda quest’estate un libro dell’ex dissidente cecoslovacco poi ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica Ceca Václav Havel intitolato Il potere dei senza potere. Uno dei passaggi decisivi del testo è quello in cui si descrive la vicenda del fruttivendolo che espone in mezzo alla merce del suo negozio un modesto cartello con sopra scritto “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, e un bel giorno decide di rimuoverlo per sentirsi più libero e più vero come uomo: il regime lo punirà severamente. Il cartello non aveva alcuna utilità politica reale rispetto all’obiettivo di realizzare l’unità mondiale dei proletari, ma ricopriva l’importantissima funzione di garantire il conformismo politico-ideologico in tutte le pieghe del vivere sociale, compresa la banale operazione del fare la spesa.

Ecco, il mini-progetto di piazza Duomo sta alla rivoluzione ecologista dei Renzo Piano come il cartello del verduraio di Praga sta al comunismo: è un atto simbolico che tiene il posto dell’ideale irrealizzabile, impone una sterile egemonia culturale e garantisce la sottomissione intellettuale dei cittadini al politicamente corretto.

Più che a ragioni di risparmio sul bilancio comunale, il coinvolgimento dei cittadini risponde agli intenti pedagogici della giunta Pisapia: tutti devono sentirsi chiamati a mostrare la loro buona volontà nei confronti dell’ideale ecologista, che sempre implica il senso di colpa dell’essere umano per il fatto di occupare spazio a questo mondo coi suoi manufatti, banali come una casa popolare o splendidi come un duomo o un palazzo reale non importa. I monumenti di piazza Duomo, civili e religiosi, devono espiare la colpa di avere sottratto risorse e spazio alla “natura”, qualunque cosa questa parola significhi nella testa degli ecologisti.

Ma anche nel senso di colpa ci sono gradazioni a seconda della versione dell’ecologismo che si intende sposare. Quello di Renzo Piano ricorda certo protestantesimo evangelico, dove il perdono per le colpe non è mai certo e allora il peccatore si lancia in penitenze vertiginose per placare la coscienza tormentata; quello dell’assessora Chiara Bisconti al Benessere, Qualità della vita, Sport e tempo libero, Risorse umane, Tutela degli animali, Verde e Arredo urbano pare più vicino alla versione cattolica: gli alberini in piazza Duomo fan venire in mente il Pater, Ave e Gloria che, se il pentimento è sincero, assicurano l’assoluzione di chi va a confessarsi (e poi il titolo dell'”assessora” è davvero barocco, e il Barocco è cattolicissimo).

Non vorremmo però che, decollato il progetto dell’aiuola in faccia al Duomo, la pratica dell'”adozione” del verde da parte dei cittadini passasse dal volontario all’obbligatorio. Ci ritroveremmo con gli stessi dilemmi e forse con gli stessi ricatti a cui doveva sottostare il fruttivendolo di Praga.

@rodolfocasadei

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1 commento

  1. Il Filarete

    Gli archi-star sono un flagello. Guadagnano una montagna di soldi, affliggono il mondo con la loro presunta superiorità artistica (ma nelle loro opere, 90 casi su 100, ci piove, non si può vivere) e ogni tanto sparano delle cazzate inverosimili.
    Sono tutti uguali al celebre architetto Fuffas, forse il miglior personaggio inventato da Crozza (cercare su YouTube)

    Il guaio è quando trovano un cretino che gli dà retta.

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