
Milei, antiabortista e libertario. Non c’è contraddizione

Javier Milei, da un anno presidente dell’Argentina, è fermamente contrario all’aborto. Una posizione ribadita in più occasioni che ne fa un politico davvero anomalo e non solo per le sue idee in campo economico. Sono pochissimi, forse non ce n’è neppure uno, i politici con responsabilità di primo piano di qua e di là dell’Atlantico ad avere una posizione così netta e che, anche in Argentina, trova il consenso di una minoranza degli elettori. Si pensi a come Donald Trump ha lasciato sottotraccia lo scomodo tema in campagna elettorale o alle posizioni dei leader della destra in Italia.
Tra le figure pubbliche solo papa Francesco negli ultimi anni si è espresso con toni altrettanto netti. In questo caso la posizione assunta non stupisce ma, per molti, appare contraddittorio che a sostenerla sia un libertario senza se e senza ma.
Si tratta però di un giudizio superficiale che probabilmente deriva dalla non conoscenza di quello che è il cardine della teoria libertaria, il principio di non aggressione secondo il quale è illegittimo aggredire le altre persone o le loro proprietà tranne nel caso in cui ciò sia necessario per difendersi.
Un laico contrario all’aborto
Intervistato un anno fa da Tucker Carlson, Milei argomentava così la sua posizione:
- come libertario sono filosoficamente a favore del rispetto del diritto alla vita che inizia nell’istante del concepimento quando si forma un nuovo essere umano con il suo dna unico;
- la donna ha diritto al controllo del suo proprio corpo ma il bambino che porta in grembo non fa parte del suo corpo (così come sosteneva Norberto Bobbio, intervistato da Giulio Nascimbeni sul Corriere della Sera alla vigilia del referendum del 1981);
- pertanto, l’aborto è un omicidio aggravato dal legame famigliare e dalla sproporzione tra la forza tra madre e quella del figlio che non può difendersi.
Negli stessi termini di Milei si espresse Sergio Ricossa, il più autorevole economista liberista italiano nella seconda metà del secolo scorso che, sul Giornale del 27 maggio 1998, scriveva:
«Non sono papalino. Sono un laico contrario all’aborto… bisogna che ognuno abbia i suoi principi e che li rispetti, per rispettare se stesso. Uno di questi è: non assassinare, se non per evitare di essere assassinato. L’embrione, una volta concepito, ha dei diritti che spetta alla società tutelare, se i genitori minacciano di non tutelarli… Sento odore di ipocrisia alla Rousseau a proposito delle metafisiche chiacchierate sul momento in cui una vita umana cessa di essere sacrificabile: a tre mesi? A sei? Dalla nascita in poi? Quando finisce l’età minorile? Dicono i giramondo che i giapponesi contano, o contavano, l’età dell’individuo dal momento del concepimento. C’è una logica in quest’usanza».
Ed equiparava aborto e omicidio anche Franco Roccella, fondatore del partito radicale e padre della Ministra per le pari opportunità e la famiglia:
«Quando si uccide qualcuno lo si priva del futuro, non del passato, e per questo, non soltanto per la sua inerme innocenza, l’uccisione di un bambino è il più tragico dei delitti. Anche il povero zigote, se non fosse fatto fuori, avrebbe davanti a sé una vita intera».
I numeri dell’Argentina
Non c’è dunque contraddizione tra l’essere libertari e contrari all’aborto: solo un solido principio e la logica.
Ma non è, invece, fortemente contraddittorio stare dalla parte dei più indifesi e poi attuare politiche economiche che, come ci racconta da un anno gran parte della stampa italiana, sono responsabili di una “macelleria sociale”? È stato in particolare a più riprese evidenziato nelle ultime settimane l’aumento del tasso di povertà, cresciuto di quasi dieci punti percentuali fino a raggiungere il 54,9 per cento. Il dato è corretto ma è relativo al primo trimestre; nel secondo la tendenza si è invertita e nel terzo il tasso è ritornato al livello di un anno fa ed è previsto un ulteriore calo per gli ultimi mesi di quest’anno. Analoga evoluzione si registra per la povertà assoluta ora inferiore a quella di tutto il 2023.

Sono dati che hanno stupito anche i macroeconomisti meno prevenuti nei confronti di Milei che preconizzavano nel breve termine impatti più negativi di una politica che necessaria per stroncare un’inflazione – la tassa sui poveri – fuori controllo e che rischiava di trasformarsi in iperinflazione.
Nessuna macelleria sociale
Senza dubbio è ancora troppo presto per tirare le somme dell’inversione di rotta nella politica economica in Argentina. C’è però un importante termine di paragone in America Latina che lascia presagire un futuro positivo. È quello del Cile che, invece del peronismo, nell’ultimo mezzo secolo ha perseguito la via del liberismo e che oggi presenta il livello di pressione fiscale – il 20,3 per cento del PIL nel 2023 – più basso di quello di tutti i Paesi dell’Oecd, fatta eccezione per il Messico.
Nel 1972 il reddito medio pro-capite in Cile era inferiore del 30 per cento a quello dell’Argentina; cinquant’anni più tardi è superiore del 22 per cento.
Nel 1987 in Cile oltre il 60 per cento della popolazione viveva con meno di sette dollari al giorno, nel 2022 meno del 5 per cento. In Argentina (aree urbane) l’andamento è stato altalenate e la quota attuale è intorno all’11 per cento.
L’aspettativa di vita oggi in Cile è superiore di quasi quattro anni rispetto all’Argentina (81,2 contro 77,4) e la mortalità infantile inferiore (0,6 per cento contro 0,9). In Cile gli anni medi di istruzione sono 10,7, in Argentina 9,9.
Dunque, nessuna “macelleria sociale” e neppure “ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri”. Se li lascia da parte l’ideologia e si guardano i numeri emerge una realtà di segno opposto e qualcuno potrebbe perfino essere sfiorato dal dubbio che il liberismo sia di sinistra.




0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!