
La carità è un morso


Il Papa può benedire chiunque. E il cuore e la ragione lo dicono tremando e piangendo. Se benedice me, tanghero di un poeta, figurati se mi metto a disquisire e a dar patenti su chi dev’esser benedetto o no. Magari ci fossero più richieste e più benedizioni. Gesti insomma che facciano sentire la vita stessa una benedizione e una bella partita non un incubo. Anche per chi con le sue azioni si mette contro la legge. Ladri, prostitute, furfanti corrotti, condannati a morte, chiunque lo chieda. E dunque figuriamoci se il Papa non può benedire qualcuno che dice di andare in mare a salvare vite. Ci mancherebbe.
E quindi non è questione di benedizioni, che non sono atti politici ma religiosi e spesso donati a gente che sta su fronti opposti e riguardano la coscienza personale, non i governi o il dibattito politico. Su questo noi cattolici di “rito romagnolo” siamo radicali. Il Papa benedice chi gli pare, e bene se lo fa a tutti quelli che lo chiedono. E punto. E bene se benedice anche persone che la pensano diversamente.
I migranti e il morso della carità
Se poi – cambiando piano della questione – qualcuno facesse vedere al Santo Padre i comunicati esultanti scritti con i segni della ideologia Gender (quelli di Casarini e co.) ovvero l’ideologia che un giorno sì e l’altro pure il Capo della Chiesa indica come ideologia più pericolosa del nostro tempo, forse insieme alla benedizione darebbe almeno uno scappellotto, come facevano i buoni parroci di un tempo a cui Papa Francesco cerca di somigliare. Ma sia chiaro, la vicenda che sta investendo la Chiesa italiana con diverse tensioni non riguarda l’adesione o meno a quel che fa il Papa benedicente. Bensì riguarda una esperienza della carità che – anche a prescindere da buone o cattive intenzioni – sta pervertendosi.
Il morso della carità è il morso dell’amore di e per Cristo, come mostra l’autore della Poesia della Carità, san Paolo, o come diceva Madre Teresa. E allora occorre stare attenti a pervertire il senso di questo morso, di questo tremore, fiore della esperienza cristiana. Che è amica ma non gemella della “pietà” o “pietas”, come dicono gli eruditi, che tutti gli uomini sentono. E allora vi prego, io poeta oscurato da ogni male, ultimo degli aborti amato da Gesù, attenti vi prego, giornalisti, preti, politici a non prevertire l’esperienza della carità, a non sfregiarne il volto. Non deturpatela coi vostri articoli, discorsini, predicuzze. Mormorate la poesia di san Paolo, il suo fuoco il suo diamante. Sciacquatevi la bocca con quell’Inno infuocato e tremendo.
La carità non è fatta in favor di telecamere
La carità non è fatta a favor di telecamere. Così contraddice un elemento fondamentale. Documentare con giornalisti e media pare invece il compito dichiarato del battello salpato in questi giorni e oggetto di finanziamenti clericali. La mano sinistra non dovrebbe sapere cosa fa la destra, dice il Vangelo a proposito dei gesti di carità. Perché è un gesto personale senza vanto fatto a Gesù facendolo ai miseri nella vita. I comunicati stampa li fanno i filantropi (più o meno vanitosi) o anche quei grandi enti – alcuni nati dalla genialità evangelica, penso al Banco Alimentare o alla Croce Rossa o tante mense francescane – che però coinvolgono in modo laico e aconfessionale tanti volontari. E che dunque vivono anche di “consenso”, cosa che non dovrebbe riguardare la Chiesa, resa libera dalla verità non dal consenso concesso da potenti o dai media.
Tutto questo can can per “apparire buoni” fa parte della vera esperienza della carità? E se non è per questo, allora è propriamente un atto politico dimostrativo e va giudicato come tale, bene o male che si voglia, lasciando perdere come motivazioni questioni come la fede o carità. E si badi, la Cei – come ogni cristiano – ha il diritto e pure il dovere di fare interventi che hanno perfino valenza politica, ma che appunto sono valutabili come tali.
Quei gesti segreti di carità verso i migranti
San Pellegrino Laziosi come Dante o come tanti santi non era schierato “politicamente” col Papa o con certi Vescovi, e nemmeno lo fu De Gasperi, ma non per questo non furono uomini di fede e speranza e carità. Perciò certe azioni anche dell’alto Clero che hanno valenza politica vanno valutate evitando di tirare in mezzo giustificazioni di purezza evangelica. Se no è facile il cortocircuito che da molti viene accusato come “cristianismo” (ovvero la giustificazione di un atto politico sulla base diretta di valori evangelici, cosa che spesso si vede nel mondo protestante e in varie riduzioni della politica come atto “religioso”).
Sono certo che tanti credenti – da qualunque parte votino – in questi lunghi anni di “emergenza” migratoria hanno fatto gesti segreti e importanti di carità. Li vedo nella strada dov è il mio studio a Bologna, il mio minuscolo e sgarrupato da poeta dinanzi alla sontuosa curia, e non credo siano tutti elettori di una parte sola. In secondo luogo, in tale processo di “perversione” della carità a materia di dibattito politico, se è vero come diceva Papa Paolo VI che la politica è una delle forme più alte di carità, allora occorrerebbe valutare tutti i tentativi politici, pur se diversi, di soluzioni a problemi complessi come tentativi tutti di fatto caritatevoli, e non qualcuno soltanto.
Diminuire il numero di morti in mare. Giusto, ma come?
Diminuire il numero dei morti in mare è un dovere della coscienza di tutti per “pietas” umana, e non mi pare di aver sentito nessun politico italiano dire che li vuole aumentare. Ma non tutti hanno le medesime risposte sul problema. Se si leggono le parole di Papa Francesco senza lenti deformate pare che voglia la stessa cosa di Salvini: l’immigrazione deve essere regolare. Poi il Papa si augura che non ci siano né muri né controllo armato dei confini, né immigrazione irregolare né mercanti di schiavi. Chi affronta sul campo tali problemi, di cui Craxi e Andreotti annunciavano la portata decenni fa inascoltati dall’Italia manettara, sa anche che è difficile contrastare tali seconde conseguenze senza ricorrere ai primi metodi in assenza di politiche di lungo corso e condivise.
Più politica e meno moralismo sui migranti
Occorre più politica e meno moralismo. Ok la bontà all’ultimo miglio, ma intelligenza più lunga e meno comoda. Più politica di cooperazione e sviluppo, più missionari e cooperatori, per evitare la necessità dei muri. Se si sceglie una strada che i dati dicono non faccia diminuire quel numero, è carità o scelta politica? Chiunque ha un figlio vorrebbe che fosse salvato dal naufragio, fosse anche la figlia di un ricco padrone di yacht che affonda a Palermo con uomini di affari che muoiono come l’ultimo dei migranti. Non si tratta di amare o no le persone, di essere buoni o no. E dunque il moralismo clericale buttato in campo politico invece di richiamare tutti a dare il meglio può dividere le persone, e fa male soprattutto al clero.
Perché compito della politica è cercare di risolvere i problemi che hanno natura politica ed economica, e un popolo sceglie democraticamente quale è il modo ritenuto migliore, mentre la carità ha il dovere di soccorrere chiunque in segreto o almeno senza squilli di tromba e nel nome di Gesù. La Chiesa italiana pensa che la maggioranza degli italiani sia cattiva? Sono egoisti e malvagi? E se quindi su certe scelte di natura politica come la gestione del problema migratorio non la seguono tutti è perché sono cattivi o abbindolati? Sono domande che non hanno risposte facili, che van rintracciate in stratificazioni e incrostazioni ecclesiali e ideologiche. Ma di certo sono domande che occorre porsi. Inoltre occorre culturalmente (ed evangelicamente) porsi un problema circa la retorica sulla povertà che è molto in voga presso prelati che però non mi pare dormano in catapecchie e che dispongono a volte di beni ingenti.
Meglio andare in mare o in missione?
La povertà non è la miseria, se no avrebbe ragione chi rinfaccia (da secoli) a tali prelati di “rompere le scatole” con i poveri ma di vivere come principi. Già lo fece Giuda con Gesù e la risposta fu tagliente, contro ogni facile retorica sulla povertà. Che infatti non è la miseria, ma andar leggeri perché tutto è di un altro. Né Gesù né san Francesco hanno mai “attaccato” i ricchi ma li hanno invitati alla conversione e “spoliazione”, cioè a riconoscere che tutto è di Dio. E hanno combattuto la miseria senza chiamare i media al seguito. Non hanno cercato il potere guarendo o lavando i lebbrosi.
E dunque per tornare al punto, per combattere la miseria terribile delle migrazioni è meglio andare in mare con seguito di giornalisti, o seguire la linea secolare dei missionari che andavano a creare sviluppo e civiltà in terre difficili? Una cosa non esclude l’altra, ovviamente, ma occorre avere chiarezza su cosa è davvero più urgente. I pastori dovrebbero aiutare il “gregge” a discernere in queste cose. Forse, confusi, lo stanno confondendo?
La politica e la Chiesa
A questi interrogativi che mi macerano, e mi muovono a concrete azioni, come tanti, aggiungo una notazione marginale, ma forse non irrilevante. Al governo e all’opposizione in Italia oggi ci sono molti esponenti che si rifanno (così dicono) a valori cristiani. Non faccio ovviamente l’analisi della fede di nessuno, né di Tajani né di Salvini o di Renzi. Ma di certo, a differenza di politici di maggioranza o opposizione di qualche decennio fa, questi laici cristiani (pieni di peccati come tutti noi e forse anche come qualche vescovo) sono meno inclini a baciare la pantofola all’alto clero, insomma sono credenti ma laici, e si assumono direttamente responsabilità su questioni spesso spinose come la immigrazione o l’organizzazione dello Stato senza sentirsi inviati o assicurati dall’alto clero, anche perché, come dimostrano i sondaggi, ne hanno misurato la quasi irrilevanza elettorale.
Questo diminuito ossequio può certo dar fastidio in qualche episcopio ma potrebbe essere salutare per la politica italiana. E anche per la Chiesa che non è un’associazione di preti, ma una barca di gente di ogni genere guidata da Cristo nei sempre difficili marosi della storia. Queste cose meditando in concrete azioni e mormorando indegne preghiere a fine agosto, tempo di passaggio, offro a Tempi, giornale che legge i passaggi e i loro rischi.
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