Meotti (Foglio): «Tre quarti dell’Onu voteranno pro Stato palestinese»

Di Leone Grotti
14 Settembre 2011
Il giornalista del Foglio Giulio Meotti analizza la richiesta che il 20 settembre la Palestina farà all'Onu di essere riconosciuta come Stato membro. Dichiara a Tempi.it: «I tre quarti dell'Onu voteranno a favore ma la Palestina non avrà diritto di voto in Assemblea per il veto degli Stati Uniti, che minacciano di non versargli più milioni di fondi. Ecco tutti i rischi che corre»

Il 20 settembre l’Autorità nazionale palestinese, guidata da Abu Mazen, chiederà all’Onu di riconoscere unilateralmente la Palestina come Stato membro dell’Assemblea generale nei confini del 1967, quindi con annessi i territori occupati da Israele e Gerusalemme Est. Sono 120 gli Stati, cioè i tre quarti dell’Assemblea, che hanno garantito al leader dell’Anp il voto favorevole. Quasi impossibile che la Palestina ottenga il diritto di voto, perché dovrebbe passare per il Consiglio di sicurezza, dove gli Usa hanno già dichiarato che opporranno il veto. «L’unica possibilità che hanno i palestinesi» afferma a Tempi.it l’esperto di Medio Oriente e giornalista del Foglio Giulio Meotti, «è di essere riconosciuti come il Vaticano, membro senza diritto di voto. Ma la mossa palestinese è molto rischiosa».

Perché?

Innanzitutto perché è unilaterale, è una scelta che boicotta i negoziati con Israele e porterebbe quindi a uno Stato non riconosciuto dal paese confinante. Il che è un grosso problema, visto che la Palestina chiede di governare anche Gerusalemme Est, che è attualmente in mano israeliana.

Chi voterebbe contro al riconoscimento?

I tre quarti degli Stati sono a favore: tutto il Sud America, l’Asia, il Pakistan, i paesi arabi. L’Unione Europea invece è divisa: i paesi scandinavi e la Spagna voteranno per il riconoscimento, Germania e Italia contro, Francia e Inghilterra devono ancora decidere.

Quali altri rischi corrono i palestinesi?
Gli Stati Uniti hanno minacciato di interrompere i finanziamenti. La Palestina vive grazie agli aiuti internazionali. Nel 2011 hanno ricevuto 225 milioni dagli Usa, 180 dall’Ue, 236 dalla Lega Araba senza contare quelli dell’Onu e di Israele. Per ragioni diplomatiche, non penso che l’Ue potrebbe mai bloccare gli aiuti, ma gli Usa sì.

Da dove nasce la decisione da parte dell’Anp di chiedere il riconoscimento all’Onu saltando i negoziati con Israele?

Abu Mazen ha scelto questa tattica un paio d’anni fa, quando ha capito che i negoziati avrebbero portato a poco e vedendo l’appoggio di cui godeva da parte della maggior parte dell’opinione pubblica mondiale. L’obiettivo è di ottenere una vittoria politica e diplomatica, creando una divisione tra gli Stati dell’Onu.

A maggio l’Anp e Hamas, che governano rispettivamente su Cisgiordania e Striscia di Gaza, si sono riconciliati promettendo elezioni comuni, che però ancora non si sono svolte. Qual è attualmente il loro rapporto?

Si sono riavvicinati, Abu Mazen però rinvia le elezioni perché sa che potrebbe perderle. Inoltre, sono già sorti problemi perché non hanno raggiunto nessun accordo sulla liberazione dei rispettivi prigionieri. Inoltre, l’accordo allontana ulteriormente l’Anp da Israele perché Hamas non riconosce il suo diritto di esistere e Israele non intavola negoziati con Hamas. Queste giornate di riconciliazione, dunque, sono una facciata perché non portano a nessun risultato concreto.

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