
Mentre il mondo si riarma, Putin e Trump si telefonano per una tregua in Ucraina

Mentre papa Francesco chiede dal letto dell’ospedale di «disarmare le menti e disarmare la terra»; mentre la Germania approva un maxi piano per il riarmo (circa 1.000 miliardi); mentre Ursula von der Leyen dice che «l’Europa deve prepararsi alla guerra»; mentre Francia e Regno Unito continuano a premere per inviare truppe in Ucraina; mentre accade tutto ciò, Donald Trump e Vladimir Putin hanno il loro primo contatto telefonico per determinare una tregua in Ucraina.
Le prime informazioni sul colloquio durato circa due ore ci dicono che Putin ha accettato di interrompere per un mese gli attacchi alle infrastrutture energetiche dell’Ucraina, a patto che Kiev faccia lo stesso e che si fermi il rifornimento di armi. È stato annunciato uno scambio di prigionieri ed espresso l’impegno a trovare una «soluzione pacifica».
Trump: metodi brutali ma efficaci
Solo il tempo ci dirà se alle parole seguiranno i fatti, se questo sarà il primo passo verso una risoluzione del conflitto, se Putin non farà saltare l’accordo e se, soprattutto, l’Ucraina dovrà accettare una pace, se non “giusta”, almeno non umiliante.
I “se” sono molti, ma resta un fatto: con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca è cambiato tutto. Con i suoi modi brutali il presidente americano ha imposto a Kiev di trattare e lo ha fatto con uno stile che può anche scandalizzare, ma, alla fine – va ammesso -, efficace. D’altro canto, la dottrina Biden (rifornire l’Ucraina di armi sufficienti a difendersi, ma non a vincere) aveva portato la guerra in un vicolo cieco e allo stallo. È vero che Putin non stava vincendo, ma è un fatto che le sue truppe oggi occupano il 20 per cento del territorio ucraino.

Meloni: no all’invio di truppe
C’è da registrare un altro fatto di cronaca. Nel suo discorso al Senato Giorgia Meloni ha ribadito le coordinate della sua posizione che – come scrivevamo già ieri – si è confermata all’insegna della prudenza e del pragmatismo. Quindi: totale condanna dell’aggressione russa all’Ucraina; un giudizio positivo sugli sforzi dell’amministrazione Trump per trovare una pace «giusta e duratura»; l’impegno a non dividere l’Europa dagli Stati Uniti per non «scavare un solco che indebolisce l’Occidente a vantaggio di altri attori» (leggi Cina, ndr).
Meloni ha ribadito che il governo italiano non si impegnerà a mandare truppe italiane in Ucraina e ha definito «molto complessa, rischiosa e poco efficace» l’opzione francese e britannica di inviare soldati. Più percorribile è la proposta italiana di usare un’estensione dell’articolo 5 della Nato per garantire agli ucraini la necessaria sicurezza pur non obbligando il paese ad aderire all’Alleanza atlantica e spingendo così la Russia a «giocare a carte scoperte».
Meloni ha poi dedicato una parte del suo discorso a spiegare che il piano Rearm Eu ha un nome che non la convince perché l’Italia vuole impegnarsi, senza usare i fondi di coesione, non tanto a comprare nuovi armamenti, ma a rafforzare la difesa per proteggere i nostri confini, i nostri gasdotti, lo spazio, i domini sottomarini e cyber.
Cautela estrema
Come ha notato ieri sul Giornale Giovanni Orsina, il nostro governo cerca una via che eviti toni catastrofisti, cercando, il più possibile, di tenere insieme Europa e Stati Uniti, senza rinunciare a denunciare ciò che non va.
In una situazione così caotica, la posizione italiana appare la più assennata. Evita di farsi trascinare da un clima isterico e catastrofista verso scelte pericolose, e – come ha scritto sempre Orsina – cerca di non rompere con l’alleato statunitense. Non sarà facile, ma la «cautela estrema, quasi ossessiva» di Meloni potrebbe rilevarsi una virtù: «Oggi qualsiasi accelerazione sarebbe imprudente e velleitaria. Tanto più che l’Italia non ha la capienza di bilancio della Germania né le armi atomiche della Francia e del Regno Unito: oggi rischiano di parer velleitari loro, figuriamoci noi».
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