Meeting. «Per vivere con tutti da fratelli bisogna avere un amico»

Di Rodolfo Casadei
22 Agosto 2023
Il titolo della kermesse riminese spiegato dal segretario della Cei, mons. Baturi. «Rinnovare l’identità del nostro popolo non è possibile senza la concorde comunione delle cose che si amano»
Meeting Baturi

Meeting Baturi

Paradossi della storia: quasi cinquant’anni fa un segretario della Cei, mons. Enrico Bartoletti, diceva ai ciellini che aspiravano a un riconoscimento da parte della Chiesa: «Forse una realtà come la vostra non ha bisogno di uno statuto, perché è la vostra amicizia il vostro statuto. Non avrei mai creduto che si potesse fare un’organizzazione così stretta e così impavida e così sicura solo per amicizia». Cinquant’anni dopo, Comunione e Liberazione, nel frattempo riconosciuta dalla Chiesa, invita al suo Meeting di Rimini a parlare del tema centrale dell’edizione 2023, “L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”, l’attuale segretario della Cei mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e per di più di area ciellina.

Non siete più servi

Logico dunque che, benché il titolo dell’evento riguardi l’ecumene umana, il punto di partenza sia quello delle amicizie storiche. Infatti stimolato dalle domande del presidente del Meeting Bernhard Scholz il segretario della Cei spiega che, come scrive san Bernardo, «l’amicizia appartiene all’esperienza, non se ne può parlare in termini meramente concettuali. Ci sono persone che sporgono oltre l’orizzonte rappresentato da tutti gli esseri umani, e ci attraggono, ci fanno uscire da noi stessi: sono gli amici». Con loro la comunione di affetti permettere l’apertura reciproca dell’intimità: «Gesù dice “non vi chiamo più servi, ma amici”, ci chiama amici perché condivide con noi i segreti del Padre, così come gli amici si confidano le cose più intime». Perciò Baturi parla con dovizia di citazioni da Giussani, Paolo VI, Pavel Florensky, Aristotele, san Tomaso d’Aquino, Christian de Chergé, papa Francesco, Giovanni Paolo II, sant’Agostino, ecc, ma avendo come stella polare soprattutto la natura esperienziale dell’amicizia.

Caratteristica definitoria dell’amicizia è la reciprocità: l’amicizia è una forma di amore compiuto, fatto di reciprocità e di corrispondenza. Come tale, è “inferiore” all’amore incondizionato per il prossimo. Ma, come spiega Florenskij, «per vivere con tutti da fratelli bisogna avere un amico». Cioè per poter amare tutti devo disporre di un punto in cui l’amore è corrispondenza, reciprocità, e questo è l’amicizia con qualcuno. Dopodiché, se non alimenta una tensione verso l’intera umanità, una tensione ad aprire il cuore a tutto e a tutti, l’amicizia scade nel narcisismo, nel ripiegamento su di sé. Ma proprio qui si manifesta l’esigenza di un alimento divino all’umana propensione all’amicizia. Perché è vero che Aristotele ha detto che nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se in cambio avesse tutti gli altri beni, ma ha anche detto che l’amicizia è un bene desiderabile ma non ottenibile nell’immediato, né facilmente.

Perdersi per ritrovarsi

Ecco allora che occorre riconoscere che «la vera radice dell’amicizia è accettare se stessi come dati dal Mistero che è misericordia. Chi non accetta se stesso come dato da un Altro, diventa violento e rancoroso. Lo vediamo nella violenza che colpisce i rapporti uomo-donna, figli-genitori e la famiglia in generale». Questo tema Baturi lo riprende e amplia nella parte finale del suo intervento, sollecitato dall’ennesima domanda di Scholz.

Sono state le parole che più hanno colpito chi ascoltava: «Abbiamo una terribile difficoltà a lasciarci amare e perdonare. È la stessa difficoltà di Pietro che non vuole lasciarsi lavare i piedi da quel Maestro che pure aveva seguito, ma che adesso si piega su di lui e sul suo bisogno. La sua difficoltà dipende da quella tentazione ultima che è l’autosufficienza, la quale consiste nell’eliminare l’altro e pensare di potersi salvare da sé. Normalmente noi non diciamo “no” a Dio direttamente, ma diciamo “no” a chi ci vuole bene, a chi ci vuole lavare i piedi, perché questo richiede un’apertura, una confidenza, una fiducia a cui ci rifiutiamo per paura di perderci. Perché nell’amicizia bisogna un po’ perdersi per ritrovarsi. Questa è la verità dell’amicizia: accettare di lasciarsi amare e di lasciarsi perdonare. Spesso lo rifiutiamo per non dover dipendere dall’altro che ci ama e ci perdona».

Una casa. Un popolo

Ma prima di arrivare a questa commovente conclusione Baturi ha affrontato temi ugualmente impegnativi, come quelli dell’amicizia sociale e dell’apertura dell’amicizia ai molto lontani. Sul primo: «Amicizia sociale è termine usato da Giovanni Polo II e da papa Francesco. Si tratta di avvicinare fra loro i gruppi sociali in vista del bene comune e dell’accoglienza dei più deboli. Non è opera di singoli, perché l’uomo non sta da singolo di fronte alla società, ma è già sempre collocato dentro a legami di affetto. È a partire dai legami di amicizia dentro ai quali siamo (famiglia, comunità), che ci è chiesto di generare un popolo. Cosa serve per questo? Né la sola forza delle leggi, né la convergenza degli interessi, che può non esserci, ma l’esperienza di una concorde comunione delle cose che si amano».

Senza dimenticare che «la qualità del legame dipende dalla qualità di ciò che si ama, come ci ricorda sant’Agostino». Il segretario della Cei lo ripete due volte per far capire quanto sia importante il concetto: «Rinnovare l’identità del nostro popolo non è possibile senza la concorde comunione delle cose che si amano. Allora i rapporti di amicizia diventano una “casa” per tutti coloro che sono nel bisogno».

Il mendicante e la guerra

Per quanto riguarda l’apertura ai lontani, Baturi dice: «Il contenuto della verità è inesauribile, siamo sempre in ricerca, anche dentro al rapporto di amicizia, che non corrisponde a un esaurimento della necessità di approfondire. Serve la posizione del mendicante: ciò che è più importante per me è ancora da scoprire, è ancora da acquisire, e in questo tutti mi sono di aiuto, anche i lontani, secondo ordini diversi. Senza questo, resta solo il gioco delle contrapposizioni, e quindi la guerra. La guerra nasce dalle assolutizzazioni e dall’idolatria del particolare». «Il dialogo col diverso non si aggiunge al cristianesimo, ma nasce dal suo stesso interno», chiosa Bernhard Scholz. Se ne è fatta di strada, dai tempi di mons. Enrico Bartoletti.

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