
Meeting. Accogliere Cristo che appare nel volto dei fratelli

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo stralci dell’intervento pronunciato all’incontro “Dall’accoglienza all’amicizia”, Meeting di Rimini, 20 agosto 2023.
Presso molti popoli dell’antichità accogliere in casa una persona, anche soltanto per un momento di riposo durante un lungo viaggio, oppure per il ristoro di un po’ di cibo e bevanda o per dare un rifugio a chi era in pericolo, rappresentava un segno di alta umanità. E anche, in fondo, un gesto interessato. Si sperava, infatti, che altri, in caso di bisogno, avrebbero fatto altrettanto con noi. Presso molti popoli si arrivava a pensare che, attraverso l’accoglienza, erano gli stessi dei ad entrare in casa nostra.
Si realizza in questo modo uno scambio virtuoso: chi ospita non solo dà, ma anche riceve.
È significativo che in italiano la parola ospite, che all’origine designava l’ospitante (il signore, dalla radice gosp delle lingue slave) da tempo designi anche colui che è ospitato. Chi entra nella casa dell’altro, infatti, viene portato al suo livello e chiamato con il suo nome.
Un esempio linguistico: la lingua greca
Un altro esempio linguistico di grande importanza: l’ospitalità, nel greco classico, è espresso dalla parola xenía. Ma xenía in origine viene da xenos, nemico. Cosa è accaduto? Xenos è l’estraneo, colui che è strano, diverso, colui che sente estranei gli altri, lo straniero. Eppure, alla fine, attraverso l’ospitalità, lo straniero viene conosciuto e integrato. Certo, deve accogliere le leggi del luogo per poter essere accolto; in questo modo egli può diventare amico.
Xenos in taluni autori della classicità greca arriva perciò a significare philos, amico.
Non dobbiamo pensare a società ideali: il nemico rimane colui che va combattuto, vinto, estirpato; ma assieme si presenta anche un’altra strada, quella dell’integrazione attraverso patti di alleanza e di amicizia.
Odissea e Eneide
L’Odissea, il poema che narra il ritorno di Ulisse dopo la guerra di Troia alla sua Itaca, alla sua casa, è considerato uno dei testi archetipi della nostra civiltà. È chiamato anche il poema dell’ospitalità. Il professor Umberto Curi così definisce il poema omerico.
Quando Telemaco giunge alla reggia di Nestore alla ricerca del padre, viene accolto senza essere interrogato sul suo nome e sulla sua provenienza. Quando l’eroe giunge naufrago all’isola dei Feaci, irriconoscibile lacero e sporco, viene accolto dalla figlia del re. Nausicaa rimprovera le proprie ancelle che fuggono alla vista dello straniero e ricorda loro che esiste l’obbligo di prendersi cura di coloro che giungono mendicanti perché vengono da Dio. All’opposto, sempre nello stesso poema, Polifemo, il mostruoso ciclope con un occhio solo, non solo non accoglie i doni ospitali di Ulisse, ma addirittura si ciba delle carni dei suoi ospiti.
Anche l’Eneide, altro poema fondativo della nostra civiltà, esalta il valore dell’accoglienza. Nel primo libro i naufraghi troiani s’incontrano a Cartagine con la regina Didone. Chiedono di essere accolti nella città che lei sta costruendo. Ed ella risponde: “Se volete fermarvi nel mio regno, sappiate che questa nuova città è vostra. Non ci sarà nessuna differenza fra voi troiani e noi che veniamo dal Libano”.
Un esempio dall’Antico Testamento
Nel libro della Genesi, nelle storie di Abramo, troviamo un dittico meraviglioso e tremendo: capitoli 18,1-15; 19,1-29.
È il racconto di due avvenimenti uniti nell’esperienza dell’accoglienza vissuta e rifiutata.
Il patriarca Abramo era colui con il quale Dio aveva, in modo definitivo, inaugurato la convocazione di tutti gli uomini in un solo popolo, attraverso la fede e l’alleanza. Riceve la visita di tre persone, presso la sua tenda (due angeli e Dio oppure, come leggeranno i padri della Chiesa, lo stesso Dio in tre Persone) nell’ora più calda del giorno. Abramo li supplica di fermarsi. Le ragioni di tale supplica stanno in ciò che abbiamo già detto: spera di accogliere degli dei, spera di ottenere un grande vantaggio per la sua vita. Fa portare loro acqua (siamo nel deserto e a mezzogiorno), fa preparare focacce di pane, latte fresco e acido, carne di vitello. A poco a poco Abramo si rende conto che quell’ospite è il Signore che, alla fine, gli prometterà l’erede tanto atteso.
Nel capitolo successivo la scena cambia drasticamente. Dio porta Abramo a guardare Sodoma dall’alto. Era la città nata dal popolo di suo nipote Lot che si era separato da lui all’arrivo nella terra di Canaan. Yahweh rivela ad Abramo la sua ferma decisione di distruggere Sodoma a causa del grave peccato dei suoi abitanti. In un primo tempo il patriarca riesce a convincere Dio a risparmiare gli abitanti della città in grazia dei giusti che pure vi abitano. Poi però gli eventi precipitano. I due angeli arrivano a Sodoma e vengono ospitati da Lot. Ma durante la notte gli abitanti della città si affollano attorno alla casa per avere i due angeli da violentare. Lot si oppone, offre addirittura le sue due figlie ancora vergini. Ma quelli non ne vogliono sapere: vogliono uomini, non donne. Cercano di sfondare la porta. A difesa di essa, i due angeli accecano con il loro bagliore la popolazione perversa. Infine, la città verrà punita per due peccati: non solo per il delitto contro natura, ma anche per quello contro l’ospitalità. Gli ospiti vanno sempre rispettati. Non può essere fatto nulla contro di loro. Da questo convincimento nascerà nel Medioevo il diritto d’asilo nelle chiese e nei conventi.
Il Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento Gesù è per eccellenza Colui che viene da lontano e chiede accoglienza. All’inizio del Vangelo di Giovanni si dice di Gesù: Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto (Gv 1,11). Allo stesso modo si dirà: le tenebre non l’hanno accolto (cfr. Gv 1,5) e il mondo non lo riconobbe (Gv 1,10).
Questo è il cuore del suo dramma umano e divino.
Egli è il segno di contraddizione: alcuni lo accoglieranno (a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12)) e altri lo rifiuteranno, dolorosamente, soprattutto i capi del suo popolo.
Nell’ultimo libro della Bibbia, Gesù dice di se stesso: Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap 3,20).
Tutta la Rivelazione è un grande e pressante invito ad accogliere Gesù nella nostra vita. Essa ci presenta il mistero della inaccoglienza, del rifiuto, della croce, ma anche, infine, Gesù che insiste per entrare nella nostra vita, perché noi gli abbiamo ad aprire la porta.
In sintesi possiamo dire che se noi accogliamo Gesù, Egli accoglie noi nel banchetto di comunione con Lui.
Durante la sua missione pubblica sulla terra, Gesù è stato ospitato, sia per sua richiesta che per iniziativa di ospitanti (cfr. Lc 7,36; 10,38; 14,1; … Mc 1,29; 2,15; 14,3; …). Ma Egli non è soltanto accolto. È soprattutto il segno dell’accoglienza di Dio nei nostri confronti.
Nel capitolo 25 di Matteo, Gesù, nel racconto del giudizio universale, appare ancora sotto il volto dello straniero che chiede di essere accolto e ospitato: Ero forestiero e mi avete accolto (Mt 25,35).
Quando accogliamo un fratello accogliamo Lui. Abbiamo tutti quanti la missione di rivelare al mondo il volto di Cristo che appare a noi nel volto dei fratelli.
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