Medico in prima linea, famiglie&fisco, enigmistica dalemiana e nuove dalla Cia

Di Luigi Amicone
16 Febbraio 2000
Lettere

Egregio Direttore, leggendo sui giornali articoli relativi ai nuovi aumenti riservati ai medici mi sento in dovere di scriverle quanto segue.

Da quando le norme legislative in materia sanitaria hanno iniziato a limitare la libertà di noi medici, ho cominciato a chiedermi come mai nessuno reagiva, nessun sindacato, nessun partito nessuna associazione! Dieci anni fa il mio stipendio era superiore a quello che percepisco ora! Allora però lo stato mi “lasciava arrotondare” consentendomi di lavorare anche al di fuori delle sue strutture.

Ora si pensa di comprare la mia libertà con qualche soldo in più (rubato ad altri colleghi, puniti per aver scelto di lavorare nel privato) &..e nessuno si muoverà.

Non parlo di chi è filo-Bindi, non parlo dei sindacati ormai appiattiti sulla linea liberticida del governo, ma purtroppo non vedo iniziative da parte dei partiti dell’opposizione!! Faccio solo un triste esempio: io ed alcuni colleghi abbiamo deciso di ricorrere presso il tribunale competente per sostenere l’impossibilità di una scelta, in mancanza di adeguamento delle strutture, orbene davanti al pretore avremo il dirigente dell’azienda che sostenendo l’insostenibile dirà che le strutture ci sono ecc.ecc.

Tutto logico, tutto normale se non fosse che sia io che il dirigente, militiamo nelle file dello stesso partito (Forza Italia), il sottoscritto come i suoi colleghi lottano contro una legge ingiusta, illiberale, ma i nostri amici di partito? Loro no, loro hanno una carriera da difendere, tengono famiglia! Loro non possono non attuare le impossibili direttive del ministro ( mentre noi non abbiamo nemmeno gli spazi per i servizi igenici, nemmeno uno studio per i medici, ma gli spazi per l’attività libero professionale si troveranno) e così da paladini delle libertà, promotori di iniziative culturali in favore della libertà dei medici e del loro rapporto con la persona, sono talmente bravi ad amministrare secondo il volere della Bindi, che invece di attaccarsi a tutti i cavilli possibili per ritardarne l’esecuzione riescono tra i primi in Italia ad attuare i dettami del ministro della sanità.

Ho 40 anni, credo che valga la pena comunque di lottare, anch’io “tengo famiglia” (quattro figli) ma come credere nella possibilità di cambiare se si è soli, e se chi idealmente ti è vicino poi ti abbandona?! Sarebbe come se noi, militanti del Polo per le libertà, nella scuola fossimo i primi ad attuare i decreti Berlinguer, sarebbe assurdo! Solo se ognuno ad ogni livello si impegnerà, solo allora potremo vincere anche questa battaglia di libertà, altrimenti sarà solo questione di soldi e potere, dove della libertà della medicina e delle persona non importa nulla a nessuno .

Con stima Dr. Ferri V., Milano Questa missiva merita una risposta. Ci auguriamo di qualche dirigente di Forza Italia. Noi intanto possiamo dire di conoscere alcuni “medici in prima linea”. Dr. Ferri prenda nota: “Medicina e Persona”, associazione di medici e operatori sanitari, telefono: O2.67396248-49.

Cari amici di Tempi, sono rimasto sconcertato dagli esempi in merito al risparmio fiscale per le famiglie italiane derivante dalla manovra finanziaria per l’anno 2000: se i genitori hanno divorziato risparmiano un totale di 976mila lire; una coppia di giovani con casa in affitto 320mila. Questi sono dati comunicati da una fonte governativa ufficiale. Giudicate voi.

Buon lavoro e tenete duro.

Giovanni Pozzi, Motta Visconti (Mi) Non ci risulta ancora chiara la base di reddito su cui sono calcolati i rispettivi risparmi. Comunque sia è notorio che le famiglie colpite dalla “giustizia” fiscale dell’attuale governo sono quelle “normali”, appartenenti al ceto medio e che ovviamente hanno un reddito superiore ai 30 milioni annui, perché sono lavoratori dipendenti, non sono evasori fiscali, non incassano in “nero” e naturalmente possono permettersi il lusso di avere più di un figlio solo se sono dei votati al martirio. La demagogia della sinistra che fa sempre e soltanto una questione di reddito per sostenere le famiglie italiane, dimentica che quasi il 50% del lavoro dipendente se ne va in tasse e che quand’anche in una casa entrano100milioni, se la casa è in affitto ed è occupata da una famiglia con più di due figli che risiede al nord, non c’è niente da fare: questa famiglia è generalmente più povera di una famiglia che al sud ha un reddito di 50 milioni, sta in una casa di proprietà di famiglia e per molti consumi (per esempio alimentari), le sue spese sono nettamente inferiori che al nord. È vero che statisticamente la disoccuapazione al sud è tre volte superiore a quella del nord, ma è anche noto che nel meridione ci sono più ammortizzatori sociali che al nord e che il lavoro nero e sommerso non è contabilizzato. Altrimenti detto: come si spiega che al sud ci siano più proprietari di casa che al Nord? Altrove si può dire ancora: il direttore di questo giornale ha cinque figli, vive in una casa in affitto nella provincia di Milano e non ha avuto la fortuna di ereditare alcunché. Guadagna decentemente, diciamo sopra ai 100milioni, ma ha quasi sempre i conti in rosso perché si ostina a far sacrifici per mandare i figli in scuole private e, anche per questo, non otterrà mai sostegni dal populismo governativo.

Tre fatti delle ultime ore, in ordine sparso, quasi come i puntini numerati della settimana enigmistica, che bisogna tirare le righe altrimenti non si capisce il disegno:
1. le nuove (incredibili) regole sulle partite del campionato di calcio;
2. l’ostracismo dell’Europa di Prodi verso il centrodestra austriaco (contra, vedere alla voce “Cardinal Sodano”);
3. l’on. Fabio Mussi che alla Camera, nel corso del dibattito sulla SPOTtanatissima par condicio, urla urbi et orbi che “la civiltà e la libertà si fanno con la legge!!!”.

Mi aiutate a tirare le righe, please? Vostro soddisfattissimo abbonato Avv. Stefano Orlandi, Bologna A occhio e croce il disegno non c’è, se non quello lillipuzziano di tirare a campà e intanto menare botte a Berlusconi, sperando che prima o poi qualche giudice lo ammanetti. Anche Il Foglio lo chiama ormai “il governo dei sette nani”. E non diciamo che anche le migliori menti del centro destra (appunto, un certo Giuliano Ferrara e perfino il guerriero Gianni Baget Bozzo) non avevano a un certo punto sperato che D’Alema fosse anche un po’ statista oltre che un furbo barcavelista.

Ms. Silvia Kramar, attualmente stiamo affrontando un carico di lavoro di circa 320 appelli in attesa di esame. Considerata questa situazione, si dovrà prevedere un certo ritardo nella nostra risposta, ma posso assicurarle che compiremo ogni ragionevole sforzo per definirla il più presto possibile.

Cordialmente Kathryn I. Dyer, Washington (Coordinatrice informazione e privacy) Riassunto delle puntate precedenti. Il 2 e il 3 ottobre 1999, il Corriere della Sera pubblica due articoli che nel giro di 24 ore avanzano e nello stesso tempo smentiscono ogni sospetto su presunte attività spionistiche a servizio del Kgb sovietico dell’attuale ministro italiano della Funzione pubblica Antonio Maccanico. Il Corriere della Sera è l’unico giornale che rivela l’esistenza di una inchiesta dei servizi a carico di Maccanico e che, dopo averlo sollevato, chiude rapidamente il caso con l’autorevole testimonianza dell’ex capo di Stato Francesco Cossiga, il quale ricorda che i nostri servizi appurarono l’infondatezza dei sospetti e che anche l’ex capo della Cia William Casey “aderì per iscritto alla nostra richiesta di chiudere il file che anche loro avevano sul caso”. Il tutto, come spesso capita nei poveroni italiani, rimase avvolto nell’alea surreale delle dichiarazioni e smentite: documenti comprovanti l’inchiesta e l’assoluzione del politico? Nessuno. Fu così che, quasi per gioco, ci decidemmo a scrivere direttamente alla Cia per tramite della nostra corrispondente newyorkese Silvia Kramar, che da cittadina americana, in conformità alla legislazione statunitense, aveva il diritto di appellarsi al Freedom of Information Act e dunque verificare se negli archivi dell’Intelligence americana esistesse traccia di quell’inchiesta su Maccanico. La risposta della Cia non si fece attendere: una settimana dopo dalla data in cui era stata avanzata, la nostra richiesta veniva formalmente respinta per “ragioni di sicurezza nazionale” (cfr Tempi n°42, 4-10 novembre 1999). A questa decisione si poteva fare appello. Tempi si appellò e nel giro di due settimane la Cia ci comunicò il suo nuovo verdetto: “il vostro appello è stato accolto” (cfr. tempi 44, 18-24 novembre 1999). La scorsa settimana è arrivata alla nostra collaboratrice newyorkese questa seguente nuova missiva che sembra confermare la disponibilità americana a fornire la documentazione richiesta. Staremo a vedere. Il nostro piccolo tormentone continua.

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