
Medicina e Persona: la grande schizofrenia di giudici che si fanno medici
Pubblichiamo un comunicato stampa dell’associazione Medicina e Persona
TRIBUNALI E SALUTE: QUALE AUTORITÀ?
Due i fatti che ci pongono domande.
È mai possibile che sia un giudice a dover decidere se una terapia è adeguata per un paziente e determinare se questa – essendo già stata iniziata! – sia da continuare o no? Sta avvenendo nel nostro paese con la vicenda della bambina Celeste, affetta da SMA. Ancora oggi il giudice sta prendendo tempo, si deve documentare. Non è forse innanzitutto compito del medico stabilire l’efficacia prevedibile o meno di un farmaco, la scelta se trattare o no, di sperimentare se ci sono garanzie sufficienti di sicurezza, di usare un farmaco “compassionevole”? E se queste garanzia di sicurezza non c’erano, (parere dell’AIFA) come mai il trattamento è stato iniziato? E perché alla fine la decisione deve essere quella di un giudice?
C’è una schizofrenia che riguarda le competenze: chi si deve occupare e di che cosa. Un filosofo può dare pareri tecnici su come costruire una casa?
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha dato ragione a una coppia italiana, portatrice sana di fibrosi cistica, che ha richiesto di accedere alla procreazione medicalmente assistita per selezionare gli embrioni sani da quelli malati, cioè di effettuare la diagnosi pre-impianto, vietata nel nostro paese dalla Legge 40.
In precedenza, la Grande Chambre Europea, il 3 novembre 2011, in tema di eterologa, aveva ribadito la piena sovranità degli stati membri circa le leggi vigenti in materia.
La legge 40 è dunque legittima su alcuni temi e su altri no?
C’è pure una schizofrenia che riguarda la giustizia, anche Europea. Ricordiamo tutti la sentenza della Corte di Giustizia Europea (ECJ) del 18 ottobre 2011 in cui si definiva “embrione umano” ogni “ovulo umano fin dalla fase della fecondazione”dal momento che “la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano” e la successiva direttiva di non brevettabilità di un procedimento che, ricorrendo al prelievo di cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, comporti la distruzione dell’embrione stesso.
Come mai questa sentenza non concorda con quella di oggi? Il valore oggettivo di un embrione (uomo) è dunque relativizzabile alle condizioni in cui versa la famiglia o al parere di un giudice? Vale in alcune condizioni e in altre no?
Occorre che ci sia un soggetto che ancora oggi riconosca la realtà per quella che essa è.
Se si continua così il contenzioso sarà interminabile.
Associazione Medicina e Persona
Milano, 29 agosto 2012
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