
Md: «L’Anm deve avere un organo di controllo sul Csm»
L’antefatto è noto. Il Csm, lo scorso 15 febbraio, ha votato una delibera di richiamo al magistrato palermitano Antonio Ingroia, per aver partecipato ad un convegno del Pdci dove si era definito «partigiano della Costituzione». A difesa di Ingroia, si sono schierate le toghe di Md-Area (le correnti di sinistra della magistratura), ma sono rimaste in minoranza, con 16 voti favorevoli al richiamo (compresi quelli delle massime cariche: del vicepresidente Michele Vietti, del primo presidente e del procuratore generale di Cassazione) e solo 6 contrari. La novità è stata che il plenum del Csm ha deciso di inviare il fascicolo Ingroia alla commissione che si occupa di valutare la professionalità dei magistrati, e a cui ora toccherà decidere se prendere provvedimenti sulla carriera del pm palermitano. L’altra grande novità è che la decisione del Csm è arrivata lo stesso giorno in cui il Capo dello Stato Giorgio Napolitano (che, da Costituzione, presiede anche l’organo di autogoverno della magistratura) è intervenuto al Csm criticando «le troppe esternazioni dei magistrati».
Sono tutti fatti all’ordine del giorno di un incontro delle toghe di Md, il pomeriggio del 23 febbraio, a palazzo di Giustizia di Milano. I magistrati sono da tempo in un rovente clima pre-elettorale per il rinnovo del comitato direttivo centrale dell’Anm, il sindacato delle toghe: le consultazioni si terranno dal prossimo 26 febbraio, ma sono già state rinviate due volte, e da giorni sulle mailing list si assiste a scontri verbali, anche di denuncia sull’eccessivo peso delle correnti della magistratura sul Csm. Ora il provvedimento preso su Ingroia ha contribuito a riscaldare ancora di più gli animi. All’incontro milanese si presentano tutte le toghe che contano: tra i 16 partecipanti, ci sono anche il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, e l’ex procuratore Armando Spataro.
L’incontro si apre con la relazione di Paolo Carfì, membro di Md al Csm: «Il punto più importante della delibera – spiega ai colleghi – è l’uso strumentale delle dichiarazioni di Ingroia. La delibera di maggioranza (quella bipartisan presentata per chiedere un provvedimento sul pm di Palermo dai membri laici del Csm di Pdl e Pd, ndr) è pericolosa». Carfì illustra ai colleghi che il Csm nel caso Ingroia non ha ravvisato aspetti disciplinari nell’intervento del magistrato, né messo in discussione il suo operato, l’impegno e la capacità. Quindi conclude: «Secondo me questa delibera è una chiara minaccia, che non si vada oltre un determinato limite. Per il solo fatto che un intervento sia stato svolto in una certa sede, per il Csm vuol dire che ho preso partito. A prescindere dal contenuto di ciò che dico. E quindi, questo è il sottotesto della decisione del Csm, vuol dire che sto violando i doveri di equilibrio e imparzialità. Il Csm però questo non lo dice chiaramente, ma bypassa tutto, rinviando all’intervento sulla professionalità di Ingroia. È pericolosissimo. Perché si apre il rischio che un magistrato inviso ad una lobby possa essere sanzionato dal punto di vista professionale».
Si sfoga una candidata in corsa all’Anm per la lista di Area, Alessandra Galli (oggi magistrato in corte d’Appello a Milano, e figlia del magistrato Guido, ucciso da Prima Linea): «Noi magistrati siamo sotto una spada di Damocle che passa dai continui richiami della sezione disciplinare del Csm sulla produttività, e dai richiami ai colleghi sulla partecipazione ad un convegno politico. Insomma, si persegue l’immagine di un magistrato burocrate che aspira alla produttività e non prenda mai posizione!». C’è un’altra vicenda che inquieta gli animi, in questi ultimissimi giorni. Il Csm in plenum ha appena nominato procuratore capo di Lodi Vincenzo Russo, candidato presentato dalla corrente di maggioranza (centrista) Unicost, scartando invece il candidato di Area, Claudio Gittardi. I consiglieri di Area al Csm hanno sollevato fortissime polemiche. In passato infatti il candidato di Unicost era stato accusato (sia in un procedimento penale, che in uno disciplinare al Csm) di aver «agito come un qualsiasi cittadino disonesto che briga per condizionare gli esiti di una decisione amministrativa», per aver dato ad un magistrato del Consiglio di Stato, che doveva valutare un suo ricorso, delle latte di olio pugliese. In realtà, dalle indagini, era poi emerso che non c’erano mai stati contatti tra i due, e dunque il proscioglimento nel procedimento penale e l’assoluzione in quello disciplinare al Csm («perché l’illecito disciplinare non è configurabile, perché di scarsa rilevanza»).
Ma la vicenda “Mani unte d’olio” è emblematica per i togati di Md: il loro candidato, infatti, non aveva esperienze da procuratore capo come Russo, ma almeno era specchiato. Galli illustra il suo programma se venisse eletta all’Anm: «Noi riteniamo prioritaria la questione morale rispetto all’attività professionale». Le fa eco un altro collega: «Per i magistrati che fanno interventi pubblici ora c’è un rischio, che potrebbe deflagrare come una bomba sul piano professionale. E c’è un rischio anche sul piano disciplinare, per la produttività. Sono questi i punti più importanti per il problema della tutela dei magistrati: penso che il peso di un disciplinare debba vertere invece sulla valutazione di moralità del magistrato».
La discussione si anima. Il candidato Luca Poniz, sostituto procuratore milanese e membro uscente del direttivo dell’Anm, spiega che vorrebbe un’Anm pronta ad intervenire con un documento di condanna per decisioni del genere. Non gli occorre spiegare, agli illustri colleghi, per quale motivo a suo avviso un sindacato debba intervenire su un organo costituzionale, per altro l’unico deputato proprio a vigilare sulla condotta dei magistrati. Un collega alle parole di Poniz subito si illumina: «Secondo me, l’Anm deve avere un organo di controllo sul Csm». Il magistrato prosegue e denuncia: «C’è stato, nel caso Ingroia, un intervento del presidente della Repubblica che finisce per dettare la linea, i punti di intervento del Csm». Paolo Carfì conferma “l’allarme”: «Non è dietrologia la tua. Il giorno della votazione al Csm c’era agitazione per la presa di posizione del Presidente della repubblica». Significativo l’intervento di Carlo Citterio, consigliere alla Corte di Cassazione, che culmina con una boutade: «Dagli interventi che ho letto di recente, penso che se la mailing list dell’Anm venisse resa pubblica, giustificherebbe i test psicologici sui magistrati. E non per iniziare la loro carriera: in permanenza!». Spiega Citterio: «Noi magistrati abbiamo la peculiarità di avere la stessa base che vota per l’Anm e per il Csm. E siamo alla schizofrenia. Io li voto entrambi, e poi chiedo che l’Anm intervenga sul Csm. Nelle mailing list ora viene fuori un ruolo di magistrato che dice “io sono al centro del mondo, e posso dire ciò che voglio”».
Il dibattito prosegue incalzante, fino all’intervento di Armando Spataro, che chiama le cose con il loro nome. Ma non dà la soddisfazione di chiamar per nome il capo dello Stato Napolitano, invece: «Dobbiamo rifiutare il bavaglio. Sono d’accordo con i rilievi critici a quanto ci viene detto dalle più alte cariche dello Stato. Questo richiamo al riserbo del Capo dello Stato sarebbe rispettabile se solo non ci fossero però i ripetuti insulti verso i magistrati, che adesso non potrebbero neppure più intervenire pubblicamente. Ora gli insulti sono diminuiti per i motivi che ben sappiamo. Ma se riprendessero il Csm, e anche l’Anm, dovrebbero intervenire di più in difesa del magistrato. E sempre con fermezza». Spataro, come la gran parte dei colleghi all’incontro, fa notare di aver partecipato con interventi sulla costituzione (com’era quello di Ingroia) a eventi di partiti politici. «Non sono andato però in occasione di campagne elettorali», puntualizza.
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