La maturità di Linda e quella di chi le innalza monumenti

Media e adulti magnificano la scena muta di tre ragazze all'esame contro l'ingiustizia di un brutto voto. Ma che è, l'asilo?

Linda Conchetto, tra le tre ammutinate alla maturità

Così parlò Linda Conchetto, 18 anni, del Lido di Venezia: «Ho deciso che oggi non mi sottoporrò all’esame orale, non certo perché io ne abbia paura o perché non abbia studiato, ma perché non voglio accettare il vostro giudizio che non rispecchia il mio lavoro e perché non tollero la mancanza di rispetto nei miei confronti».

Così parlò Linda Conchetto e i giornali ne fecero Zarathustra: Linda («promessa dell’atletica leggera e già ammessa con borsa di studio per meriti sportivi alla Miami University in Ohio»), insieme alle compagne Virginia Gonzales y Herrera e Lucrezia Novello della terza A del liceo classico Foscarini che hanno deciso come lei di fare scena muta all’orale della maturità, «aveva tutto da perderci ma ne ha fatto una battaglia di dignità» (Corsera).

Così parlò Linda e i giornali ne fecero Zarathustra

Linda non è il cammello che porta pesi e porge l’altra guancia, ma il leone che se ne libera dicendo “un sacro no anche di fronte al dovere”, tanto a farne il fanciullo dell’ultima metamorfosi dello spirito ci pensa poi Gramellini, per cui Linda è «una spremuta purissima di adolescenza ed esprime le meraviglie e i limiti di quell’età, che ormai per molti si protrae fino alle soglie della pensione. Un po’ mi riconosco nel suo cupio dissolvi narcisistico: talvolta mi è capitato di prendere decisioni che andavano contro i miei interessi all’unico scopo di far sentire in colpa chi considerassi responsabile di avermi inflitto un torto», «Si è sacrificata per la causa».

In realtà, quando ha scelto di fare scena muta all’esame per poi parlarne moltissimo a tutti i quotidiani nazionali, la supermaturanda Linda i suoi conti e interessi li aveva fatti eccome: sapeva di diplomarsi in ogni caso, avendo già totalizzato un punteggio superiore al 60 dopo gli scritti a prescindere da quel 6,5 assegnatole dalla commissaria esterna di greco nella versione, il voto più alto assegnato a una classe che ha rimediato 10 su 14 insufficienze.

Chi non ha incontrato un commissario sensibile come Milosevic?

Certo, un voto che avrebbe pregiudicato i suoi piani («Puntavo al 90. Un voto alto alla maturità mi avrebbe forse permesso di accedere ai benefici scolastici, sotto forma di riduzione della retta»), ma che non portava esattamente al rogo di Giovanna d’Arco. Per dirla come l’assessore veneto Elena Donazzan: «Promosse anche facendo scena muta all’orale? Evidentemente avevano fatto bene i loro conti, il che vuol dire che non hanno neanche il coraggio di rischiare».

Pare che i ragazzi abbiano pagato dei dissapori tra docenti, e in ogni caso è certo che abbiano subito una ingiustizia, lo dice la pioggia di insufficienze, il buonsenso ma soprattutto l’esperienza: qualunque sondaggio nella cerchia di amici di tutte le età (citofonare a Tempi in mancanza di amici per aneddoti struggenti in materia) vi porterà dritto a un commissario con la sensibilità di Milosevic che ha bruciato le ali a futuri premi Nobel e premi Pulitzer.

I grandi classici della maturità, tra vecchie ingiustizie e nuovi burnout

L’ingiustizia alla maturità è un grande classico, così come il botto annuale di articoli per chiederne l’abolizione: se passano tutti non serve, se passano tutti con 100 non serve, se non passano tutti non serve, in ogni caso non serve, è inutile, riduce i ragazzi a prestazione, rischiano il burnout. O di tesserarsi alla Cgil: «Non accetto quel meccanismo che dà potere indiscusso e incontrollato agli insegnanti – così parlò Linda a Repubblica -. Immaginavo la maturità come la celebrazione dell’impegno di cinque anni e non di essere punita senza una ragione da una commissione che non ci porta rispetto. Come ho ribadito, questo non è il fallimento di noi studenti, ma quello di questo sistema (…) Noi le ingiustizie non le accettiamo».

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E ancora, al Corriere, «Mi chiedo se sia veramente sensato continuare ad essere sminuita da una commissione che evidentemente non ci porta rispetto. La risposta è no, preferisco lasciare (…) piuttosto di vedere violata la mia dignità». «Preferisco tenermi un 60 piuttosto che essere nuovamente valutata con un voto che non definisce chi sono io come persona – così parlò Ludovica alla Stampa -. E se ancora ritenete che questo sia un totale spreco, dal mio punto di vista ritengo di aver colto quest’opportunità nel miglior modo possibile, per dire ciò che realmente conta: la mia opinione e non ciò che ho studiato a memoria».

Dall’epica del fallimento all’euforia per la «disobbedienza civile»

All’ennesimo quotidiano che magnificava questo originalissimo «atto di disobbedienza civile», «boicotaggio», «sciopero bianco», incondizionatamente appoggiato da genitori («siamo fieri di loro»), compagni e media stessi, ci siamo chiesti che fine avesse fatto l’altrettanto magnificata “epica del fallimento” (non che ci mancassero, tutte quelle interviste agli esperti sull’importanza di cadere e rialzarsi, ma chissà perché una commissaria esterna non dovrebbe rientrare nella categoria buche&inciampi), ma soprattutto chi fosse veramente a trattare l’esame come nient’altro che una perfomance: la docente di manica stretta o il team Linda indisposto ad accettare il punteggio di una giuria corrotta?

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Chi è che si riconosce solo in un numero? E ancora, che spazio lascerà l’ennesimo caso maturità e del tirare su monumenti ai giovani che senza garanzia del podio e di gara non truccata non scendono nemmeno in campo per lesa dignità?

E perché non replicare a un grande torto con un grande orale?

Molto più prosaicamente, e in nome di tutti quelli che hanno imparato alla maturità che esistevano anche le ingiustizie e i maledettissimi commissari, perché non replicare a un grande torto con un grandissimo orale? Troppo da millennial fare quello che si può anche quando non è il meglio, non è il “top”?

La maturità ridotta ormai a genere letterario è inutile ma segna un’età in cui si verifica quanto conta un numero. Che non è quello dei monumenti edificati dai giornali a ragazzi educati fin dall’asilo a pane, diritti e fare calcoli che non ammettono variabili, infortuni, ostacoli.

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