Matteo Renzi a Varese, cronaca di un perfetto show televisivo

Di Paola D'Antuono
24 Settembre 2012
Il candidato alle primarie del Pd arriva nella roccaforte leghista e propone il suo show in un teatro stracolmo. Tra Crozza, Muccino, Troisi e la scuola precaria conquista applausi dall'intera platea. Cane compreso.

Sabato 22 settembre ore 9 del mattino, Teatro Politeama, Varese. Di gente davanti al teatro ce n’è molta. Fuori, giganteggia la scritta: “Matteo Renzi, ore 9:30” in stile cartellone Broadway, mentre una fila silenziosa aspetta di entrare. All’interno un’allegra squadra di ragazzi under 30 mette a punto le ultime incombenze, piazza le magliette da vendere in bella vista e si prepara ad aprire le porte, come si fa ai concerti. In poco meno di mezz’ora il teatro è pieno (1200 persone, diranno gli organizzatori). C’è anche qualche autorità locale accanto ai numerosissimi giovani, pensionati, mamme con passeggini e persino una coppia con il cane (seduta accanto alla sottoscritta). Matteo Renzi arriva con qualche minuto di ritardo: accolto come un divo del cinema, inquadrato da una luce a occhio di bue, fa fatica dal fondo della sala ad arrivare sul palco. La gente gli stringe le mani e urla “è arrivato il Matteo!”, applaude e chi può si avvicina per stringergli la mano. “Il” Matteo nota il cane e si ferma ad accarezzarlo e il proprietario con una punta di orgoglio gli dice: «È un tuo sostenitore». Dopo dieci minuti Renzi riesce finalmente a salire sul palco. A presentarlo è stato chiamato un giovanissimo sindaco del vicino comune di Malnate che, con un discorso efficace, riceve consensi dalla platea. Specie quando parla della squadra di bob giamaicana, metafora che il buon Renzi fa subito sua per spiegare la situazione della sinistra: «L’importante non è partecipare come la simpaticissima squadra di bobisti, ma correre per vincere».

IL PIU’ GRANDE SPETTACOLO DEL WEEKEND. La prima cosa che colpisce quando Renzi sale sul palco, prima delle sue parole, è la scenografia che gli è stata predisposta intorno. È evidente la sapiente mano di Giorgio Gori nel mettere insieme tutto: la scritta “Adesso!” – slogan delle primarie formato Renzi – che giganteggia sul palco, l’aspirante premier dimagrito e vestito impeccabilmente, due fari che lo illuminano da ambo i lati e un proiettore sulla sua testa che lascia presagire che ne vedremo delle belle. Renzi – o Matteo come lo chiamano tutti in sala – è in forma: fa battute, risponde sornione a un pensionato arrabbiato che continua a stuzzicarlo dalla platea («Oh Sergio, però il candidato sono io, se tu vuoi fare il confronto all’americana candidati alle primarie e ne riparliamo») e illustra i tre argomenti di cui parlerà nel corso dell’intervento: futuro-Europa-merito. Si muove sul palco come Panariello in Torno sabato (ma è addirittura più credibile) con la mano sinistra costantemente aperta e vicina al volto come se mostrasse orgoglioso la fede illuminata dai fari. Ci tiene a dire che parlerà poco del programma «che c’è e che potete vedere e commentare sul sito» e lancia due o tre argomenti, perfetti per fare breccia nel cuore dei potenziali elettori.

LEGA, CRISTIANI E MOGLIE PRECARIA. Renzi sa di essere in terra straniera. Varese è la roccaforte leghista, qui la gente ama Bossi più della sua mamma ma l’avversario numero 1 di Bersani sa quali corde toccare: «So che la Lega ha fatto tanto per il territorio, ma poi a Roma sono diventati tutti come gli altri. E poi, lasciatemelo dire, l’ampolla del dio Po… va bene tutto ma se io a Firenze incontrassi uno con l’ampolla del dio Arno gli prescriverei un Trattamento sanitario obbligatorio». Si ride tanto con “il” Matteo, dalla platea la gente continua ad applaudire, mano a mano che il tempo passa è evidente che Renzi vede accendersi le poltroncine con il suo nome e spegnersi quelle con il nome di Bersani e di Maroni. Specie quando parla dei massacri di cristiani in Nigeria e in Siria e si definisce «marito orgoglioso di un’insegnante precaria con tre figli piccoli. Come sindaco di Firenze vado ogni martedì nelle scuole. E comunque, anche quando non ci vado è la scuola che viene da me, me la ritrovo a casa che si lamenta».

MUCCINO, OBAMA E L’AUTOIRONIA. Quattro sono i video che vengono mostrati in platea. Si parte con Massimo Troisi e lo spezzone cult di Non ci resta che piangere (“ricordati che devi morire”): «Sembra lo slogan dei dirigenti del centrosinistra», per poi proseguire con un’imitazione di Crozza, che lo vede sindaco bambino con l’orsacchiotto come vicesindaco e l’impossibilità di candidarsi alle primarie: «Perché il pomeriggio c’ho judo», battuta che da l’assist a Renzi per replicare: «Adesso judo l’hanno spostato e quindi posso partecipare alle primarie». Gli ultimi due video servono a far salire vertiginosamente la carica emozionale del pubblico. Si parte con La ricerca della felicità, di Gabriele Muccino, nella scena in cui il protagonista ricorda al figlio piccolo l’importanza di credere nei propri sogni e si chiude con Obama e il suo celebre discorso per ricordare Christina, la bambina nata l’11 settembre 2001 e morta nella sparatoria di Tucson del 2011. La commozione in sala è forte e Renzi può concludere il suo one man show: «Votate chi volete, ma andate a votare». Il tempo a disposizione è finito, Matteo deve salire a bordo del camper per andare a Monza, Lecco, Bergamo e Brescia per le repliche del suo spettacolo. La folla si accalca attorno a lui, i giovani del Pd gli chiedono una foto e lui non si sottrae. Indossa (e paga) una t-shirt con scritto: “A l’e ul mument” (adesso, in dialetto lombardo), sorride e poi corre sul camper. La giornata è ancora lunga, bisogna ritoccare il trucco, cambiarsi d’abito e correre a conquistare nuovi spettatori, pardon, elettori delusi.

@paoladant

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