Terra di nessuno

La memoria di questo sole ci scalderà nel gelo malinconico dell’inverno

Gallura, 11 agosto. Da conservare nella memoria, di questa domenica di piena estate, il blu profondo del mare visto dall’alto delle colline; e il profilo degli scogli a Isola Rossa, dolomitici quasi nel loro rosa ferrigno, contro i quali si gonfia e spumeggia la schiuma bianca delle onde.

Da conservare, anche, l’incredibile viola delle bouganvillee che si sporgono dai giardini delle case; e il candore di certi gigli selvatici che spuntano virginali, chissà come, nelle dune, dalla sabbia bollente. E il perfetto azzurro del cielo che nello specchio dell’acqua, dove il fondale è chiaro, si fa verde: e pare, a chi nuota, di penetrare dentro a uno smeraldo. Da conservare ancora, e con cura, gli aromi inebrianti che nel caldo del pomeriggio si levano dalla macchia mediterranea: ginepro, lentisco, mirto, e altri di cui non sai il nome. E ginestra, già: quei cespugli riarsi e scheletriti, quei capelli di strega hanno ancora, se ne spezzi un ramo, odore d’erba, e di fiori. Da conservare anche questa gran luce immobile di un sole verticale, trionfante, che lascia di noi sul suolo solo ombre brevi e nere.

Tutto questo l’ho archiviato in ordinati cassetti della memoria; ricordi ben piegati, provvista per l’inverno venturo. Perché quando a novembre già alle cinque farà buio, io estrarrò dalla mia scorta il blu di questo cielo dell’11 agosto, in Gallura. E quando gli alberi davanti alle finestre di casa a Milano avranno perso tutte le foglie e si leveranno al cielo come braccia secche, io avrò in me il viola abbagliante delle bouganvillee, in Sardegna, e non mi faranno, quei rami morti, troppa paura; e l’ebbrezza del mirto e del ginepro, gelosamente conservata, mi testimonierà che quella morte non è per sempre, e che di nuovo rinascerà e vivrà, generosa, l’estate.

E quando a gennaio contemplerò con malinconia sui marciapiedi le tracce di neve ghiacciata e sporca, penserò a un’altra acqua: quella della Sardegna, turchese, trasparente. Quell’acqua che riecheggia arcanamente una sorgente antica e pura, di cui ho come una confusa memoria.

E, sapendo e serbando in me la gloria dell’estate, aspetterò pazientemente che finisca l’inverno. Non è ciò che gli uomini hanno sempre fatto, del resto? La memoria dell’oro del grano a giugno, a fronteggiare i campi neri e spaccati di novembre. Il rosso ardente dei papaveri, a sbugiardare il sole pallido di gennaio. Il tepore vivo dello scirocco estivo contro la lama tagliente della tramontana.

Muniti di ben conservati ricordi si può affrontare il più lungo degli inverni. Fedeli alla memoria che cova in sé già la promessa: ciò che sembra morire sarà ancora una volta chiamato a rinascere, e a fiorire.

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2 commenti

  1. beppe

    scherzi a parte, ti stimo, sorellona.

  2. beppe

    anch’io ho fatto queste riflessioni parlando con i diversi malati che ho incontrato in questa bella e calda estate trascorsa nel mio amato ( odiato ) reparto di medicina. la gallura può attendere

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