Maria di Nazaret, «mai avrei pensato di battere il Grande Fratello»

Di Carlo Candiani
04 Aprile 2012
Il successo della fiction sulla madre di Gesù? «Questo è un film che può aiutare a veicolare la fede». Intervista Armando Fumagalli, docente di Semiotica e consulente alla produzione della pellicola, che ci aiuta a comprendere i venti secoli di esegesi e di studi mariologici che stanno alla base dei personaggi del film tv.

L’audience che ha registrato ha stupito tutti, sia domenica sia lunedì: la fiction di Raiuno, Maria di Nazaret, ha ottenuto grande consenso di pubblico, totalizzando nella seconda puntata quasi otto milioni e mezzo di spettatori, con uno share complessivo del 30 per cento. Insomma, lo sceneggiato a sfondo religioso riesce a calamitare ancora l’interesse di tanti italiani, nonostante una società sempre più secolarizzata. «Bisogna aver chiaro che la fiction religiosa non ha successo a prescindere, ma quando è fatta bene», spiega a tempi.it Armando Fumagalli, docente di Semiotica e di Etica della comunicazione all’Università Cattolica di Milano, oltre che Direttore del Master universitario di scrittura e produzione di fiction e cinema, e consulente nella produzione proprio di questo film-tv. «Se anni fa mi avessero detto che un racconto su Maria avrebbe doppiato in ascolti “Il Grande Fratello”, li avrei presi per matti». Con lui abbiamo provato a riflettere su questa pellicola, affrontando anche alcuni punti del film un po’ controversi.

Fumagalli, Maria è una fiction, cioè un prodotto di fantasia, ma si basa sulla cronaca dei vangeli. Non crede ci sia il rischio di creare confusione? 
Quando è stato scelto questo soggetto ci siamo posti il problema. Ma abbiamo pensato che, come accadeva in molta pittura all’interno delle chiese, attraverso la drammatizzazione si potessero veicolare i contenuti della fede. 

Nella fiction l’amicizia tra Maria e Maddalena parte dalla fanciullezza. Chi spiegherà ad un bambino che questo è pura fantasia?
In tutto quello che è stato raccontato, è vero, c’è una parte di invenzione, ma mai contraria al Vangelo. Possiamo ritenere l’amicizia adolescenziale tra la Madonna e la Maddalena ipoteticamente possibile. È uno strumento retorico che serve ad evidenziare due scelte di vita diverse, ma che, alla fine, si ricongiungono. Per quanto riguarda il bambino della sua domanda, quando prenderà in mano i Vangeli si accorgerà che questo episodio non c’è. Ma, anche solo vedendo il film, gli è chiaro che sono due percorsi di vita differenti. Alla base della fiction c’è un profondo lavoro, frutto di venti secoli di esegesi. Per esempio, Maria compie un percorso, che la porta dalla semplice maternità naturale al divenire discepola di Cristo. Ebbene, questa è una riflessione mariologica, sviluppatasi negli ultimi decenni, grazie anche all’enciclica Redemptoris mater. Io sono molto orgoglioso di aver partecipato ad un progetto che ha spiegato questo passaggio a otto milioni di persone, dei quali forse “solo” in centomila hanno letto l’enciclica.

Quali episodi della fiction l’hanno convinta o colpita di più?
Senz’altro la figura di san Giuseppe: è stata rielaborata sulla base di una riflessione spirituale che ha una base nel Vangelo e arriva a santa Teresa D’Avila. Colpisce l’essere riusciti, per esempio, ad unire molto bene le dimensioni umane e quelle divine della sacra famiglia, senza mai banalizzarne il ruolo nella storia della salvezza. Molto riuscito è l’episodio, in cui, mentre Cristo sta raccontando la parabola del “Figliol Prodigo”, c’è l’abbraccio tra la Maddalena, salvata precedentemente dalla lapidazione, e Maria. Un gesto per spiegare che la Madonna partecipa all’opera di redenzione ed è mediatrice di grazia. 

Il nostro collaboratore Pippo Corigliano ha scritto che bisogna ringraziare Ettore Bernabei per aver avuto il coraggio di produrre la fiction.
Prodotti televisivi come questo sono sempre il risultato del coraggio di alcune persone. Penso che vada sottolineato il lavoro che ha fatto la Lux di Bernabei in questi anni, che ha cercato di non rassegnarsi alla televisione spazzatura. Il risultato di questa fiction, che considero un passo avanti rispetto alle produzioni fin qui realizzate, arriva dal lavoro di giovani sceneggiatori: Francesco Arlanch, al quale dobbiamo soggetto e sceneggiatura, ha 35 anni ed è già uno dei migliori sceneggiatori italiani. Arriva dai corsi di sceneggiatura dell’Università Cattolica, e come lui molti professionisti che hanno partecipato alla fase produttiva sono stati miei allievi. Di questo sono molto orgoglioso.

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