Mani Pulite, gli Usa c’entrano poco. La magistratura italiana fa quel che vuole

Di Francesco Amicone
30 Agosto 2012
«Un intervento americano non avrebbero potuto determinare la nascita dell'inchiesta di Mani Pulite». Dopo le rivelazioni apparse sulla Stampa, Tempi ne parla con Frank Cimini, giornalista che seguì Tangentopoli

Passati vent’anni da Tangentopoli, non si dipanano i dubbi sull’inchiesta che rivoluzionò l’Italia politica della Prima Repubblica. Fu davvero e soltanto una reazione “differita” a un fenomeno che si conosceva da anni, come ha sempre affermato Antonio Di Pietro, ex punta di diamante del pool di Mani Pulite? Oppure aveva ragione Bettino Craxi, quando sosteneva che dietro quell’inchiesta ci fosse la mano di una potenza straniera (Usa)? Complottismo? Ieri, si è aggiunto un altro tassello che farebbe propendere per la tesi di Craxi. La Stampa ha pubblicato un’intervista di Maurizio Molinari a Reginald Bartholomew, ex ambasciatore americano in Italia (1993-1997). Bartholomew parla delle strane trame fra il team di Mani Pulite e il consolato americano guidato da Peter Semler, il quale a Milano chiuse una carriera di 37 anni al servizio del Foreign Office americano (negli anni ’80 si trovò al centro di uno scandalo di spionaggio in Unione Sovietica). Secondo Bartholomew, che fu molto critico sull’operato dei magistrati del pool e sull’uso del carcere preventivo, a Milano «qualcosa non quadrava»: il suo predecessore Peter Secchia avrebbe lasciato a Semler la libertà di tessere rapporti con i giudici che si occupavano dell’inchiesta sulla corruzione dei partiti italiani. Oggi in un’intervista sempre su La Stampa, Semler ammette di aver incontrato Di Pietro già nel novembre del 1991. L’allora magistrato gli anticipò che l’inchiesta sarebbe arrivata alla dirigenza di Psi e Dc. «La storia è semplice», afferma Frank Cimini, giornalista che seguì l’inchiesta di Mani Pulite per Il Mattino: «Non prenderei come vangelo le parole dell’ex ambasciatore». «A parte qualche normale contatto diplomatico, non ci vedo nessun legame». Vale sul terrorismo e vale per Tangentopoli, secondo Cimini: «Furono storie tutte italiane, non complotti americani».

Gli Stati Uniti volevano liberarsi di Craxi e della Dc? Con la fine della guerra fredda potevano risultare ingombranti.
L’unico progetto politico dietro Tangentopoli fu quello dei magistrati. Un progetto di Borrelli più che del capo della Cia. Dopo che la politica affidò loro il lavoro sporco della lotta al terrorismo, i magistrati decisero di “passare all’incasso”. Così nel 1992 fecero fuori la politica italiana. Politica che non meritava molto, sia detto. Però lo fecero violando i più basilari diritti degli imputati. La politica italiana, sempre pavida nelle situazioni difficili, non riuscì a trovare una soluzione alla corruzione, e così venne scardinata. D’altra parte, una soluzione politica non la trovò al terrorismo e, sotto certi aspetti, alla mafia. Ecco perché i magistrati diventarono un potere, anche se costituzionalmente dovrebbero essere un ordine.

Un potere col quale gli americani avrebbero potuto intrattenere dei rapporti?
Secondo me, no. Gli americani con Tangentopoli non c’entrano niente. Cercavano di capire, erano interessati a quello che stava accadendo in Italia, ma, al di là di questo, non penso che sostennero un’azione contro la classe politica italiana.

L’ex ambasciatore Bartholomew però dice che a Milano «qualcosa non quadrava».
Un intervento americano non avrebbero potuto determinare la nascita dell’inchiesta di Mani Pulite. E poi, come dimostrano i fatti, gli interventi di Bartholomew sui diritti degli imputati contro l’uso del carcere preventivo da parte dei giudici italiani non sono serviti a niente. Questo dimostra che nonostante le pressioni americane, i magistrati italiani agiscono come vogliono. Chiaro che l’Italia è un paese complicato per gli stranieri. Un funzionario del Foreign Office, per cercare di capire, deve ascoltare tante voci. In quel momento, a Milano, c’era d’ascoltare anche quella dei magistrati.

Tangentopoli, operazione della sola magistratura?
Sì. Il fianco gliel’ha offerto la classe politica che, ieri come oggi, non è stata capace di rigenerarsi. E purtroppo dopo vent’anni è cambiato poco: come ho scritto al Foglio, Ingroia è il “Tonino” del terzo millennio. L’unica differenza è che non si fa comprare i vestiti dagli inquisiti del suo ufficio.

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2 commenti

  1. francesco taddei

    il Sig. Enrico ha ragione. se qualcuno pesta i piedi al paese libero e democratico prima o poi gliela fanno pagare. e un giornalista americano difende il proprio paese anche quando butta giù le funivie con i turisti.

  2. Enrico

    Cimini può aver ragione su molte cose, ma se potessi gli porrei due domande:
    1. Come mai le B.R. erano delle “primule rosse” che nessuno riusciva a scovare; uccidevano, rapivano e rapinavano impunemente. Quando però è stato rapito il Generale Dozier della NATO l’hanno trovato e liberato nel giro di due settimane.
    2. Craxi e Andreotti hanno pestato i piedi agli USA in tema di politica estera, leggi Sigonella-OLP-Medio Oriente in genere. Abbiamo visto cosa hanno dovuto subire, a torto o ragione che sia.

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