
Malpighi, dove anche lo zabaione c’entra con l’universo intero

“Sarà un anno che non dimenticheremo più. Stiamo cambiando insieme ai nostri studenti. Non solo perché siamo stati costretti a inventarci nuove strade per continuare ad insegnare rimanendo in rapporto con loro, ma anche perché siamo stati obbligati ad andare all’essenziale. Quanto tempo si “spreca” nelle 1.000 ore all’anno di lezione a scuola! Quante volte abbiamo dato per scontata la possibilità straordinaria di guardare in faccia i nostri alunni o i nostri colleghi! Questa situazione ci sta abituando a desiderare il momento della lezione live con gli studenti come un appuntamento preparato con cura, in cui nulla deve andare sprecato e ci sta aiutando a capire che nessuno può andare avanti da solo”. Non sarà un anno perso, quest’anno scolastico, per Elena Ugolini, preside del glorioso Liceo Malpighi, nato come ginnasio nel 1883 e che oggi, tra Bologna, Castel S. Pietro Terme e Cento, conta una scuola dell’infanzia, scuole medie, quattro licei e la bellezza di 1.450 studenti.
Nell’educazione non c’ niente di scontato ma cosa significa che “nessuno può andare avanti da solo”?
Non sto pensando solamente all’aiuto che i docenti più giovani hanno dato a tutti gli altri per acquisire velocemente gli strumenti tecnici necessari per fare lezioni a distanza, ma anche all’esigenza di condividere materiali prodotti con tanta fatica, alla possibilità di “entrare” dentro le lezioni dei colleghi, alla necessità di lasciare traccia di quello che si fa: attività, materiali, presentazioni, documenti, risorse in rete, video lezioni, per condividere tutto. In sei settimane sono cambiate tutte le tipologie di prove e le modalità con cui cerchiamo di renderci conto se i ragazzi stanno imparando. Siamo stati costretti a restituire alla valutazione il suo senso più autentico: quello di capire e far capire a che punto si è nel percorso che si sta facendo. Le situazioni sono molto diverse a seconda dei livelli di scuola, ma in tutti i casi chi ha accettato la sfida è cambiato.
Speculare all’emergenza sanitaria c’è quella educativa: in prima linea i medici a salvare vite e nelle retrovie gli insegnanti a salvaguardare e custodire la relazione dei ragazzi, coinvolti nell’emergenza, con il mondo. Per voi come si è tradotto nel rapporto con gli studenti?
Il parallelo calza benissimo: in queste settimane abbiamo visto che il cuore del sistema sanitario sono persone disposte a dare letteralmente la vita per aiutare gli altri. Tutta l’organizzazione della sanità dovrebbe girare attorno a questa domanda: come formare, far crescere, valorizzare e aiutare a lavorare nel modo migliore possibile dei professionisti così. A scuola non è diverso. Esiste un’emergenza educativa perché mancano adulti disposti “a dare la vita” per chi è stato loro affidato. Volutamente non parlo solo degli insegnanti perché questa situazione coinvolge tutti: genitori e docenti, dirigenti e professori universitari. Tradotto, in questa situazione di “distanza” con i nostri studenti è emerso in modo ancora più potente la necessità di una “vicinanza” capace di riportare nel ritmo di una giornata sospesa tra il divano e la play station, la forza della realtà: la bellezza di una poesia o di un’opera d’arte, la durezza di una formula di chimica, il fascino di una legge fisica capace di spiegare con quattro lettere l’universo intero.
E i ragazzi come hanno risposto?
Per una volta tanto i ragazzi hanno vissuto il desiderio di imparare e di capire, hanno sentito la mancanza di quelle ore di scuola alle quali sono abituati da quando hanno sei anni, hanno capito la passione, l’amore, la dedizione di quei docenti che hanno rivoluzionato il modo con cui erano abituati ad insegnare da una vita. La scorsa settimana, durante una riunione, il preside delle nostre medie, un bravissimo professore di matematica, per spiegare l’impegno necessario a fare una “buona” didattica a distanza, diceva di aver dedicato due ore per costruire una video lezione di 8 minuti pensata per i bambini di una “certa” classe. E’ cosi che si aiutano gli studenti ad aprirsi alla realtà: attraverso un’affezione che si manifesta in mille forme, e, innanzitutto, nel modo in cui si insegna. Sabato scorso una super docente di italiano del liceo ha organizzato con un nostro studente molto bravo di prima una lezione a distanza di cucina per tutta la classe. Cucinare è la sua passione e ha insegnato su zoom ai compagni come si fa un “risotto agli asparagi mantecato con zabaione salato” (eccoli qui, tutti davanti ai fornelli, ndr) Perché dei prof, a scuola chiusa, dovrebbero stare insieme ai propri alunni anche il sabato mattina? Perché nell’insegnamento esiste qualcosa che ha a che fare con la gratuità, con quell’affezione incondizionata che dà la pazienza di aspettare e l’energia per rilanciare sempre. Senza questo ingrediente nessuna didattica potrà mai essere efficace. In queste settimane al Liceo Malpighi abbiamo ripreso il laboratorio di teatro, di design e di robotica. Abbiamo proposto un cineforum aperto alla città con la Cineteca di Bologna e riapriremo il nostro career service. Abbiamo aperto un blog #inclasseacasa (qui quello dei licei, ma c’è anche quello delle scuole medie e delle scuole dell’infanzia e primarie, ndr) per valorizzare le lezioni o i lavori più interessanti. Dal primo giorno di sospensione dell’attività didattica non abbiamo mai mollato un secondo. Abbiamo vissuto ogni settimana come se fosse quella decisiva, senza aspettare di tornare alla normalità per vivere.
Tutte le scuole Malpighi sono paritarie che forniscono un servizio pubblico aperto a tutti coloro che desiderino frequentarle. Oltre il 20 per cento dei vostri studenti usufruisce di una borsa di studio. Voi non avete mai aspettato lo Stato, cosa pensa ora delle conseguenze che l’emergenza avrà su scuole e famiglie? Sappiamo che molte paritarie stanno già facendo fronte alle richieste (assumendo spesso decisioni drammatiche come la sospensione o riduzione delle rette).
Sinceramente sono molto colpita dall’ipocrisia del popolo italiano. Solo ora si scopre che le famiglie con i figli nelle scuole statali sono favorite perché in un momento di crisi come questo non devono pagare la retta, mentre esistono 900 mila famiglie che, pur vivendo le stesse difficoltà, saranno costrette a pagare una retta perché i figli frequentano una scuola paritaria. Come sempre i periodi di crisi mettono in luce come stanno le cose. Questo grido allo scandalo dovrebbe essere fatto sempre, per ogni ora di scuola paritaria pagata da famiglie che stanno versando delle tasse per una scuola statale che i figli non frequentano. Ed è una grande ingiustizia, che dovrebbe essere riparata definitivamente, non solo in questa situazione. Sono certa che in questo momento verranno presi dei provvedimenti per aiutare famiglie e scuole. Aver dato la possibilità di accedere ai contributi (il Fis) per le ore “non lavorate”, ad esempio, è già stato un passo importante per sostenere le scuole che stanno andando in sofferenza per il mancato pagamento delle rette, ma non è sufficiente. E’ urgente uscire in modo stabile da questa situazione aiutando in modo stabile le famiglie dei 900.000 studenti che frequentano le scuole paritarie: attraverso lo strumento del voucher, del credito di imposta o della detraibilità dell’importo della retta.
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