
Malata di leucemia, rifiuta di abortire il figlio, rischiando la vita. Storia di Rosanna (e Tommaso)
«Quando l’ho sentito piangere per la prima volta è stato il momento più bello della mia vita». Ha usato queste parole Rosanna Zedda, una mamma sarda che ha lottato contro il parere dei medici che le consigliavano l’aborto per salvare se stessa e lasciar morire quel bimbo che teneva in grembo.
È la storia di un «miracolo» quella che giunge oggi da Cagliari dove sette mesi fa, nella clinica di Ostetricia e ginecologia del San Giovanni di Dio, è nato un bambino che, secondo ogni canone medico, non sarebbe dovuto nascere, a meno di una tragedia che avrebbe coinvolto o lui o la madre, o entrambi.
È stato solo grazie alla determinazione di Rosanna e al sostegno del marito Stefano Ortu, se oggi Tommaso vive, gioca e respira. Ed è sano come un pesce.
SIGNORA, ABORTISCA. Tutto iniziò quando Rosanna, 38 anni, alla ventiseiesima settimana di gravidanza, scoprì di essere affetta da leucemia mieloide acuta (una forma assai grave del male). «Il tuo sangue ha il cancro», le dissero. Il verdetto non lasciava scampo: la donna avrebbe dovuto sottoporsi a chemioterapia e trapianto di midollo. Una situazione complicata ancor più dal fatto che la giovane soffriva di dolori e febbre e dal fatto che i medici avevano riscontrato un’anomalia cromosomica e un incremento di globuli bianchi. Il vicolo era cieco: o si sottopone alla terapia o rischia la vita. Tra l’altro, quel bambino rischiava seriamente di morire in pancia e, quand’anche fosse venuto alla luce, molto probabilmente sarebbe nato con gravi malformazioni. Il consiglio dei medici fu uno: signora, abortisca.
CON LA SUA MORTE MORIREI. «Aborto? per me sarebbe stato come morire». Rosanna dice oggi così, tenendo fra le braccia Tommaso. Ha messo a rischio la sua esistenza per quel figlio: «Questo bambino è tutta la mia vita. È con la sua morte che morirei. Di aborto non si parla nemmeno». Determinata nella sua scelta, fino al sacrifico, oggi racconta: «Sono una miracolta. Tommaso è un miracolo». I medici hanno fatto l’impossibile, sono riusciti a curarla in modo tale che anche il piccolo non subisse traumi. L’ospedale è diventato una grande famiglia, che si è stretta intorno a quella donna coraggiosa.
Non è stato tutto facile, né rosa e fiori. Subito il trapianto di midollo, un mese dopo il parto, Rosanna è stata un mese a letto in ospedale, sbirciando di tanto in tanto «il mio bambino dietro un vetro».
Come ha potuto sopportare tutto ciò? La sua risposta è breve, essenziale, senza fronzoli: «Pregavo, mi affidavo alla fede. E poi pregavo ancora»
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4 commenti
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brava
Queste storie insegnano, tra le altre cose, che questa cultura della morte che è la mentalità abortista danneggia profondamente la progressione della scienza medica. Se la signora avesse abortito avrebbe poi proseguito con terapie classiche, in modo standard. Invece così i dottori si sono dovuti inventare una soluzione, hanno provato una strada nuova, magari un domani a un’altra donna nelle stesse condizioni potranno dire “abbiamo provato con successo questa terapia” invece di un disfattista “abortisca”. Chissà quante terapie rivoluzionarie non sono state inventate perché si è preferita la strada facile della soppressione del malato o dell’eliminazione della “complicazione” all’applicazione della cura abitualmente adoperata.
Proprio così, Lela: è la «cultura dello scarto» di cui parla il Papa. Si gioca al ribasso, al «che ti entusiasmi a fare, tanto non serve a niente», al «non c’è nulla che valga la pena» salvo poi mettersi a correre dietro alle varie “adrenaline”, “wellness”, “fitness”, “pets” idolatrati come la dea Kalì e sostanze psicotrope assortite.