Macroregioni e regioni autonome. Un lettore scrive e Robi Ronza risponde

Di Redazione
08 Settembre 2011
Dopo l'intervista che il giornalista Robi Ronza ha concesso a tempi.it sulla proposta di Formigoni di accorpare le Regioni italiane, un lettore chiede di approfondire il discorso. Ecco le domande e le risposte dell'esperto

Dopo l’intervista, che il giornalista Robi Ronza ha concesso a Tempi.it, con argomento la proposta del Governatore della Lombardia Roberto Formigoni su un possibile accorpamento delle Regioni italiane, istituendo le Macroregioni, che realizzerebbe di fatto un’antica idea del politologo Gianfranco Miglio, della fine degli anni Ottanta e attualizzandola all’interno del dibattito sull’attuazione di un reale federalismo, abbiamo ricevuto in redazione il commento di un lettore, Francesco Taddei, che poneva alcune questioni importanti, non toccate dall’intervistato.

Ecco, in sintesi, le domande:
La Valle d’Aosta non potrebbe diventare provincia autonoma del Piemonte?
I bolzanini che chiedono l’abolizione della lingua italiana, non sarebbe ora che smettessero con il loro rancore?
Non sarebbe ora che si armonizzassero le aliquote Iva fra le varie regioni speciali/statuto ordinario?
Le Regioni a statuto speciale sono intoccabili? Non fanno anch’esse parte di una comunità che si chiama Stato Italiano?

Ecco le risposte di Ronza:

Le Regioni a statuto speciale si spiegano nel quadro di uno Stato come il nostro che, essendo unitario, è perciò per sua natura incapace in via ordinaria di dare riconoscimento e adeguato spazio politico a territori con una forte specificità o linguistica o geografica. Il giorno in cui l’Italia diventasse davvero federale (oggi non lo è nemmeno embrionalmente) non ce ne sarebbe più bisogno: allora la specialità sarebbe non più l’eccezione bensì la regola per ogni territorio federato.
Finché però restiamo uno Stato unitario le Regioni e statuto speciale e le Province autonome continuano a mio avviso ad essere del tutto giustificate.
Come nel caso dei Comuni e delle Province, così in quello delle Regioni vanno considerati nel loro insieme vari elementi, dei quali la consistenza demografica è uno, ma non l’unico; ce ne sono anche altri, tra cui appunto l’identità culturale e il territorio.

Il lettore faceva l’esempio della Valle d’Aosta…
Nella misura in cui la Valle d’Aosta mantiene la propria specificità linguistico-culturale che sia una Regione autonoma è giustificato anche se conta meno di 120 mila abitanti. Purtroppo però essa di fatto non è più francofona e sta diventando sempre più una (pur bella) periferia di Torino. Questo a mio avviso è il suo problema numero uno.
La Valle d’Aosta è un lembo cisalpino dell’antica parte francofona degli Stati di Savoia: se non riscopre e ricupera la propria specificità culturale a lungo andare la sua autonomia politica non sarà più sostenibile.
 
È un modo diverso di concepire i rapporti tra comunità identitaria e Stato?
Dal principio della primazia della persona e della comunità rispetto allo Stato deriva tra l’altro la conseguenza che è lo Stato che deve parlare la lingua dei cittadini, e non i cittadini la lingua dello Stato. Pertanto in una provincia come quella di Bolzano, dove due terzi degli abitanti sono di lingua tedesca, a mio avviso il tedesco dovrebbe essere la prima lingua ufficiale e l’italiano la seconda.
Invece non è così, e il tedesco si mantiene solo al prezzo di una continua mobilitazione politico-culturale che gioca contro la pacificazione reale dei rapporti tra la maggioranza autoctona di lingua tedesca o ladina della Provincia e la minoranza italiana, purtroppo nata male perché nata nel quadro di un tentativo di espulsione e/o di sterminio culturale degli abitanti originari di quel territorio (annesso a viva forza al termine della prima guerra mondiale) a suo tempo voluto dal fascismo.
Non mi risulta che da alcun voce responsabile ed ufficiale del mondo sudtirolese sia mai venuta la richiesta di abolire la lingua italiana. L’innaturalità della pretesa che l’italiano sia la prima lingua del SudTirolo salta però agli occhi di chiunque non solo vi abiti ma anche soltanto ci vada in vacanza. Per non parlare dei falsi toponimi italiani, irritanti non solo perché spesso strampalati ma anche perché sono memoria di quel tentativo di annichilimento fascista dell’identità sudtirolese di cui si diceva.
Per parte mia non ho mai capito perché i falsi toponimi italiani alla caduta del fascismo vennero aboliti in Val d’Aosta e non nella provincia di Bolzano. Oggi se prima di Châtillon ci fosse scritto Castiglione Dora ci verrebbe da ridere; invece diciamo seriamente Dobbiaco invece di Toblach o Brunico invece di Bruneck…
 
È giusto che sussistano ancora i privilegi economici delle Regioni autonome?
In linea di principio, no! Teniamo però conto che tali privilegi sono stati dati in cambio della rinuncia, da parte dei territori interessati, del diritto di autodeterminazione, che è riconosciuto dal diritto internazionale: questo sia nel caso della provincia di Bolzano, che per la Val d’Aosta.
Inoltre, per quanto riguarda quest’ultima, esiste una grave inadempienza dello Stato Italiano: lo Statuto Valdostano del 1948 stabilisce che l’intero territorio valdostano sia “zona franca”. Tutto ciò, invece, non è mai avvenuto.  

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