
Forse Macron ha finalmente trovato il prossimo primo ministro francese

Parigi. A cinquanta giorni dalle dimissioni di Gabriel Attal dal ruolo di primo ministro di Francia, e dopo una settimana di consultazioni tra il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e i capi dei vari partiti e gruppi parlamentari, inizia a delinearsi il profilo del prossimo inquilino di Matignon: Bernard Cazeneuve, socialista, ex ministro dell’Interno e capo dell’esecutivo sotto la presidenza di François Hollande (2012-2017). Oggi, all’Eliseo, Macron riceverà Cazeneuve per un primo e forse definitivo faccia a faccia, al termine del quale l’esponente socialista potrebbe ricevere l’incarico di formare un governo di larghe intese, quell’ampio “fronte repubblicano” privo degli estremisti di sinistra (France insoumise) e di destra (Rassemblement national) auspicato dal capo dello Stato.
«L’ipotesi Cazeneuve sembra reggere»
«L’ipotesi Cazeneuve sembra reggere», ha dichiarato ieri al Figaro in forma anonima un membro dell’attuale governo dimissionario. L’entourage di Cazeneuve ha precisato che non ci sono stati “contatti diretti” né con Macron né con “collaboratori diretti o indiretti” del presidente prima di questo incontro, ma non nega la disponibilità dell’ex premier a riprendere le redini del governo. «Non dirà sì ad ogni costo, tuttavia non ci sono linee rosse a priori quando si entra in una negoziazione», ha riferito un fedelissimo di colui che si presenta come «un uomo di sinistra responsabile» e piace anche alla destra per il suo pragmatismo.
Al Monde, un altro consigliere di Cazeneuve, ha ribadito il concetto: non sarà un obligé di Macron, un mero esecutore degli ordini del presidente, e se accetterà l’incarico lo farà per il bene del Paese. «Bernard Cazeneuve non ha chiesto questo ruolo, ma se lo ricoprirà sarà per dovere e per evitare ulteriori difficoltà al Paese», ha dichiarato il consigliere dell’ex premier socialista. Cazeneuve, che è stato ministro dell’Interno durante l’annus horribilis degli attentati jihadisti di Charlie Hebdo e del Bataclan, avrebbe già posto le sue condizioni: mani libere sulla scelta dei ministri. «Sarà un governo di vera coabitazione, e un governo di sinistra», ha promesso ai suoi interlocutori, mandando un messaggio a chi, nel campo largo della gauche, storce il naso quando sente il suo nome e teme un ritorno della vecchia politica, dell’hollandismo.

Nel Partito socialista non sono tutti pazzi per Cazeneuve
L’ipotesi Cazeneuve sta creando forti tensioni all’interno del Partito socialista, che nel weekend ha organizzato l’abituale università estiva di Blois, la Festa dell’Unità del partito della rosa francese. Olivier Faure, primo segretario del Ps, ha ribadito che l’unico candidato del Nuovo fronte popolare, l’alleanza delle sinistre uscita dalle legislative con il più alto numero di deputati, è Lucie Castets, l’economista di 37 anni che si è appena dimessa dal ruolo di direttrice delle finanze del Comune di Parigi ma che Macron ha bocciato all’esame per Matignon. Tuttavia, la posizione di Faure, contestato da molti all’interno del partito per la sua timidezza nei confronti della France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, è sempre più minoritaria.
Per la sindaca socialista di Vaulx-en-Velin Hélène Geoffroy, «un candidato social-democratico a Matignon sarebbe il più adatto a fare dei compressi», e per Jean-Christophe Cambadélis, ex primo segretario del Ps, Cazeneuve sarebbe il profilo giusto per Matignon: «È di sinistra senza appartenere al Nuovo fronte popolare, è repubblicano senza essere di destra». Venerdì, Cazeneuve, ha incassato anche l’endorsement significativo di Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, che ha giudicato il suo profilo «credibile e serio» per guidare il prossimo esecutivo.
I no di verdi e France insoumise
Ma negli altri partiti del Nuovo fronte popolare il nome dell’hollandiano non scalda i cuori, anzi. I Verdi non gli perdonano la gestione del dossier Sivens quando era ministro dell’Interno. Il riferimento è alla morte del giovane militante ecologista Rémi Fraisse, ucciso da una granata della gendarmeria durante le manifestazioni contro la costruzione di una diga a Sivens. Cazeneuve «non è una soluzione possibile per gli ecologisti», ha tuonato Marine Tondelier, segretaria nazionale degli ecologisti. La France insoumise, per voce del coordinatore nazionale Manuel Bompard, ha minacciato una mozione di sfiducia in caso di nomina di un governo Cazeneuve.
Per Bompard, «non può essere considerato un primo ministro di sinistra se non ha il sostegno delle quattro componenti politiche di sinistra dell’Assemblea nazionale». E ancora: «Se il presidente della Repubblica si rifiuta ostinatamente di rispettare i risultati delle elezioni e nomina a Matignon una persona diversa dal candidato del Nuovo fronte popolare, ci sarà una mozione di sfiducia, ci sarà una mobilitazione e ci sarà una procedura di destituzione».
La strategia divide et impera di Macron
Ma secondo molti osservatori, Macron, seguendo la più classica delle strategie, il divide et impera, sta riuscendo nel suo intento, ossia spaccare la grosse koalition che si era formata contro di lui alle legislative, isolando gli estremisti mélenchonisti e allo stesso tempo attirando verso di sé la sinistra riformista. In più, il nome di Cazeneuve risponde al criterio della “non-censurabilità” anche se si include il Rassemblement national, il partito sovranista di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Contro Cazeneuve «non ci sarà alcuna censura di principio», ha dichiarato il portavoce di Rn, Laurent Jacobelli, spiegando che le sue truppe bloccheranno l’ex socialista solo «se, nel suo bilancio e nel suo programma, ci saranno cose che ci sembrano andare contro gli interessi dei francesi».
Cazeneuve è un socialista atipico, difensore dell’ordine sociale alla Clemenceau e con un discorso di destra sui temi della sicurezza e dell’immigrazione che ricorda più Nicolas Sarkozy che François Hollande. Consigliere tecnico nei ministeri, sindaco e deputato prima di diventare ministro e primo ministro, Cazeneuve ha un bacino di esperienze nei piani alti della République che gli garantiscono lo status di homme d’État. Per Macron è il profilo più idoneo oggi a garantire quella stabilità istituzionale di cui la Francia ha bisogno a lungo termine.
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