È ancora Macron vs. Le Pen. Cosa aspettarsi dalle elezioni francesi

Di Rodolfo Casadei
09 Aprile 2022
Il presidente uscente dovrebbe vincere agevolmente il primo turno, ma i sondaggi dicono che al ballottaggio la forbice si assottiglierà. Il peso della guerra sul voto
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Due manifesti con le caricature di Emmanuel Macron e Marine Le Pen affissi dallo street artist francese Jaeraymie per le strade di Parigi. Domenica si vota per eleggere il Presidente (foto Ansa)

Secondo gli ultimi sondaggi (Ipsos del 7 aprile), il primo turno delle elezioni presidenziali francesi di domani, domenica 10 aprile, riproporrà lo stesso risultato di cinque anni fa: primo Emmanuel Macron, seconda Marine Le Pen. Dal 2017 ad oggi molte altre cose invece sono cambiate, a cominciare dallo squagliamento dei due partiti che hanno dato alla Francia sei degli otto presidenti che si sono succeduti a capo dello Stato dall’inizio della Quinta Repubblica (1958).

L’inabissamento delle forze politiche storiche

I gollisti che sotto varie etichette di partito hanno avuto a capo dello Stato, oltre allo stesso generale Charles De Gaulle, uomini come Georges Pompidou, Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy; i socialisti che con François Mitterrand hanno occupato l’Eliseo per 14 anni di seguito (1981-1995) e poi sono tornati al vertice del potere con François Hollande nel 2012. Ebbene, secondo i sondaggi la candidata dei Républicains, eredi del gollismo, Valérie Pécresse è accreditata di un modesto 8,5 per cento, mentre Anne Hidalgo, sindaco di Parigi e candidata presidenziale del Partito Socialista, sprofonda a un deprimente 2 per cento.

Dell’inabissamento delle forze politiche storiche hanno approfittato non solo lo strano centrista Sarkozy e l’estrema destra in doppio petto di Marine Le Pen, ma anche altre forze politiche radicali. I sondaggi indicano come terzo classificato del primo turno Jean-Luc Mélenchon, candidato dell’estrema sinistra islamo-goscista, e come quarto Eric Zemmour, il cui programma e la cui retorica in tema di identità francese e di antiglobalismo scavalcano a destra Marine Le Pen. Nessuno di questi tre, però, appare in grado di mettere in discussione il ballottaggio che per la seconda volta in cinque anni si profila fra il presidente uscente Emmanuel Macron e la presidente dell’ex Front National, ribattezzato quattro anni fa Rassemblement National.

Cosa dicono i sondaggi

I rapporti di forza fra la Le Pen e Macron, però, sono molto diversi da quelli del 2017. Stavolta al primo turno la forbice fra i due dovrebbe essere un po’ più larga a favore del presidente uscente di quanto lo sia stata cinque anni fa, quando fu di appena 2,7 punti percentuali, ma poi al ballottaggio del 24 aprile – sempre secondo i sondaggi – dovrebbe di nuovo drammaticamente restringersi, contrariamente a quanto avvenne nel 2017. Cinque anni fa i 3 punti scarsi di differenza del primo turno diventarono 33 quando si aprirono le urne del voto di ballottaggio: Macron vinse col 66,1 per cento dei voti contro il 33,9 per cento della Le Pen.

Attualmente invece la distanza fra i due nel probabile ballottaggio è di appena 4 punti: 52 per cento il presidente uscente, 48 per cento la sfidante. La forbice si è chiusa nel corso dell’ultimo mese: meno di un mese fa (l’11 marzo) nella sfida a due Macron era dato vincente per 59 a 41. Cosa ha provocato la rimonta della Le Pen? Quante possibilità ci sono che fra quindici giorni dalle urne esca la sorpresa di una vittoria della candidata sovranista?

Come è cambiata Marine Le Pen

Lo scoppio della guerra in Ucraina avrebbe potuto azzerare le chances della Le Pen, che ha dovuto mandare al macero un milione di dépliant dove è ritratta in una foto insieme al presidente russo Putin e che nel 2014 ottenne 11 milioni di euro di prestito da banche russe per il suo partito. Invece la figlia del fondatore del Front National ha continuato la sua campagna elettorale con lo stesso stile e gli stessi contenuti con cui l’aveva iniziata: pacatezza, fiducia in se stessa e nell’avvenire della Francia, ostentazione di pragmatismo, intransigenza sui temi dell’immigrazione ma senza ostentazioni provocatorie, discorsi concentrati più sul potere d’acquisto delle classi medie e umili che sui temi dell’ordine del pubblico, fine della retorica antieuropeista (in passato il Fn proponeva l’uscita della Francia dall’euro se non addirittura dalla Ue).

Rivendica una continuità con la tradizione di De Gaulle, al punto da aver sostituito nel nome del partito “Front” con “Rassemblement”: Rassemblement du Peuple Français era il nome del partito fondato dal generale, e Rassemblement pour la République il nome del partito neogollista di Jacques Chirac.

Il paradossale “aiuto” di Zemmour

Paradossalmente l’immagine moderata della Le Pen è stata aiutata dall’irruzione sulla scena del polemista Eric Zemmour, che inizialmente le ha sottratto consensi nelle intenzioni di voto perché pescava nel suo stesso bacino elettorale, ma che dopo un boom iniziale ha stancato per i suoi toni troppo pessimisti e ideologici (sostiene che l’immigrazione deve essere fermata anche se questo dovesse avere contraccolpi negativi per l’economia francese) e ha fatto apparire la Le Pen come un’autentica statista più vicina al centro che alla destra estrema. L’ha aiutata anche la scelta di Macron di non fare campagna al primo turno, che inizialmente ha premiato il presidente uscente ma a un certo momento ha cominciato a penalizzarlo.

Presidente di turno dell’Unione Europea, Macron si è lanciato in un carosello di contatti diplomatici che dovevano legittimarlo come colui che sarebbe riuscito a far sedere al tavolo di un vero negoziato di pace Putin e Zelenski; quando i suoi sforzi molto mediatizzati si sono rivelati vani, il consenso è sceso anche perché l’elettorato potenziale si è reso conto che per l’aumento del prezzo dell’energia il governo macroniano non aveva ancora fatto nulla (recentemente il primo ministro Jean Castex ha preso provvedimenti simili a quelli del governo Draghi).

Non è più destra contro sinistra

In un’intervista a Le Figaro, la Le Pen definisce le elezioni come un appuntamento «per scegliere fra la nazione e la mondializzazione. Macron e io presentiamo due progetti completi e antagonisti. La divisione destra-sinistra è stata sostituita dalla vera contrapposizione fra nazionali e post-nazionali. Fra coloro che ritengono che la nazione debba durare insieme alle protezioni che le sono proprie. E coloro che hanno una visione post-nazionale, che considerano la nazione un vecchio concetto di cui sbarazzarci».

A proposito degli altri concorrenti all’elezione dice: «Fra i concorrenti alle presidenziali con cui mi confronto ci sono due candidati emiplegici. Da una parte Eric Zemmour, dall’altra Jean-Luc Mélenchon. L’uno si interessa soltanto alla difesa della civiltà, il secondo si interessa soltanto alla protezione sociale. Io sono la candidata che unisce le due cose, attenta a tutti i tipi di sicurezza: economica, sociale, fisica e identitaria. I francesi attendono qualcosa di globale».

Macron ha fidelizzato gli elettori del 2017

Macron caracolla ancora in testa ai sondaggi perché ha saputo fidelizzare gli elettori del 2017 (secondo le inchieste è il candidato che otterrà più voti fra quelli che l’hanno votato alle precedenti elezioni) e per la gestione della pandemia, soprattutto per quanto riguarda i ristori ai commercianti e la cassa integrazione per i lavoratori dipendenti (capitoli per i quali il governo francese si è mostrato più generoso di quello italiano). Ma la distrazione delle ultime settimane, interamente da lui dedicate alla crisi ucraina mentre Marine Le Pen batteva sistematicamente cittadine e mercatini facendosi fotografare sorridente con migliaia di elettori, gli ha creato qualche problema.

Nessun sondaggio finora lo dà perdente al ballottaggio, ma può ancora materializzarsi per lui il pericolo dell’inchiesta fiscale su McKinsey, la società americana di consulenza manageriale con la quale i governi riconducibili a Macron hanno firmato molti contratti, e che ora si ritrova indagata con accuse di evasione fiscale. L’inchiesta è stata aperta proprio all’inizio della settimana che conduce al voto del primo turno, e ha fatto sì che tornasse sotto i riflettori un’indagine del Senato francese nella quale si denuncia l’eccessivo ricorso a società di consulenza, perlopiù straniere, da parte dei governi del quinquennato Macron.

Il peso dell’inchiesta McKinsey

Secondo l’indagine i ministeri del governo centrale hanno speso per consulenze di società esterne qualcosa come 893,9 milioni di euro nel 2021, più del doppio della cifra che si spendeva in consulenze esterne nel 2018. Nel paese dell’Ena, la Scuola nazionale superiore di formazione dei funzionari dello Stato vanto della Francia, la cosa suona abbastanza scandalosa. Macron si è giustificato spiegando che la consulenza della Mc Kinsey è stata preziosa per l’organizzazione del piano vaccinale contro il Covid, e che alla società americana è andato solo il 4 per cento dell’importo di tutte le consulenze esterne.

Molti fanno però notare che nel 2017 non pochi alti dirigenti della McKinsey fecero  gratuitamente campagna per Macron, ricorprendo anche ruoli che avrebbero dovuto essere remunerati in base alla normativa francese. Se l’inchiesta non si sgonfierà prima del 24 aprile (data del ballottaggio) Macron potrebbe rischiare l’osso del collo nelle urne.

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