Ma dove vai se l’Europa non ce l’hai

Di Emanuele Boffi
21 Maggio 2019
Molto va cambiato a Bruxelles e Strasburgo, ma non si può pensare di competere con Cina e Stati Uniti senza l’Unione. Parla Salini (Fi)

Articolo tratto dal numero di Tempi di maggio (clicca qui per abbonarti)

Quando il 17 aprile il Parlamento europeo ha approvato le nuove misure per rafforzare la Guardia costiera e di frontiera europea, il deputato Massimiliano Salini era in aula a votare. Sottraendo un giorno alla campagna elettorale, Salini era l’unico italiano presente, mentre i suoi colleghi – di destra e di sinistra, di sopra e di sotto – erano impegnati a pontificare in tv o su Twitter di immigrazione. Quantità non è sinonimo di qualità, e va bene. Ma vorrà pure dire qualcosa se Salini ha una percentuale di presenze in aula del 99,5 per cento e, fatto ancor più rilevante, in commissione (dove la media è del 30 per cento) del 97 per cento. Perché siamo tutti d’accordo che bisogna cambiare l’Europa, ma se poi non ci sei, come fai a cambiarla?

Onorevole Salini, lei si presenta con Forza Italia nella circoscrizione Nord Ovest e, durante un convegno organizzato a Milano dall’associazione Esserci e dal Movimento cristiano lavoratori, l’abbiamo sentita dire che di Europa «c’è bisogno». C’è bisogno anche di cambiarla, non crede? Non le farò il solito esempio sulla burocrazia europea che ci impone la curvatura delle banane, ma concorderà che non tutto funziona dalle parti di Bruxelles e Strasburgo.

È giusto criticare l’Unione Europea, io stesso non mi sottraggo quando Bruxelles si fa prendere dalla smania burocratica e vincolistica. D’altro canto, credo anche che la sfiducia nei confronti delle istituzioni politiche sia generalizzata, da quelle comunali a quelle europee.

Questo è vero. Perché, secondo lei?

Perché il politico oggi tende a rapportarsi con la gente secondo due modalità entrambe deleterie. O come appartenente a un’élite illuminata che conosce cosa è giusto e cosa è sbagliato e decide di imporlo agli altri; o come un Masaniello, che liscia il pelo sempre per il verso giusto, distribuendo prebende e favori.

Va bene, ma quindi?

Quindi il problema è ristabilire un corretto rapporto tra eletto ed elettori e concepire la politica come servizio. Il tutto all’insegna non della tecnocrazia o del populismo, ma della libertà.

Libertà, appunto. Non è esattamente questa che manca oggi in Europa?

Sì, ma l’Europa è anche lo spazio dove si può giocare una partita importante per il nostro paese. In assoluto, l’Europa è il soggetto che maggiormente finanzia le buone idee. Nel prossimo settennato sono stati messi a bilancio 120 miliardi di euro per l’innovazione e la ricerca.

Il punto è, però, come poi sia impiegata questa montagna di denaro.

Esatto, e qui s’arriva alla questione principale. L’Europa dà soldi a chi presenta progetti, a chi è capace di usarli, a chi dimostra di saperli impiegare per fare sviluppo. L’Italia, da questo punto di vista, è divisa in due. Abbiamo un Nord, in particolare la Lombardia, dove si è capaci di progettualità, dove si investe sul talento e la creatività. E poi un Sud al quale negli ultimi due settennati sono stati elargiti 34 miliardi di euro. Sa quanti ne sono stati spesi?

Ho paura ad azzardare una risposta.

Uno.

Ecco, ma perché?

Spiace dirlo e vorrei evitare generalizzazioni, esistono anche esempi virtuosi nel Meridione, ma i numeri sono questi. Il motivo è che spesso nel nostro Sud si finalizza il finanziamento europeo solo all’allargamento della base di consenso. C’è un rapporto rappresentante/rappresentato che è unidirezionale. Io chiedo, tu dai. In questo rapporto non c’è la realtà, non c’è il lavoro, non ci sono le imprese, i corpi intermedi, cioè tutti quegli ambiti che permettono di agire, fare, creare.

E anche proteggere, le direbbe qualcuno.

Certo, altro tema importantissimo: proteggere soprattutto dalla Cina, che è una costante minaccia per noi. Le faccio un esempio concreto: ho lavorato per la ridefinizione delle regole anti dumping. Sono un liberale, sono a favore del libero mercato, ma secondo le regole del libero mercato, non quelle della giungla. Se noi non manteniamo alto il livello di protezione del nostro mercato, nel giro di poco tempo, la Cina lo distruggerebbe e, penso ad un settore come a quello dell’acciaio, addio a tre milioni di posti di lavoro. Ora, per confrontarsi con un gigante economico come il Dragone, non basta un singolo Stato, serve un’entità più grande, più robusta.

L’Europa, appunto.

Le nostre aziende della Brianza, di Crema, di Varese, in generale del Nord Italia, hanno beneficiato di queste regole anti dumping.

Ci sono le aziende e poi ci sono le persone, le famiglie. A questo proposito dall’Europa arrivano solo certe idee molto orientate ideologicamente.

Capisco cosa intende e su questo bisogna mettere l’Europa con le spalle al muro. Ho sempre votato contro tutte le proposte che, secondo una ben precisa idea relativista, portavano avanti progetti di disgregazione del nucleo familiare. Insomma, quell’ideologia che promuove i cosiddetti “nuovi diritti”, diritti sempre slegati dalle responsabilità personali e vincolati a quella che molti definiscono la “dittatura dei desideri”.

Per lei cos’è la famiglia?

È l’unione di un uomo e una donna che sono aperti alla vita. Riconosco l’esistenza di altre forme di rapporto, penso che esse possano essere regolamentate, ma, tanto per essere chiari, sono fortemente contrario a equiparare le unioni omosessuali a quelle eterosessuali. È la natura che determina il diritto, non il contrario.

Lei è stato relatore al Parlamento europeo del nuovo Programma spaziale per il periodo 2021-2027 in cui è stato garantito un finanziamento di 16 miliardi di euro per i programmi Galileo e Copernicus. Un altro finanziamento (120 miliardi) arriverà con il programma Horizon. Che ricadute avrà tutto ciò per l’industria italiana?

Le stime ci dicono che sarà di una settantina di miliardi. Ne potrà beneficiare anche l’industria aerospaziale italiana che, fatto poco noto ma di cui dovremmo essere molto orgogliosi, con le sue grandi e piccole aziende è all’avanguardia in questo settore. L’Italia è capace di costruire satelliti straordinariamente avanzati e sofisticati e il fatto che sia stato io il relatore del provvedimento, me lo lasci dire, è stato importante per il nostro paese.

Perché?

Perché ci ha permesso di ridefinire le regole di partecipazione ai bandi, interrompendo l’oligopolio di due paesi e portando a tre il numero di Stati necessari per presentare il progetto.

Mi lasci indovinare chi erano i due paesi: Francia e Germania?

Al di là di questo, lei capisce che anche in questo campo l’Europa è necessaria. L’Italia da sola non potrebbe mai competere con colossi come gli Stati Uniti, la Russia o la Cina.

Ultima domanda. Perché Forza Italia? Perché il Ppe?

Posto che sia Forza Italia sia il Ppe non sono esenti da errori e devono imparare a fare “autocritica costruttiva”, le do tre ragioni. La prima: molto probabilmente il Ppe sarà ancora il gruppo più numeroso al parlamento europeo e dunque è lì che bisogna stare per incidere. La seconda: i gruppi nazionalisti saranno, per loro stessa natura, l’un contro l’altro armati. Pensi solo alla “questione immigrati”: Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, come potranno venirci incontro, rispondere alle nostre esigenze? È ovvio che un partito nazionalista pensi, innanzitutto, a proteggere se stesso e dunque sarà sempre ostile alla realizzazione di azioni comuni in politica estera, economica e di difesa. La terza: ho visto al lavoro i gruppi progressisti, sono schizofrenici. Sono pro austerità e contro l’austerità, votano tutto e il suo contrario. Hanno letteralmente perso il contatto con la realtà.

Ergo rimane solo una scelta.

L’unico voto utile è a Fi e al Ppe.

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