L’Unione Frankenstein (anatomia dell’improbabile creatura)

Di Alessandro Giuli
16 Marzo 2006
CUCITO COL FILO INVISIBILE DEL PRODISMO, SOTTOPOSTO ALL'ASPORTAZIONE DEL CUORE DIESSINO, IL CORPO DEL CENTRO-SINISTRA PRESENTA RIGETTI RUTELLIANI DOPO L'IMPIANTO DELLA CELLULA RADICALE. PEZZO PER PEZZO, PARTITO PER PARTITO, ECCO IL "MOSTRO" ANTIBERLUSCONIANO

Prima di rassegnarsi a subire l’organigramma di potere che verrà, se verrà, insieme con la variopinta coalizione prodiana candidata a governare, è necessario fare quattro passi nella cartina geografica dell’ideologia che ribolle dell’Unione. Come seguendo una mappa chiaroscura dei centri da cui promana la gerarchia di valori o disvalori che volteggiano sulla testa dei leader di centro-sinistra. Bisogna fare uno sforzo minimo di ricognizione, chiamare le cose con il loro nome, fissare il pieno e il vuoto.

La polizza di Romano Prodi
Le 281 pagine di programma unioniste non devono depistare. Si tratta di una grassa spremitura di proposte provenienti da qua e là, spesso contraddittorie, verbose e generiche. Il nome di Bush non vi compare mai, come la parola Israele, gli Stati Uniti si affacciano due volte soltanto, in una cornice in cui di solido c’è l’europeismo estenuato dell’ex Europresidente e una critica ambigua all’unilateralismo americano. Quanto al resto, una glassa che cola in direzione di promesse sfuggenti tipicamente elettorali. Manca un impegno preciso per garantire il proseguimento dei lavori per l’alta velocità (la Tav), e non si parla né di riduzione del cuneo fiscale per le imprese né si calcola la vagheggiata tassazione delle rendite immobiliari. Ma non è questo il punto. Pensare a Prodi vuol dire ricordarsi che questa volta, a differenza del 1996, il professore bolognese si presenta agli elettori senza contare sul rapporto binario Ulivo più Rifondazione comunista. Questa volta, a prescindere dalla legge elettorale proporzionale, lo schema prediletto è quello di un patto personale di governo con il segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti. Di questo accordo privilegiato i Ds sono garanti deboli (azzoppati dal ricatto dell’establishment sull’affare Unipol-Bnl), e la Margherita di Francesco Rutelli è il guardiano severo, il volto della tecnocrazia post-democristiana (tendenza famiglia Agnelli) che all’inizio degli anni 80 piazzò in un colpo solo Ciriaco De Mita alla guida della Balena bianca e il solito Prodi al vertice dell’Iri. Basta non dimenticare che il prof non è un ostaggio dei partiti più di quanto sia complice di uno slittamento a sinistra degli equilibri nell’Unione. La sua massa critica sono i Ds, i suoi piantoni sono Rifondazione e la Cgil, la sua polizza assicurativa è nell’obbedienza alla filiera laico-apolide che unisce Bankitalia-Corriere della Sera-Quirinale.
Bifronte.

La perforabilità dei Ds
Il partito guidato da Fassino e D’Alema potrà garantirsi pure un discreto bottino elettorale (non è scontato), ma il prezzo da pagare è alto. I Ds restano la massa critica della coalizione, nel senso che si avvicinano allo spettro del partito democratico potendo contare sul radicamento nel territorio, sulle sezioni, sui collegamenti con le cooperative e su una residua benevolenza del così detto paesaggio intellettuale. La loro dote è questa e si accompagna a una certa rassegnazione con la quale militanti ed elettori diessini accolgono le oscillazioni dei vertici. Dal punto di vista ideologico, la Quercia esprime una schizofrenia insapore: si aggrappa al cuore identitario del socialismo europeo con D’Alema e Caldarola, ma intanto scarta verso il modello democrat con Veltroni e i suoi; pencola attorno a un laicismo riformato dalla sconfitta referendaria, con Livia Turco e Piero Fassino (ricordate il coming out sul suo essere credente?); e nel frattempo promette di abolire la legge 40 per bocca di D’Alema e di quel che resta del correntone. Quanto alle politiche economiche, come nel caso di Prodi, promettono più Stato o più mercato a seconda dell’interlocutore che li interpella.
Sopra tutto i Ds si fanno notare perché perdono pezzi, come conseguenza della loro sopraggiunta perforabilità culturale: quando tutte le mucche sono tutte grigie e tremebonde, ci si fa notare cambiando pascolo. E i prati migliori sono quelli che verdeggiano di nuove idee. Così è nel recinto della Rosa nel Pugno e della Margherita, che infilano da sinistra e da destra la Quercia, sottraendole personale politico e luccichio mediatico.
Ammaccati.

L’armata social-radicale</b<
Al Rasputin dei nostri tempi, Marco Pannella, è riuscito un piccolo capolavoro di strategia. Consegnatosi nelle mani del centro-sinistra per ragioni di sopravvivenza (la Cdl lo aveva respinto un anno fa, con il mancato accordo politico per le regionali), il leader dei radicali ha fatto breccia nella compagine dei Socialisti italiani, ne ha vampirizzato il mite segretario Enrico Boselli trasformandolo in un campione di anticlericalismo forsennato, laicismo stregonesco, avventurismo sessuale. Avrete notato che Pannella appare il meno possibile, delega un poco Emma Bonino e trattiene l’antipatico Daniele Capezzone. La gran parte del lavoro è demandata a Boselli, dagli scontenti in arrivo dai Ds, dai piccoli intellettuali confluiti dentro la Rosa nel Pugno perché fa perfino chic appartenervi. Conta più di ogni altra riflessione il fatto che in questo partito l’elettore individua temi chiari e distinti. Le principali linee di frattura culturali contemporanee (opposizione tra difesa della vita e tecnoscientismo militante; divaricazione tra teo-conservatorismo e intolleranza anticoncordataria nei confronti della Chiesa di Benedetto XVI; la tutela della famiglia contro l’apertura ai matrimoni omosessuali) passano per la Rosa nel Pugno. I radicali rinunciano al ruolo di liberisti rotondi e americani doc, ci guadagneranno in seggi e in centralità. Sono loro l’avanguardia culturale dell’Unione, come poteva esserlo cinquant’anni fa il Partito d’Azione rispetto all’erigendo centro-sinistra. E con il vantaggio di rappresentare in modo puro e originale la voluttà di scendere che anima l’occidente in crisi.
Immor(t)ali.

laboratorio eugenetico Margherita
Per inquadrare il partito di Rutelli bastano poche righe. Non confondeteli banalmente con un gruppo d’ispirazione cattolica insediato temporaneamente a sinistra (come prova a dimostrare Franco Marini). La Margherita è il frutto di una manipolazione genetica che piega il democristianesimo verso il fronte laico e tecnocratico. Per capire: se Agnelli e Cuccia fossero vivi, voterebbero Dl, perché è il bozzolo del partito democratico che piace ai direttori che piacciono (Paolo Mieli, Ferruccio De Bortoli, Giulio Anselmi). Dalla Margherita ci si può aspettare un antiscientismo temperato, un atlantismo temperato, un riformismo temperato (ma salveranno al massimo la legge Biagi), una temperata voluttà neocentrista (tendenza Mario Monti). Che non vuol dire grandi coalizioni o governi istituzionali. Significa che i dielle, in caso di necessità, saranno pronti a consegnare il paese nelle mani di qualche riserva della Repubblica (Giuliano Amato?).
Frankenstein. – Nota bene: l’Udeur di Clemente Mastella non è dissimile dalla Margherita, fatto salvo un tocco di simpatica imprevedibilità.

I Comunisti bruciano le bandiere
Quello guidato da Oliviero Diliberto e Marco Rizzo è un partito in piena e sottile metamorfosi. Nato da una scissione filoprodiana all’epoca in cui Rifondazione decapitò l’esperimento di governo del prof bolognese, il Pdci (Partito dei comunisti italiani) rappresenta quanto di più vicino alla tradizione stalinista del Pci. Il fatto che Diliberto e Rizzo abbiano defenestrato Armando Cossutta non deve trarre in inganno. Cossutta rappresentava soltanto il volto incravattato e desueto di una pratica politica che non scompare con lui. Semmai si aggiunge adesso agli “allori” dilibertiani l’ammiccamento verso le frange più strutturate dei centri sociali, quelli collaterali alle bande di bruciatori di bandiere americane e israeliane. Il Pdci vuole i Pacs, ma punta più fortemente alla resurrezione dell’operaismo duro, della scala mobile e del conflitto caldo di classe. Quando Diliberto dice che le mani dell’America grondano sangue (qualunque cosa si pensi dell’Amministrazione Bush), sta rincorrendo a sinistra Rifondazione, la sta scavalcando nella lotta contro le libertà di mercato e la sopravvivenza della proprietà privata. L’obiettivo interno dei comunisti italiani è quello di costringere Bertinotti a riunirsi a loro in un fronte delle sinistre altermondiste e antioccidentali. Fanno coppia con i Verdi per combattere le grandi opere pubbliche e la riconversione energetica al nucleare. Non sconfessano la non-violenza, utilizzano il lessico del classico antifascismo strumentale e la reductio ad hitlerum: se sei contro di me, sei un mostro.
Trinariciuti.

L’equivoco Bertinotti
Come Pannella, il segretario di Rifondazione si distingue dagli altri per intelligenza e dissimulazione. Ha trasformato un partito polveroso nel mellifluo contenitore di un comunismo à la page, morbido nei toni, governativo per tattica e rivoluzionario nell’ombra. Rifondazione ha abbandonato il verticismo del Pci per sposare la causa orizzontale dei così detti movimenti, la “moltitudine” eversiva di cui parla l’ascoltatissimo (dentro Rc) Toni Negri. Dietro la maschera di realismo bertinottiana, sonnecchia un volto sempre identico a se stesso. Per farsene un’idea bisogna leggere il “Manifesto in difesa delle civiltà” che campeggia sul quotidiano Liberazione, e che si candida a essere la tavola delle leggi opposta al movimento filo-occidentale di Marcello Pera (perloccidente.it). Preceduti da generici riferimenti all’eguaglianza, alla libertà e alla fraternità (mai disgiunta dalla “sorellanza”), i temi caldi arrivano nel capitolo intitolato “I diritti di nuova cittadinanza”. Eccone un assaggio: «La cultura, l’informazione, la sanità, i trasporti di base, la casa, per acquisire davvero statuto universale non possono che essere sottratti al dominio delle merci e del Privato». Traduzione: vogliamo collettivizzare tutto, per noi la proprietà è un furto. E ancora: «Lo Stato non deve finanziare la libera istruzione privata». Chissà Rutelli cosa ne pensa. Non bastasse questo, in caso di vittoria alle elezioni di aprile, Rifondazione porterà al governo una nutrita rappresentanza della fortissima minoranza interna trotzkista. Sono quelli per i quali la semplice esistenza di Israele è più o meno una provocazione da eliminare. Non assomiglia molto all’endorsement critico promesso dai piani alti dell’Unione. Romano Prodi non può fare a meno di loro.
Mefistofelici.

Conclusione
Non è vero che il collante dell’Unione si esaurisce nell’antiberlusconismo. L’odio verso il premier è un tratto fondante, indispensabile ma non sufficiente. L’essenza politica del centro-sinistra si sta raggrumando intorno a due visioni della realtà contraddittorie ma conniventi: la tentazione oligarchica e antinazionale delle élite finanziarie trascurate dal centro-destra; l’altermondismo come forma aggiornata e presentabile della scuola comunista. Prodi, vecchio uomo d’apparato Iri paracadutato nella politica, appartiene al prima metà della mela cotta. La seconda metà è raffigurata dall’indispensabile Bertinotti. Il torsolo amaro lo manderanno giù i diessini, pur di tornare al governo. Lo chef della compagnia, quello che scalda le anime al fuoco lento del laicismo militante, è l’ineffabile Pannella. Il più furbo di tutti.

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