
L’ultimo colpo di scena sul caso Schwazer

Per evidenti motivi di opportunità, non possono parlare del caso che li riguarda, ma per bocca del giornalista Nando Sanvito, invitano ad attendere ciò che accadrà a breve, quando la Procura di Bolzano si pronuncerà a metà settembre.
Meeting di Rimini, l’allenatore Sandro Donati e il marciatore Alex Schwazer fanno incetta di applausi raccontando la loro storia e di come tra di loro sia nato un rapporto che va al di là dell’aspetto professionale e che le note vicissitudini giudiziarie non ha fatto altro che cementare.
Stimolati da Sanvito, giornalista che non ha mai smesso di seguire il “caso Schwazer”, allenatore e atleta hanno ripercorso quanto loro accaduto in questi anni. Per entrambi, come ha raccontato Donati, rimettersi in gioco, e assieme, è stata una sfida. E sebbene, al momento, la loro storia, almeno quella pubblica, appare come una sconfitta (Schwazer è stato squalificato per otto anni con l’accusa di aver fatto uso di doping prima delle Olimpiadi di Rio), l’ultima parola non è ancora stata scritta. La scriverà, si spera per amore di verità, la Procura di Bolzano che, come si diceva, è stata chiamata a pronunciarsi sull’effettiva colpevolezza del campione italiano (e sulla cui innocenza Tempi non ha mai avuto dubbi, come scrivemmo a suo tempo).
L’incontro del Meeting ha voluto soprattutto documentare il rapporto, per certi versi inusuale e straordinario, tra i due. Donati è l’uomo che per primo e con maggior tenacia ha sempre denunciato le grandi truffe (caso Evangelisti su tutti) dell’atletica italiana. Le sue battaglie contro il doping sono note e gli hanno sempre attirato l’antipatia e l’aperto boicottaggio dell’ambiente (“io – ha detto Donati – non sono mai stato perdonato. Io sono considerato un traditore da quelle istituzioni corrotte che governano questo ambiente delinquenziale”). Schwazer è il campione che dopo l’oro olimpico a Pechino cade, assume epo, si presenta in conferenza stampa, piange, e poi si rialza. Ha il coraggio di ricominciare e di rivolgersi al suo accusatore, Donati, “perché l’unica possibilità seria per riprovarci era farlo in maniera assolutamente pulita e corretta”.
Per questo Schwazer andò da lui: non voleva fare sconti a nessuno, innanzitutto a se stesso. “Fui sorpreso dalla richiesta – ha detto Donati – ma mi convinse perché era disposto ad accettare tutte le mie condizioni (controlli a sorpresa, i miei metodi di allenamento) e a mettersi in gioco totalmente. Anche quando gli ho chiesto di presentarsi davanti alla magistratura per denunciare due medici per vicende di doping, lo fece. E, attenzione alle date: denunciò i due medici, poi inquisiti per favoreggiamento, di cui uno faceva parte della Iaaf, il 16 dicembre 2015, e un’ora dopo partì l’ordine di un controllo antidoping su di lui 15 giorni dopo”. Quel controllo che portò alla squalifica di otto anni.
Dopo i fattacci di Rio, il rapporto tra Schwazer e Donati non si è interrotto, e questa non è cosa scontata. “Alex è un atleta straordinario e la sua positività è stata creata”, ha detto Donati. “Non l’ho mai abbandonato e non l’abbandonerò mai. Devo dire che la sua innocenza è sempre stata capita in Italia soprattutto dagli ambienti cattolici, forse perché hanno l’idea che l’uomo può cambiare, cadere e rialzarsi e che il suo errore non è la parola ultima sulla vita. Anche il mondo sportivo dovrebbe essere così e invece è il contrario. Fanno dell’atleta dopato il simbolo della loro intransigenza, ma solo per autoassolversi”.
Oggi Schwazer allena un gruppo di amatori, spera che gli sia restituito l’onore e continua a frequentare Donati. “Mi ha allenato gratuitamente, non mi ha mai mollato. Il nostro rapporto non è finito a Rio e non finirà mai”.
Foto Ansa
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