
Luigino sapeva pesare il tempo con la misura di Cristo

Pubblichiamo la testimonianza pronunciata da don Roberto Colombo ieri, martedì 19 ottobre, al termine del Rosario in morte di Luigi Amicone, nella chiesa di Santa Gemma a Monza.
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Prima di congedarci con il canto vorrei solo testimoniare, raccontare dell’ultimo mio breve dialogo con Luigino, ieri sera, poche ore prima che il Signore lo chiamasse a sé. Dopo aver partecipato alla Messa ed aver ricevuto la Comunione, l’ho accompagnato, come al solito, verso l’uscita dal cancello di via Lissoni per godere di qualche minuto della nostra amicizia, che data diversi decenni. È stato un momento più fugace del solito, non solo perché doveva tornare a casa per accogliere un amico a cena. Lo è stato come se avesse la percezione che il tempo ormai si faceva breve.
Per Luigi il tempo non era solo lo scorrere delle ore e dei giorni, ma il luogo abitato da quella Presenza che aveva investito la sua vita, quel “fatto”, quell’Avvenimento che aveva investito la sua vita negli anni Settanta attraverso il carisma di don Giussani, e lo ha reso irriducibilmente ma serenamente inquieto tutta la vita. Luigino sapeva pesare il tempo con la misura di Cristo e penso che per questa sua concezione di tutto avesse chiamato “Tempi” il periodico che ha fondato.
Nei nostri dialoghi dopo Messa si parlava di tutto, perché a Luigi interessava tutto della vita, della sua, della mia, di quella della sua famiglia, dei suoi amici, della Chiesa, della società, della politica. Ieri sera abbiamo parlato di Clara e del suo imminente matrimonio, di Teresa che secondo lui stava maturando questo passo, di Annalena e di un’opera editoriale per i bambini a cui stava lavorando. Ma anche della situazione politica dopo le elezioni amministrative e di quella della Chiesa, che gli stava a cuore, come un figlio pensa alla salute precaria di sua madre. Per Luigino, anche quando faceva scelte che non condivideva, la Chiesa era sempre madre.
Dopo aver fatto cenno a due miei recenti articoli (ci scambiavamo sempre via WhatsApp i nostri pezzi man mano che uscivano) si è fermato a guardare il giardino di Santa Gemma, prima di imboccare il cancello e mi ha detto: «Bello questo giardino: ma come ti è venuto in mente di farlo?». Luigi era così. Sapeva stupirsi e stupire chi gli stava accanto come un bambino di fronte alla realtà che scopre con i suoi occhi. Perché per lui «la realtà è Cristo» (Col 2, 17) che gli veniva incontro.
Coltivava l’amicizia come una virtù, una virtù concreta, tenace come la forza con cui si tiene a ciò che ultimamente ci aiuta a restare attaccati a Cristo e che il tempo non consuma. Il rivedersi con Luigi anche dopo molto tempo era come se l’ultima volta fosse stata il giorno prima. Con lui era un continuo venire provocati da quelle sue frasi seriamente ironiche che svelavano una concezione sempre positiva, ultimamente positiva di tutto. Una passione per l’infinito dentro al particolare, per cui nessuna sconfitta era per lui una sconfitta, ma una occasione per ripartire dal principio, dall’inizio che è Cristo. E nessuna vittoria era una vittoria sua, ma l’opera di un Altro.
Ora, Luigi, tu vedi tutto, vedi quello che noi ancora non vediamo, vedi quello che hai cercato per tutta la vita. Ti sei nutrito di Cristo nell’Eucaristia poche ore prima di incontrarlo faccia a faccia (cf. Gb 19, 26-27). Adesso guida e proteggi Annalena, Francesco, Lucilla, Gloria, Clara, Teresa e Giovanni, e tutti noi.
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