
Luigi Rocchi è venerabile. Storia del “santo in carrozzella”: «La fortuna è cieca, ma la gioia ci vede benissimo»

Da giovedì, Luigi Rocchi, noto come il “Santo in carrozzella”, è tra i venerabili della Chiesa cattolica. Papa Francesco ha firmato il decreto con cui ne ha riconosciuto le «virtù eroiche», inserendolo, insieme ad Adolfo Barberis, sacerdote torinese, e a suor Maria Maddalena di Gesù Sacramentato, tra i cristiani italiani che hanno vissuto pienamente la propria fede.
Rocchi, nato a Roma il 19 febbraio del 1932, è stato un laico che, spiega Avvenire, «ha vissuto alla luce della fede la terribile malattia che lo portò alla completa immobilità: la distrofia muscolare progressiva, o morbo di Duchenne», che per 28 anni lo costrinse prima in carrozzella e poi nel suo letto, prigioniero del suo stesso corpo, «un guscio coriaceo che mi immobilizza completamente». Morì a Macerata il 26 marzo del 1979.
«NON SI TRATTA DI SOFFRIRE VOLENTIERI». I primi sintomi si mostrarono da bambino, con la difficoltà a camminare, poi la malattia peggiorò e, dopo un iniziale periodo di ribellione, Rocchi trovò nella fede le forze per reagire diventando consigliere spirituale di molte persone, sane e ammalate.
«Non so perché il buon Dio mi tenga qui, perché mi abbia fatto percorrere tanta strada di dolore», scriveva nel 1976. «Signore mio, quanto ho sofferto e quanto soffro. Ma come si può dire al Signore: “Che fai? Perché?”. Mi abbandono a Lui e sento solo vergogna di amarlo così poco». E ancora: non si tratta di «soffrire volentieri, piuttosto di decidere volentieri di far fruttare anche la sofferenza». «Voglio imitare Gesù, che non ha amato la croce, ma ha amato noi a costo della croce».
«TEMPI BESTIALI QUANDO MANCA LA FEDE». Di Rocchi si conservano delle lettere, molte delle quali scritte dalla sua residenza di Tolentino ad amici e conoscenti quando, negli ultimi anni, la malattia lo costrinse all’immobilità del letto e le sue mani non erano «buone neppure più a scacciare una mosca dal naso».
Sono state scritte grazie a un ingegnoso sistema: un bastoncino legato alla bocca per pigiare i tasti della macchina da scrivere. Eppure i limiti non gli hanno impedito affatto di godere della vita. «La sofferenza mi ha fatto capire che è dolce essere amati, ma essere capaci di amare significa possedere la capacità di restare vivi e non apparire vivi». La «vera sofferenza», invece, secondo Rocchi, «la terribile sofferenza, quella che veramente mi fa orrore è non essere più capaci di amore».
«Sono tempi bestiali», scriveva nel ’75, perché, «quando si estromette Dio, si spalanca la porta alla bestia. Un sapiente poeta ha detto che il sonno della ragione produce mostri. Non è solo il sonno della ragione, ma soprattutto la mancanza di fede che genera dolore e lacrime». Tempi in cui «spesso si trovano persone che amano le bestie ma non gli uomini. Io amo molto le bestie ma gli uomini li amo molto di più… non si può amare Cristo se non si ama pure quello che Lui ama. Se no, l’amore non significa nulla».
QUELLA REALTÀ SCONVOLGENTE. Rocchi era molto colpito dalla natura e le persone: una «giornata di sole», la «cartolina inviata da un parente», «una mano di madre che tende un mandorlo fiorito», «una spruzzata di colori fuori stagione» o «i nipotini che ascoltano con attenzione le piccole storie che racconto loro» lo commuovevano sempre. E anche i passerotti: «In questi giorni di neve – scriveva poco prima di morire – ho tenuto sempre imbandito il mio davanzale di molliche di pane e di semi si miglio. Sarà perché un passero mi ci sento pure io, un passero… imbalsamato dietro la finestra».
Ma ciò non gli impediva affatto di gustare le cose: «La mia vita è fatta di piccole cose, piccoli avvenimenti ma tutti rivelano quella Realtà sconvolgente che è Dio. Non ho bisogno di tanti ragionamenti per convincermi che Lui esiste: mi basta un filo d’erba». E ancora: «Dio è davvero buono con me, perché non passa giorno che il mio animo non abbia un guizzo di esultanza per qualcosa. A volte non credo di meritare tutto questo. E mi chiedo: perché il Signore mi mostra tanta attenzione, io che sono così somaro e che spesso quando prego con il Rosario mi addormento?».
Nemmeno mancava l’ironia al “Santo in carrozzella”, convinto che: «La fortuna può essere cieca, ma la gioia di certo lei vede bene i semplici, i poveri, soprattutto i poveri e ammalati come me; quelli che si preoccupano di vivere giorno per giorno e di fare del bene». Ed era per questo che Rocchi sottolineava l’importanza della «pazienza, di offrire e confidare nel Signore». Certo che «quando si risorgerà, la prima cosa che vorrò fare sarà una bella corsa. Non ho mai corso in vita mia e mi piacerebbe farlo».
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2 commenti
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Che bella testimonianza!!
“non si tratta di soffrire volentieri, piuttosto di decidere volentieri di far fruttare anche la sofferenza”.
un grand’uomo, chissà quanto ci mettono a farlo santo.