L’opzione che manca al dilemma di Alain Cocq, tra eutanasia e morte di stenti

Di Caterina Giojelli
17 Settembre 2020
Ora che il malato francese ha rinunciato a immolarsi in diretta per il diritto alla buona morte nessuno parla di lui.

E Alain Cocq? Ora che non ci regalerà il brivido di un suicidio in diretta, né si lascerà crepare di fame e di sete immolandosi sull’altare della morte di Stato, ora che non segue più i social ma i consigli dei medici dell’ospedale di Digione che gli hanno ordinato “il riposo più completo”, ora che insomma non è più un santino ma solo un uomo affetto da una rarissima malattia incurabile, il 57enne francese non fa più notizia.

Ma come, non ci eravamo rivoltati contro Facebook quando la piattaforma, a settembre, gli aveva negato l’eutanasia in streaming (“le nostre regole non consentono la rappresentazione di tentativi di suicidio”), e prima contro il presidente Macron che gli aveva negato quella farmacologica (l’uomo “non è al di sopra della legge”), e prima ancora contro la norma Claes-Léonetti che dal 2016 autorizza “una sedazione profonda e continua fino alla morte” ma solo per persone con prognosi “a breve termine”, cioè non per Cocq?

LA MORTE MILITANTE

Alain Cocq voleva “mostrare che in Francia non si può morire con dignità”. La sua storia è diventata patrimonio collettivo a settembre, quando Facebook ha mandato all’aria il suo progetto di lasciarsi morire di stenti e in diretta: sostenuto in particolare da Jean-Luc Romero, presidente dell’Association pour le droit de mourir dans la dignité (Admd) Cocq aveva deciso di fare della sua morte un atto di militanza pro-eutanasia. In mondovisione: “O il governo autorizza un medico a darmi un barbiturico forte per farla finita tutto in una volta. O interrompo tutti i trattamenti, nutrizione e idratazione fino alla fine”. Il governo, nella persona di Macron a cui il francese aveva rivolto l’ultimo di una serie di appelli il 20 luglio scorso, aveva mestamente risposto picche: “Poiché non sono al di sopra della legge, non sono in grado di soddisfare la sua richiesta”, “Non posso chiedere a nessuno di andare oltre il nostro attuale quadro giuridico”, “Il suo desiderio è richiedere un’assistenza attiva per morire, che non è attualmente consentita nel nostro Paese”.

L’ULTIMO PASTO

Il francese è infatti affetto dall’età di 23 anni da una malattia rara che si manifesta con aderenze sulle pareti delle arterie e provoca ischemie, ma il suo decorso è del tutto imprevedibile. Sappiamo la sua malattia è da allora diventata per Cocq una ragione di battaglia per i diritti dei disabili, che lo ha portato negli anni Novanta a intraprendere un tour de France in carrozzella fino alla Corte di Strasburgo nonché a prendere parte, lo scorso anno e in in brandina ambulatoriale, alle manifestazioni dei gilet gialli. Sappiamo che la sua battaglia, specie negli ultimi quattro anni quando la malattia è peggiorata costringendolo a letto con un sondino nasogastrico, è stata sostenuta da varie associazioni pro-eutanasia, sopratutto l’Admd, e che dopo l’accorato diniego di Macron, il francese ha deciso di fare “buon uso” della sbandierata legge rifiutando acqua, cibo, rianimazioni e di fare il tutto in diretta Facebook: «La strada per la liberazione inizia, e credetemi, sono felice», scrive il 5 settembre su Facebook, annunciando di aver «finito il suo ultimo pasto». «So che i prossimi giorni saranno difficili, ma ho preso la mia decisione e sono calmo».

FARE DI UN UOMO UN ELETTROSHOCK

Aveva calcolato quattro o cinque giorni per morire, e deciso che la sua agonia doveva servire a cambiare la legge. Provocare un “elettroshock”, faceva eco Sophie Medjeberg, vicepresidente dell’attivissima associazione Handi mais pas que, diventata la portavoce di Cocq, che spinga all’approvazione di una legge sul suicidio assistito sul modello del Belgio e della Svizzera. Per questo Cocq non ha è andato a farla finita all’estero, “non gli resta solo che la testimonianza del dramma che sta vivendo” ha sancito il cacciatore di santini Marco Cappato. Poi il colpo di scena. Che non è la decisione di Facebook di bloccare la pagina di Cocq e la macabra diretta di un suIcidio in corso. Ma quella di Cocq stesso: “Non ho più la forza di combattere” ha detto all’Afp cinque giorni dopo aver smesso di bere e mangiare accettando finalmente le cure palliative. È stato trasportato all’ospedale di Digione, ha mangiato e a breve potrà tornare a casa seguito da un team di medici. Ci ha provato Medjeberg a sostenere si trattasse di un ricovero coatto. Eppure è lo stesso Cocq a smentirla, “Mi dispiace ma ho bisogno di serenità per andarmene, in pace, senza soffrire”. Ora posta qualcosa ogni tanto, per ricordare soprattutto ai suoi seguaci che come gli hanno detto i medici “devo riposare”, mica postare. In breve, niente oscar tanto atteso dell’eutanasia, niente diretta, niente spallata alla legge. Silenzio sui media.

CURE PALLIATIVE, ANCELLE DELL’EUTANASIA

Resta, nel caos sollevato dai media sul diritto all’eutanasia e la condanna di Facebook per ingiusta discriminazione e per aver negato la libertà di espressione di Cocq, la perdita, come sempre, del cuore di una questione clinica prima che emotiva. È proprio in virtù della legge che Alain Cocq ha potuto rivendicare la cessazione di nutrizione e idratazione artificiali, considerate alla stregua di trattamenti sanitari. Ed è grazie all’interruzione di tali trattamenti che la sua prognosi vitale sarebbe diventata “a breve termine” consentendogli così di beneficiare legalmente della sedazione fino alla morte. Non si tratta quindi, come da distorsione dei media, di discutere il diritto ad ottenere o meno una sedazione profonda ma il contesto: come scrive l’Institut Européen de Bioéthique, “la sedazione non dovrebbe mai essere usata per mascherare la sofferenza di una persona che sta morendo di sete e fame”.

Il problema etico è a monte: sta ancora una volta nella qualificazione di nutrizione e idratazione come semplici “trattamenti” suscettibili di essere interrotti non appena il paziente li ritenga “sproporzionati”. Questa interruzione – che già avviene in fin di vita – effettuata quando la malattia non è a uno stadio terminale e il paziente è dotato di forza fisica, porterà inevitabilmente a sofferenze insopportabili legate alla disidratazione e alla denutrizione. Il paziente muore di fame e di sete, la “spirale di autonomia” innescata dalla legge Claes-Léonetti non può che portare naturalmente alla legalizzazione dell’eutanasia. “Ma questa logica non offusca la funzione delle cure palliative, in questo caso associate forzatamente all’eutanasia per omissione di cure?”. Ancora, quale sarà l’impatto del caso Cocq caso su altri pazienti “incurabili” ma non terminali nel momento in cui la società si troverà davanti al solo dilemma: eutanasia o morte per fame? “Le cure palliative offrono invece una terza via: quella dell’accompagnamento psicologico e spirituale del paziente – non solo durante il fine vita – e il sollievo dal dolore fisico, per permettere alla vita – anche sofferente – di conservare un senso”. Davvero è questo che vogliamo, ridurre le cure palliative ad ancelle al diritto di trasformare la fine della propria vita in giurisprudenza e in un pretesto civile per la morte indotta?

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