
Londra caput mundi
Conversazione di Richard Newbury con Eamon Duffy Eamon Duffy è il più eminente storico cattolico del Regno Unito. E’ nato nella Repubblica d’Irlanda nel 1947 ed è professore di Storia della Chiesa all’Università di Cambridge. La sua interpretazione revisionista pubblicata nel 1992 nel suo “La spogliazione degli altari” secondo la quale nell’Inghilterra degli inizi del XVI secolo esisteva una fiorente chiesa cattolica e la rottura con Roma è stata un’imposizione della monarchia piuttosto che il risultato di una corrente d’opinione o dell’anticlericalismo è oggi pienamente riconosciuta e accettata. E’ un memebro influente del laicato cattolico. E’ sposato e ha tre figli, uno dei quali vive in Italia. Nel 1997 ha pubblicato “Santi e peccatori. Una storia dei Papi”, di prossima uscita nelle librerie italiane nell’edizione Mondadori col titolo “La Grande Storia dei Papi”.
Il politico Hugo Young, editore del Guardian nonché autore de “L’isola munita di scettro” sulle relazioni britanniche con l’Ue, è stato educato dai monaci ad Ambleforth. La sua esperienza di studente in una delle più prestigiose scuole cattoliche durante gli anni ’60 è stata quella di essere spinto a sentirsi simile a uno straniero con il compito di riconvertire una terra peccatrice. Ti senti nella stessa disposizione?
No. Credo che l’Inghilterra si sia de-cristianizzata nel periodo in cui ci ho vissuto. Ho vissuto qui per 40 anni, ma quando sono arrivato ero già un individuo formato e il paese era ancora una nazione a forte identità cristiano protestante. C’era la Domenica Protestante. I media rispettavano le maggiori festività cristiane. Esisteva una retorica che si mostrava deferente, almeno a parole, ai principali valori morali cristiani. Ma credo che tutto questo non esista assolutamente più. Oggi, se a Pasqua riesci ancora a trovare un programma religioso in tv, è probabilmente la storia di qualcuno che ha scoperto le ossa di Cristo a Gerusalemme, come effettivamente è successo circa 3 anni fa. Credo che ci sia stata una rapida scomparsa di ogni ethos cristiano. 30 o 40 anni fa, probabilmente, i cattolici si sentivano investiti del compito di convertire un paese protestante. Oggi che l’Inghilterra è pagana, penso che l’idea di riportare il paese al cattolicesimo abbia segnato il passo al programma assai più timido e modesto di tentare di stabilire alcuni valori condivisi dalla società. E sono convinto che la Chiesa cattolica abbia fatto male a risolvere così il problema. La Chiesa si concepisce ancora al servizio del suo popolo piuttosto che ricca di qualcosa da dire a una cultura che non conosce niente di Cristo.
Effettivamente questo era proprio l’argomento della predica alla mia parrocchia domenica scorsa. Il dibattito sulle cause e sulla conduzione della Riforma inglese ai tempi di Enrico VIII e della Regolamentazione elisabettiana è considerata generalmente verticistica o voluta dal basso. Quanto è stata imposta e quanto invece si è trattato di una risposta del governo ad un desiderio di riforma che veniva dal basso?
La gente ha sempre pensato alla Riforma inglese come al periodo chiave per l’ascesa della Gran Bretagna. Ha sempre visto quella medievale come un’ideologia esausta e ormai essenzialmente estranea che aveva perso la sua presa sull’immaginazione. Così il movimento dei Lollardi (gli eretici seguaci di John Wycliffe, l’ispiratore inglese di Jan Hus) era il segno che i semplici laici volevano la Bibbia. Non volevano i preti. E la Riforma significava l’abbandono di quanto avanzava con passo sempre più pesante verso la morte e l’abbraccio di qualcosa di molto più aperto e congeniale agli inglesi. Insomma, una sorta di resoconto protestante e liberal di cosa doveva essere inglese. Oggi molte cose sono cambiate. Una è che, esaminando più a fondo i documenti, gli storici riconoscono ormai universalmente che non c’è stato un anticlericalismo diffuso nel periodo della Riforma inglese. L’anticlericalismo è una conseguenza della Riforma piuttosto che una delle sue cause. Sebbene il movimento monastico inglese si trovasse a quell’epoca in un momento di stagnazione, non era ignobilmente corrotto. I monasteri erano qualcosa di simile ai college del XIX secolo: raffinati, non facevano esattamente quello che dovevano fare, ma erano posti piuttosto civili.
C’è stato inoltre un incredibile interesse per la storia locale e si è scoperto che quasi ogni chiesa inglese era stata ricostruita nei secoli XV e XVI. Con una larga immissione di denaro laico. Ne è risultata così un’immagine accademica piuttosto diversa da quella convenzionale: quella di una istituzione che in certi aspetti – come il movimento monastico – andava esaurendosi, in altri era in assoluta espansione. C’era un enorme entusiasmo dei laici per l’impiego del proprio denaro a favore di un cattolicesimo vecchia maniera e questo fa assumere alla Riforma un volto nuovo. L’immagine che io e altri storici, in linea generale identificabili come revisionisti, possiamo offrire dell’establishment culturale, accademico ed ecclesiastico dell’Inghilterra del 1520 è solidamente antiluterana. Lo stesso Enrico VIII aveva scritto un libro piuttosto importante contro gli attacchi di Lutero, difendendo i 7 Sacramenti, per il quale gli era stato riconosciuto dal Papa il titolo di “Difensore della Fede”. Fu lui a mobilitare il mondo universitario contro Lutero e l’Inghilterra fu il primo paese a produrre una risposta totale ai protestanti. Le cose cambiarono alla fine degli anni Venti quando Enrico, che aveva problemi coniugali e desiderava ottenere un annullamento del suo matrimonio senza riuscirvi, considerò che da quel momento sarebbe stato meglio per lui fare senza il Papa. Così fece, e inizialmente senza alcuna convinzione protestante. Poi, da qui in avanti qualcosa potrebbe essere cambiato. Ma per far passare un nuovo assetto ecclesiastico in cui al centro della giurisdizione spirituale si trovava il Re e non il Papa, Enrico non poteva contare sugli uomini di Chiesa conservatori né poteva affidarsi a intellettuali conservatori. Per farlo doveva concedere posti e incarichi importanti ai radicali. Il più importante di loro era Cramner. E questo significava che molti di questi erano condannati protestanti. Così si è trattato di una Riforma dettata da ragioni politiche che sviluppò successivamente un suo impeto e fece proseliti. Ma nessuno potrebbe contestare che la Riforma inglese è stata condotta dall’alto. Entro gli anni 40 intere comunità divennero protestanti e ci fu una percentuale sufficientemente ampia dell’élite politica per l’alternanza di potere e per andare in quella direzione. Perciò la Riforma prese piede. Ormai il dibattito sulla Riforma inglese sta scemando. Solo 10 anni fa tutti si insultavano per dire se era qualcosa di deciso dall’alto o dal basso. Oggi dobbiamo riconoscere che si è trattato di un affare imprevedibile dagli esiti incerti a causa dell’incapacità della dinastia Tudor di produrre un erede maschio. Dopo Enrico VIII ci saranno un re bambino e due donne, e ciò significa una grande instabilità. Penso che la maggior parte della gente sia d’accordo nel riconoscere che l’esito della Riforma in Inghilterra non è sicuro fino al 1580. A questa altezza di tempo diventa chiaro che Elisabetta è destinata a regnare a lungo, che è protestante e che non c’è modo di tornare indietro. Così, assai lentamente, molti esponenti delle famiglie aristocratiche getteranno la spugna e si conformeranno.
Lei considera la riforma come un evento o piuttosto come un processo?
No, è un processo. Se lei fosse un parrocchiano cattolico inglese del 1540, il suo monastero locale sarebbe scomparso e la sua chiesa, come conseguenza, avrebbe probabilmente acquistato una vetrata istoriata, alcune statue e qualche paramento sacro, e lei non pregherebbe più per il Papa. Ma fino al 1549 la liturgia resta in latino. Successivamente, con Eduardo VI, si attraversa una fase lunga cinque anni durante la quale le chiese vengono imbiancate a calce, scompaiono gli altari e l’altare dell’Eucarestia è un tavolo poggiato su cavalletti lungo la navata laterale. Una differenza drammatica. Poi con Maria seguono altri cinque anni in cui torna il Messale latino. Infine arriva la giovane e nubile Elisabetta, protestante. L’incertezza era grande. Non è come quando suona un fischio e tutti cambiano improvvisamente. C’è stato un profondo movimento intellettuale che si chiedeva: “Qual è la verità?”, una graduale riflessione di gente che discuteva e molta incertezza e cambiamenti tormentosamente lenti. Alcuni avrebbero voluto una Bibbia scritta in inglese, ma credevano ancora nella Presenza Reale.
Sarebbe difficile mettere una carta di credito tra le posizioni di Melantone e del Cardinal Pole. E poi, ancora una volta, c’è una divisione, che è verticistica e/o voluta dal basso, nei diversi modi di obbedire a Dio: seguendo lo Spirito Santo attraverso l’obbedienza assoluta al Vicario di Cristo sulla terra – secondo Loyola – o indovinandone il volere ascoltando i suoi “santi” o “giustificati” – nelle assemblee e nei sinodi della chiesa calvinista…
Come lei sa, Calvino a Loyola erano compagni all’Università di Parigi.
Effettivamente è possibile avere temi di maturità sulle “Somiglianze e differenze tra Loyola e Calvino”, il che porta alla mia domanda successiva che è la seguente: il fatto che il suo libro “La spogliazione degli altari” sia stato bene accolto, quanto è dovuto alla reintegrazione del Cattolicesimo nell’attuale mito nazionale inglese?
Ebbene, in parte si tratta di questo, in parte è conseguenza della scomparsa della religione come elemento importante dell’identità inglese. Quando è stato pubblicato il mio libro, mi hanno sorpreso due cose. La prima, fino a che punto il volume è stato bene accolto dalla Chiesa anglicana, quando invece io pensavo che ne sarebbero stati turbati e infastiditi. Poi, pensavo che avendo attaccato la Controriforma, non avrei trovato un solo prete disposto a comprarlo. Più in generale, mi ha colpito l’interesse secolare e il fatto che il libro abbia avuto ampie recensioni. E’ successo perché la battaglia della Riforma non ha più niente a che fare con ciò che sente la gente, con la sua identità e la sua eredità. Uno dei primi impatti che ho avuto con questo processo è stato durante una serie televisiva sulla Storia dell’arte britannica, dove la Riforma sembrava fosse stato un incidente che aveva causato la distruzione di molte sculture e la copertura a calce della maggior parte dei nostri affreschi medievali, piuttosto che un fatto religioso che aveva dato forma al carattere inglese.
Tutto questo ha qualcosa a che fare con una convinzione thatcheriana nella preminenza della continuità rispetto ai cambiamenti. Ho notato che i curriculum scolastici ignorano accuratamente sia la Riforma, sia la Rivoluzione di Cromwell.
Penso che gli inglesi non abbiano alcuna coscienza – cosa che invece avevano solo una generazione fa – di quel passato come del loro proprio passato. Tutto il passato è ridotto a un Parco attrezzato che si può visitare per vedere quanto è interessante, che si tratti della Riforma o della Rivoluzione industriale. L’intera storia è ugualmente malleabile, è solo intrattenimento. Lo stesso libro vent’anni fa non avrebbe avuto la stessa tranquilla accoglienza perché la gente non era ancora abbastanza disimpegnata e libera dagli eventi descritti per decidere se erano cose vere oppure no.
Certo, mentre noi diventiamo europei e si assiste a una ristrutturazione delle identità…
Sì, ma c’era anche l’effetto del Cardinal Hume. Un establishment aristocratico alla testa della Chiesa cattolica opposto a una socialmente inetta classe operaia. L’arcivescovo Carey alla guida della Chiesa anglicana ha fatto qualcosa per rendere il cattolicesimo rispettabile. E’ qualcosa di un po’ allarmante per alcuni di noi, mentre una delle cose migliori del cattolicesimo romano inglese della passata generazione era questa tensione a non sentirsi a casa nella cultura, che io penso sia una qualità per una chiesa. Gli offre una sponda critica.
Come mai il cristianesimo non è riuscito a sopravvivere su questa isola, mentre ci è riuscito, ad esempio, in Irlanda?
Questa è una domanda interessante. La Riforma irlandese è stata essenzialmente percepita come qualcosa di imposto dall’esterno. In primo luogo, la monarchia non aveva il potere per imporla oltre la regione Orientale intorno a Dublino, che era l’unica sotto il suo diretto controllo. E a malapena essa ha avuto qualche effetto sugli irlandesi di lingua gaelica. Così, troviamo monasteri celtici che hanno avuto una esistenza indisturbata anche nel XVII secolo. Penso che in Inghilterra il cattolicesimo fosse così integrato nella società che la gente non riusciva ad accettare l’idea che la cristianità potesse chiederti di abbandonare la tua stessa comunità. Uno stava in parrocchia, e il fatto che quasi tutti i preti rimanevano in quello stesso posto dava continuità. Sto scrivendo un libro su un prete chiamato Sir Cristopher Tricky che è stato parroco nella parrocchia di Exmoor, a Devon, dal 1520 al 1574. Un tipo piuttosto conservatore che non amava affatto la Riforma; ma è rimasto al suo posto ed è chiaro che si è trattato di un fattore decisivo per gli abitanti di quel villaggio, che hanno aderito alla Riforma seguendo il principio che “se va bene per Sir Cristopher, va bene anche per me”. Credo che l’elemento chiave dell’intera Riforma inglese sia stato il conservatorismo. Il fatto che la gente voleva rimanere unita coi vicini, lavorare insieme dove i propri padri avevano lavorato e sedere sulle stesse panche della parrocchia dove erano stati sepolti i propri cari. Questa gente credeva che se una cose fosse stata del tutto sbagliata, il proprio parroco non l’avrebbe accettata.
E’ un altro esempio della grande capacità inglese di reinventarsi le tradizioni.
E naturalmente il Prayer Book, a differenza di quanto è accaduto in altri paesi riformati, è rimasto del tutto simile al Rito Latino, solo che era scritto in lingua inglese. La Chiesa Anglicana con Elisabetta divenne una Chiesa Calvinista per quanto riguarda la teologia, ma il suo cerimoniale non era affatto calvinista! Rimanevano tutte le festività maggiori del calendario cristiano e le cerimonie. Era abbastanza per dare l’impressione alla gente che si trattava “dei soliti affari”.
Secondo lei qual è l’attuale attrattiva del cattolicesimo?
Siamo inseriti in un flusso culturale caratterizzato da una grande incertezza sui valori morali. Credo che il cattolicesimo, in particolare grazie a questo Papa così saldo e inflessibile, abbia ancora una grande attrattiva sulla gente. Appare dotato di una robusta colonna vertebrale di convinzioni e di stabilità in un momento in cui la chiesa nazionale appare sempre più confusa e incoerente sia dal punto dottrinale che istituzionale.
E i movimenti hanno una influenza importante sullo sviluppo della chiesa?
Uno degli elementi di forza della chiesa cattolica è sempre stato la curiosa e proficua relazione tra una istituzione centralizzata molto forte e un pentolone ribollente di energie indipendenti. Il giudizio sul movimento francescano ha fatto la vera grandezza di Innocenzo III, un Papa che se da un lato ha agito per mettere sotto controllo ogni anomalia utilizzando il Quarto Concilio Lateranense per imporre la sua particolare concezione della chiesa, dall’altro è stato sensibile al pericolo che avrebbe significato impedire a questi movimenti di esprimersi e al potenziale distruttivo di una camicia di forza troppo stretta. La chiesa cattolica ha avuto la straordinaria capacità di riuscire a mantenere questi movimenti dentro i suoi confini. Credo che oggi ci troviamo nella curiosa situazione di avere un Papa che crede appassionatamente in molti movimenti laicali – come l’Opus Dei – che hanno forma e caratteri gerarchici e clericali. Effettivamente se esistono movimenti laicali, questi devono essere però obbedienti alla gerarchia. Il cardinal Newman ha detto che la chiesa è stata un triangolo di forze tra preti, profeti e re. La dimensione “sacerdotale” è rappresentata da quella parte della cristianità che abbraccia la vita spirituale e di preghiera; quella “profetica” è la parte più intellettuale e teologica e infine la dimensione “reale” è la parte tradizionale e gerarchica. La dimensione reale si occupa del controllo, del governo, delle regole. Le altre due entrano in tensione con la gerarchia e cercano di allontanarsene. Nel cattolicesimo moderno abbiamo avuto un forte spostamento nella direzione “reale”, la quale sta cercando di determinare la vita delle altre due componenti. La linea teologica ufficiale del Vaticano è che la teologia deve essere “cooperativa”, la gerarchia deve esere obbediente e si può essere liberi solo nelle modalità spiritualmente approvate. Io penso che sia importante per ciascun elemento della chiesa sviluppare la propria strada – non allontanandosi dagli altri, ma nemmeno rimanendone assorbito. Così la teologia non deve ridursi a leccapiedi della gerarchia, ma nemmeno essere eccessivamente contagiata dalle emozioni. La dimensione liturgica e di preghiera, che è indubbiamente la più importante nella chiesa, non deve pensare troppo alla gerarchia e alle regole altrimenti andrebbe contro la sua natura. Un sano cattolicesimo si realizza laddove queste tre componenti danzano insieme mano nella mano, ognuna facendo il proprio dovere e cooperando con le altre.
Oggi possiamo dire che la Chiesa cattolica inglese goda di buona salute come agli inizi del XVI secolo – un’altra epoca che ha visto il crollo dell’ordine mondiale?
In termini di vocazioni sono evidenti i segni di un declino istituzionale. I battesimi sono la metà di quelli degli anni ’60, i matrimoni vanno sempre più diminuendo, come pure le conversioni, mentre i praticanti sono circa un quarto del numero presunto dei cattolici nel paese. Se continua così il futuro si prospetta piuttosto buio, come del resto in tutta l’Europa occidentale. D’altra parte c’è un laicato molto preparato e un grado elevato di attivismo. Io rimango persuaso che la chiesa cattolica inglese dovrebbe ricomprendere il proprio ruolo e sviluppare una pastorale che non si riduca a mantenere il ruolo della chiesa nella società, ma che sappia andare incontro a una cultura sostanzialmente pagana. E’ spiacevole che ci siano così pochi vescovi con una qualche pretesa di distinzione intellettuale e teologica. E anche il livello intellettuale dei semplici preti mi sembra sia caduto in basso.
Questa prevalenza di caporali e sergenti sugli ufficiali ha qualcosa a che fare con lo stretto controllo centralistico?
Credo che il punto sia proprio questo. La preoccupazione del Vaticano concentrata unicamente sull’ortodossia dottrinale ha avuto come conseguenza la nomina di un episcopato conservatore e piuttosto timido. Nel complesso ritengo che i preti inglesi siano validi, ma mancano tra di loro persone con coraggio intellettuale. Nell’organizzazione c’è carenza di immaginazione e fantasia. Se mi chiedessero di indicare una delle peggiori deficienze nella chiesa cattolica inglese la individuerei nella mancanza di una visione di quello che dovrebbe essere il nostro ruolo nella società in cui viviamo, una mancanza di fantasia.
Quando chiesero a James Joyce perché non fosse divenuto protestante, quello rispose: “Ho perso la mia fede, ma non l’uso della ragione”. Cosa crede che intendesse dire?
Poiché la cristianità cattolica si estende ancora su tutta la terra e raduna una così grande porzione di umanità, penso che abbia per essi una profondità intellettuale che altre forme di cristianesimo semplicemente non possiedono.
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