Lo strano “pacifismo” dei cattolici texani

Di Lorenzo Albacete
13 Dicembre 2001
Ci sono oggi tutti gli indizi per dire che la stragrande maggioranza degli americani è già pronta a dare il suo sostegno all’apertura di una nuova fase della guerra.

Ci sono oggi tutti gli indizi per dire che la stragrande maggioranza degli americani è già pronta a dare il suo sostegno all’apertura di una nuova fase della guerra. Non c’è invece alcun segno di una qualsivoglia riflessione sui rischi legati all’espandersi troppo precipitoso del teatro delle operazioni belliche, e ancor meno di un qualche esame di coscienza sulle sue implicazioni etiche. Ciò è vero in particolare nella zona dove mi trovavo settimana scorsa, cioè in quel Texas che è anche la patria del Presidente George W. Bush. Per questa ragione ho trovato molto interessante fare visita a un gruppo di persone di Houston impegnate nella causa del “pacifismo”, ovvero gli aderenti del The Catholic worker, movimento fondato nel 1933 da Dorothy Day. Sono laici che conducono una vita di povertà dedita all’assistenza degli emarginati, all’educazione secondo i princìpi della Dottrina sociale della Chiesa e all’assoluta non-violenza. Al tempo della loro fondazione, assai controversa fu la loro difesa del pacifismo, ritenuta contraria all’insegnamento della Chiesa. Cinquant’anni più tardi, i vescovi americani hanno riconosciuto che uno dei contributi più importanti di Dorothy Day è stato proprio quello d’indicare il pacifismo come una posizione legittima per un cattolico. Mark e Luise Zwick, leader della casa dei Catholic Worker chiamata “Casa Juan Diego”, hanno risposto alle mie domande sull’attuale “guerra al terrorismo”. Ho domandato loro se questa guerra non fosse chiaramente in accordo con gli insegnamenti cattolici sulla “guerra giusta”. Mi hanno detto che Dorothy Day non si è mai opposta alla teoria dell’insegnamento sulla “guerra giusta”. La sua idea era che negli scontri armati a lei contemporanei una “guerra giusta” era impossibile, proprio a motivo della definizione che dovrebbe dettarne le caratteristiche. Quando ho osservato che ciò mette in discussione tattiche e strategie, non la giustizia della causa in sé, mi hanno risposto che la causa non si può separare da altri fattori che possono comprometterne la giustezza. Mi hanno anche detto che Dorothy Day non proponeva il pacifismo come unica opzione morale, ma come un elemento nella costruzione di un ordine sociale più giusto. Una tattica nella “guerra contro l’ingiustizia”. A me sembra importante chiarire che il pacifismo cattolico non dovrebbe essere considerato innanzitutto un giudizio etico sulla guerra. È una strada particolare per testimoniare il Regno di Dio come realtà che viene donata e non esito dei nostri sforzi politici, militari o economici. Appartiene allo stesso tipo di testimonianza dei giuramenti di povertà, castità e obbedienza. La scelta della verginità, per esempio, non significa la condanna etica del matrimonio. In un senso analogo, il pacifismo cattolico vuole ricordarci che la pace e la vera giustizia per le quali siamo stati creati non si conquistano attraverso le guerre. Alcuni sono chiamati a darne testimonianza con particolare radicalità, altri ad esprimerlo combattendo in guerra. Sono due modi di stare davanti al Mistero e possono aiutarci a riconoscere quando s’impone un’azione difensiva per contrastare chi cerca di distruggere la vocazione dell’uomo al suo destino trascendente, e a preservare la nostra risposta militare da quelle tattiche che violano la giustizia per cui combattono coloro che non sono chiamati al “pacifismo”.

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