
Lo spread è un imbroglio? No, ma non è l’unico indicatore per valutare la nostra economia
Dall’estate 2011 parliamo di spread. Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi, che a colpi di spread si dimise nel novembre 2011, lasciano stupiti: «Un imbroglio, un’invenzione». Un marchingegno dei tedeschi e di qualche speculatore per metterci in difficoltà. Tempi.it ha chiesto ad alcuni economisti di riferimento il loro parere “tecnico”.
Carlo Pelanda, professore all’Università Guglielmo Marconi di Roma e presso l’University of Georgia di Athens (USA), definisce lo spread come «l’aria che respiriamo, non possiamo farne a meno. Se lo spread peggiora, avremo delle inevitabili ripercussioni sulla nostra economia». Per il professor Pelanda il punto politico è «in chi muove lo spread: un punto delicato perché occorre vedere i movimenti di mercato. L’ultimo rimbalzo in aumento non è stato determinato da investitori esteri, ma dagli italiani che hanno alleggerito le loro posizioni a causa dell’incertezza politica post elezioni. Questi sono i primi “rumors” di mercato arrivati».
ALTRI INDICATORI. Il professor Lanfranco Senn, ordinario all’Università Bocconi, parla di spread come di un dato «assolutamente importante e impossibile da trascurare. Perché indica l’affidabilità di un paese». Tuttavia, aggiunge, «gli è stato dato un peso eccessivo e, soprattutto negli ultimi tempi, abbiamo esagerato». Secondo Senn «esprime solo una parte della realtà e non è il solo indicatore da prendere in considerazione. La vitalità delle imprese e i condizionamenti che ricevono non dipendono dallo spread. Le imprese fanno fatica se non ci sono azione per lo sviluppo. Purtoppo abbiamo la testa nella finanza e non ci rendiamo conto di quanto sia strategica l’economia reale. Riprendiamo coscienza di questo».
NON POSSIAMO ESSERE CONTENTI. Anche per Alberto Quadrio Curzio, professore emerito della Cattolica di Milano, già preside della facoltà di Scienze Politiche e vice presidente dell’accademia dei Lincei, lo spread è un elemento di mercato non trascurabile perché «grava sui conti pubblici e sul credito alle imprese. Per questa ragione ha delle ripercussioni sull’economia reale: non è una mistificazione e tantomeno un’invenzione, ma un elemento con cui bisogna fare i conti perché determina il costo per la finanza pubblica e gli oneri per il sistema produttivo. Quando lo spread si riduce non possiamo che essere contenti».
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