Lo scandalo mondiale dei “Wpath files” e dei minori ridotti a topi da laboratorio transgender

Di Caterina Giojelli
08 Marzo 2024
Corpi senza peli o capezzoli, pseudofalli e vagine. E dolore, atrofia, cancro. Nei file trapelati dalla World Professional Association for Trangender Health la prova regina che non c'è scienza o etica nelle cure gender affirming: i medici brancolano dietro ai desideri di "clienti immaturi"
bambino transgender
Foto di Alexander Grey su Unsplash

Ci vorrà tempo per capire la portata dello scandalo che ha travolto la World Professional Association for Transgender Health (Wpath). La pubblicazione dei “Wpath files” – documenti e conversazioni tenute da medici, terapisti e attivisti su una bacheca di messaggistica interna all’associazione e nel corso di workshop – segna un punto di non ritorno.

Fino ad oggi si poteva parlare di bloccanti della pubertà, ormoni e chirurgia sui minori transgender per rappresentazioni («trattamenti reversibili, testati e sicuri», «scienza consolidata»: dicevano così i sostenitori delle cure di affermazione del genere, tutto il resto era «culture war animata dalla destra reazionaria»). Ora, grazie ai file ottenuti dall’organizzazione di ricerca indipendente Environmental Progress del giornalista Michael Shellenberger e organizzati in un report dalla collega Mia Hughes, conosciamo i fatti. I fatti non li hanno inventati i giornalisti e nemmeno un pazzo conservatore: sono stati i medici a svelarli. Quelli che hanno il bisturi dalla parte del manico.

«Parlare ai bambini è come parlare al muro», «anche voi avete casi di cancro al fegato?»

Il rapporto non si avventura sul piano culturale, né su quello delle interpretazioni. C’è poco da interpretare quando gli stessi luminari della Wpath parlano spregiudicatamente dei loro piccoli pazienti come di cavie del tutto incapaci – così come i loro genitori scarsamente alfabetizzati in materia – di fornire un consenso informato e comprendere le conseguenze degli interventi richiesti. Parlare ai bambini «è come parlare al muro», «vorrebbero una voce più profonda senza peli sul viso o assumere estrogeni senza sviluppare il seno, questo suggerisce una comprensione molto scarsa di come funzioni il corpo umano» (così l’endocrinologo canadese Daniel Metzger). «Diranno che capiscono, ma poi diranno qualcos’altro che ti fa pensare: oh, non hanno veramente capito che avranno i peli sul viso» (la psicologa infantile Dianne Berg parlando di pazienti di nove anni). “Neonati, che schifo”, rispondono i ragazzini ai medici quando vengono informati che verrà compromessa la loro fertilità, che potrebbero volere figli biologici e che la fecondazione in vitro non è una garanzia, «dicono: “Se ne vorrò uno lo adotterò», «La maggior parte dei bambini non ha spazio nel cervello per parlarne davvero in modo serio» ribadisce infastidito Metzger.

Sarebbero questi i pazienti capaci di consenso informato e “questo” consenso il requisito per accedere a interventi che possono causare danni molto gravi? Ancora, dalle conversazioni dei medici: «Colleghi, mi chiedevo se anche voi avete dovuto affrontare lo sviluppo di adenomi epatici […] ho una paziente di 16 anni trattata con noretisterone acetato per diversi anni per ridurre il ciclo mestruale e testosterone. Ha due masse epatiche – 11×11 cm e 7×7 cm – e sia l’oncologo che il chirurgo hanno indicato gli ormoni come causa e raccomandano lo stop del trattamento», «ho un collega che dopo 8-10 anni di testosterone ha sviluppato epatocarcinomi. Per quello che so sono collegati ai suoi trattamenti ormonali» (il collega morì un paio di mesi dopo).

https://twitter.com/jk_rowling/status/1765498437317939263

Un bambino disabile transgender ne sa più di un genitore cisgender

Ancora: «Non credo che ci sia nulla di sorprendente», commentano i luminari davanti ai dati dei “rimpianti” e “pentimenti” per la perdita della fertilità forniti dai ricercatori olandesi (numeri del primo studio a lungo termine condotto sui giovani a cui è stata soppressa la pubertà).

Surreale la conversazione sui bambini con disabilità intellettiva, dove la preoccupazione dei dottori è solo fissare l’età per passare dalla «terapia ormonale all’affermazione di genere». C’è chi fra i medici interviene ricordando che «il principio guida sarebbe soppesare il danno di agire rispetto a quello di non agire» (proprio così, i medici definiscono “danno” l’arresto della pubertà e quello di assumere i bloccanti senza poi assumere anche un ormone steroideo sessuale). E c’è chi – i virgolettati sono di un attivista politico onnipresente sulla piattaforma Wpath – sostiene che «nessuno più del paziente stesso è in grado di prendere decisioni mediche per sé a prescindere dalle capacità intellettive […] Il genere riguarda unicamente l’identità personale e la realizzazione di sé […] Raramente i genitori sono in una posizione migliore per prendere decisioni mediche complesse». I genitori “cisgender” non capiscono i figli “transgender”: al contrario i bambini, pur con gravi problemi di salute mentale o ritardi di sviluppo, possiedono  «quella comprensione intima della propria soggettività di genere» che li pone in una posizione “migliore” rispetto agli adulti (leggi: per prendere decisioni mediche complesse che avranno conseguenze per tutta la vita).

Non c’è un’età per rimuovere un pene, «ma meglio dopo i 14 e prima dei 18 anni»

Ancora: direttamente da Marci Bowers, presidente di Wpath (chirurga di fama mondiale, lei stessa transgender, che prima di presiedere l’associazione aveva tutt’altra idea sui bloccanti della pubertà), scopriamo che qualsiasi limite di età per rimuovere un pene è a suo parere «arbitrario». Lo afferma rispondendo a un medico che chiede consigli su un suo paziente di 14 anni che si identifica come ragazza: vuole che gli siano rimossi pene e testicoli e che gli venga costruita una vagina. Il consiglio di Bowers che ha eseguito oltre 2.000 vaginoplastiche (tra cui quella – a dir poco tragica – della giovanissima star dei reality Jazz Jennings) è di aspettare perché il tessuto è «troppo immaturo, la routine di dilatazione troppo complicata» cosa che porterebbe a «esiti chirurgici problematici».

I ragazzi giovani con la pubertà bloccata e un pene “infantile” non hanno infatti abbastanza tessuto genitale da utilizzare per rivestire la cavità chirurgica che dovrebbe funzionare come una vagina, pertanto il tessuto va recuperato altrove, solitamente dal colon (un esempio di “esito chirurgo problematico” in questo senso è la morte di un 18enne sottoposto a tale intervento in Olanda). Tuttavia Bowers consiglia di non aspettare la maggiore età, anzi, di intervenire comunque prima della fine delle superiori «quando i ragazzi sono ancora a casa loro e sotto la sorveglianza dei genitori».

Giovani al Trans Visibility Day di New York (foto Ansa)
Giovani al Trans Visibility Day di New York (foto Ansa)

Atrofia vaginale, erezioni dolorose, «sensazione di vetro rotto»

Il condizionale è una costante nelle conversazioni dei medici. Così come gli imprevisti, o meglio dire i fatti che mettono in discussione l’impianto dell’approccio affirming. I fatti sono le malattie sviluppate dalle giovani pazienti di cui discutono costantemente medici e infermieri chiedendo consigli e lumi ai colleghi: atrofia vaginale, secrezioni gialle, malattia infiammatoria pelvica (Pid, condizione grave e potenzialmente letale che porta ad ascessi delle ovaie e tube di Falloppio), disfunzioni del pavimento pelvico, ragazze con «spaccature nella pelle che sanguinano e orgasmi dolorosi», maschi che soffrono di «erezioni dolorose», «sensazione di vetro rotto» o scomparsa dell’orgasmo, sanguinamento durante i rapporti sessuali, dispareunia, alta percentuale di pap test anormali.

I medici si confrontano sempre riportando vaghe raccomandazioni e aneddoti, conversando di rimedi per alleviare i sintomi (un dottore racconta che alle sue pazienti consiglia un antispastico che se assunto 30-60 minuti prima dell’orgasmo può alleviare il dolore), o speculando sull’uso di questo o quel farmaco (un’infermiera chiede se qualcuno ha già provato a utilizzare un preparato, nato per trattare l’iperplasia prostatica e la caduta dei capelli nei maschi, per «bloccare la crescita del clitoride», i medici ipotizzano che potrebbe «compromettere la crescita dei peli»).

«La bimba non vuole ciclo né peli. Meglio i bloccanti, gli estrogeni o il testosterone a basso dosaggio?»

Altra costante: l’improvvisazione. C’è chi dice che ha iniziato a sperimentare un “sottodosaggio” così da esaudire pazienti che non vogliono il ciclo ma nemmeno essere completamente “viralizzate”, chi racconta di una bambina che da due anni prende i bloccanti ma è indecisa su come “procedere”: non vuole avere le mestruazioni ma nemmeno i peli e non sa se vuole un seno o meno, «dunque avremo più beneficio continuando a farle assumere bloccanti o lasciando che ritorni agli estrogeni endogeni? O è meglio farle assumere testosterone a basso dosaggio o altro? E in quale momento?», chiede il medico ai colleghi ricordando che bisogna essere «creativi» quando si aiutano i pazienti ad affrontare “queste situazioni”.

Metzger dice di aver presentato ai suoi pazienti tredicenni la transizione all’altro sesso «come un viaggio»: sono loro a decidere cosa fare, aiutati dal medico che li accompagna incalzandoli ad ogni appuntamento, «cosa volete fare con i vostri ormoni?».

Che fare dei «clienti» (sic) transgender con gravi malattie mentali

Lo scorso maggio un chirurgo colombiano non sapeva come procedere con un 14enne che voleva una vaginoplastica. Una collega che aveva eseguito 20 vaginoplastiche su pazienti sotto i 18 anni (sic) confessava: «non tutti… hanno avuto risultati perfetti» ma «vivono (presumibilmente) felici e contenti». Il riferimento è una complicanza chiamata stenosi vaginale, una delle tante che possono verificarsi dopo la vaginoplastica. Il “presumibilmente” è riferito al fatto che – come attestato da molti altri messaggi – non esistono follow-up sistematici dei pazienti: nonostante siano stati sottoposti a una chirurgia invasiva e sperimentale che richiede un decorso faticosissimo (due ore di dilatazione post-operatoria ogni giorno per lungo tempo) il “viaggio” si conclude in fretta per i medici. Tuttavia, continua la chirurga, «l’estate prima dell’ultimo anno delle superiori» è il momento migliore per operare.

Per il resto i chirurghi non sembrano assolutamente interessati a cosa succeda ai loro ragazzini dopo l’operazione. C’è chi contesta perfino un limite di BMI per intervenire: negare la mastectomia bilaterale a pazienti obese è per questi «grassofobia sistemica» (è elevata la presenza di disturbi alimentari nei pazienti trans). A chi si chiede invece se i «clienti» (sic) con gravi malattie mentali siano in grado di aderire ai «protocolli di dilatazione post-chirurgica» viene fatto presente che «come professionisti dell’affermazione di genere, consideriamo sempre la riduzione del danno come il nostro obiettivo principale», il che significa che è necessario chiedersi «cosa accadrà a questi pazienti se NON si sottopongono al trattamento affermativo, che è anche una necessità medica».

Interventi di “annullamento del sesso” o per un “secondo set di genitali”

C’è spazio anche per la condivisione di materiale sui detransitioners. Fenomeno minimizzato in quanto per i medici la detransizione «fa parte del viaggio» alla scoperta del genere,  anzi: la scoperta di «cose ​​nuove sul tuo genere o su ciò che desideri dalle tue cure mediche dovrebbe essere qualcosa da celebrare, e non dobbiamo vederlo come un errore che è stato commesso».

Foto di Aiden Craver su Unsplash
Una ragazza dopo una doppia mastectomia (Foto di Aiden Craver su Unsplash)

Consenso anche sul fatto che gli adolescenti confondano l’omosessualità con l’identità di genere e, soprattutto tra i membri più giovani, sul fatto che il genere e le decisioni in materia siano qualcosa di non definito che può «cambiare nel tempo». È l’anticamera della transizione su richiesta. Gli ultimi Standard di cura pubblicati dalla Wpath somigliano infatti a una lista della spesa che assembla interventi cosmetici rischiosi e invasivi, descrivendoli come necessari dal punto di vista medico, che si estendono fino all’operazione di “annullamento” del sesso.

“Annullamento”, sì, un intervento per creare un’area genitale dall’aspetto liscio e asessuato. Ci sono anche gli interventi “bi-genitali” che comportano la creazione di un “secondo set” di genitali. Non manca il capitolo sugli eunuchi che cercano la castrazione chimica o chirurgica come mezzo per affermare la loro “identità eunuca” e relative conversazioni su come eseguire queste procedure “non standard”.

Vuole sedersi mentre urina?

Conversazioni in cui è del tutto assente qualsiasi considerazione o preoccupazione etica sulla ratio dell’intervento chirurgico: distruggere organi riproduttivi sani per ricreare caratteristiche anatomiche “su misura” che non esistono in natura. Come quelle richieste a un rinomato chirurgo californiano, operazioni di «chirurgia superiore senza capezzoli, annullamento e vaginoplastica con conservazione del fallo».

Per avere usato queste parole il chirurgo è stato accusato da membri del forum, alfieri dei tratti sessuali «degendering», di linguaggio «cisgenderista». Quanto alle procedure “non standard” un collega sottolinea che i punti da chiarire col paziente prima di eseguire operazioni alla fine sono due: se desidera o meno l’orgasmo e se vuole sedersi mentre urina.

L’assurdo paragone tra cure transgender e l’insulina salva-vita

È come per «il diabete a esordio infantile», concludono gli esperti sull’incapacità dei ragazzini di realizzare a cosa andranno incontro, «non devi comprendere tutto quello che l’insulina ti farà per dare un consenso informato» alle cure transgender. Peccato che, se non trattato, il diabete uccida, che l’insulina non provochi sterilità permanente né influisca sulla vita sessuale, che sia un trattamento basato su solide prove scientifiche che i benefici superino di gran lunga i rischi. Soprattutto, l’insulina è un farmaco salva-vita. Le cure per l’affermazione di genere no. Nonostante il teorema degli attivisti (“preferisci un figlio vivo o una figlia morta?”) il rischio suicidio dei pazienti non medicalizzati è stato ampiamente smentito – nel report si dà conto di tutto.

Questo è infatti solo un assaggio dei “Wpath files”. In cui troviamo fatti, non solo quelli riconosciuti candidamente dai medici (vaginoplastiche su minorenni, testosterone dai 13 anni, bloccanti a 10 anni, procedure avviate su disabili, procedure irreversibili una volta avviate). È un fatto che la Wpath si presenti al mondo come la più grande organizzazione scientifica millantando Standard di cura fondati sulla migliore scienza disponibile e sul consenso professionale degli esperti, ma  anche un fatto che di scientifico in tutto questo non ci sia nulla.

Le bugie sulla medicina transgender. E i fatti

La copertina del numero di marzo 2024 di Tempi, dedicata ai danni delle cure con farmaci per “bambini trans”
La copertina del numero di marzo 2024 di Tempi, dedicata ai danni delle cure con farmaci per “bambini trans”

È un fatto che i medici pratichino la medicina transgender, inclusa la sperimentazione ormonale e chirurgica su minori e adulti vulnerabili, in modo arbitrario. È un fatto che negli ultimi decenni i suoi standard di cura siano diventati il modello sanitario della medicina di genere di governi, associazioni mediche, sistemi sanitari pubblici e cliniche private in tutto il mondo, compresa l’Oms, ma è anche un fatto che questi famigerati “Standard” (da leggere a questo proposito l’introduzione che contestualizza la storia della Wpath, nata dalla Harry Benjamin International Gender Dysphoria Association, e per soppiantare l’approccio medico con quello ideologico) siano stati rimossi i capitoli sull’etica e i requisiti di età minima per i bambini che iniziano bloccanti della pubertà o interventi chirurgici di riassegnazione del sesso.

È un fatto che la pecetta di “trattamento reversibile” sia stata affibbiata ai bloccanti quando la sperimentazione era ancora in fase iniziale (anzi, come leggerete, chiamarla anche solo “fase embrionale” sarebbe un eufemismo) e trarre conclusioni fosse ancora impossibile. Ed è un fatto che gli attivisti abbiano soppiantato il mantra della “cautela” e la necessità di psicoterapia con il famigerato “Modello di cura del consenso informato” (due anni dopo la richiesta del Wpath di “depsicopatologizzare la varianza di genere in tutto il mondo”).

Non basterà un’operazione di cancellazione

È un fatto che questo modello, basato sulla distruzione dei sistemi riproduttivi sani, l’amputazione dei seni sani e la rimozione chirurgica dei genitali sani, produca danni. Ed è un fatto – come ampiamente documentato nel servizio di copertina di Tempi di questo mese – che non ci sia nessun “consenso” degli esperti, soprattutto dei pionieri dell’approccio gender affirming, sul considerare le cure di genere come prima e unica linea di trattamento per i minori e i malati di mente con disforia, evitando qualsiasi tentativo di conciliare il paziente con il suo sesso di nascita.

Ed è un fatto che tutte queste cose siano state dimostrate da loro: i medici con il bisturi dalla parte del manico. Ci vorrà tempo, ma questa volta non sarà un’operazione ideologica a cancellare i fatti.

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