
La preghiera del mattino
L’ipotesi Berlusconi al Colle e l’egemonia che piacerebbe a Speranza

Sulla Zuppa di Porro Corrado Ocone scrive che «Enrico Letta in un’intervista televisiva non si è accontentato di dire che per il Quirinale bisogna individuare “un candidato con le caratteristiche di Mattarella”. Ha aggiunto che “il massimo” sarebbe se fosse proprio l’attuale presidente della Repubblica a succedere a se stesso. Non sono parole dal sen fuggite: Letta non parla quasi mai a caso su questi argomenti, che sente vitali per il sistema di potere che gira attorno al su partito. In un colpo solo, il segretario democratico ha messo da parte ogni galateo istituzionale, compresa la regola (a cui pure si era richiamato altre volte) di non tirare per la giacchetta il Capo dello Stato, e in poche parole ha esplicitato la sua strategia». Lettino e strategia? Non si tratta di un ossimoro?
Su Dagospia si riporta un articolo di Marcello Sorgi sulla Stampa nel quale si scrive: «È proprio l’eventualità, che giorno dopo giorno acquista consistenza, che Berlusconi possa riuscire, che potrebbe spingere Mattarella a un ripensamento sul bis». Dopo che contro Silvio Berlusconi si è scatenata la giustizia a orologeria, oggi agirebbe anche un Sergio Mattarella a orologeria. Ma quel che scrive Sorgi non è sul filo del vilipendio?
Su Huffington Post Italia Angela Mauro scrive sulle elezioni del prossimo presidente del parlamento europeo: «Ma è chiaro che più Metsola si allarga a destra, più si riducono i suoi consensi a sinistra». E sarebbe un peccato se dopo l’era iperconsociativa della grande imbrogliona Angela Merkel anche nelle istituzioni europee si affermasse una vera dialettica politica?
Su Startmag Michele Arnese riporta questo tweet di Gaetano Quagliariello: «Berlusconi? Un leader di partito non ha il requisito essenziale per diventare presidente della Repubblica». Boh? Una tesi bizzarra: Luigi Einaudi non era il leader del partito liberale quanto la “metà” del parte liberale (l’altra metà era di Benedetto Croce). Antonio Segni era senza dubbio uno dei leader fondamentali della Dc quando salì al Quirinale. Per non parlare di Giuseppe Saragat: i militanti del Psdi venivano chiamati saragattiani.
Su Startmag Francesco Damato scrive riferendosi a un’intervista dell’ex deputato di Gallipoli al Manifesto: «”Un’esplosione di spirito antidemocratico”, sottolineato col colore rosso dal quotidiano ancora orgogliosamente comunista. Ma in rosso allarme, diciamo così, è anche la parte pur meno vistosa del titolo di prima pagina in cui si fa dire allo stesso D’Alema che “il lavoro di Draghi al governo non è finito”, né andrebbe interrotto. Come si concilino i due concetti è francamente difficile capire e tanto meno spiegare». Mario Draghi espressione di un’esplosione di spirito antidemocratico che dovrebbe completare il suo lavoro? La posizione certamente un po’ spericolata proviene da un politico che dopo aver fatto l’amerikano alla fine degli anni Novanta, è oggi diventato molto pechinese, non solo nel manifestare il carattere sempre più ringhioso di certi botoli, ma anche per l’attenzione alla luminosa concezione democratica dei seguaci di Xi Jinping.
Su Atlantico quotidiano Andrea Venanzoni scrive: «Sono in fondo le aspettative nutrite dal ministro Speranza che nel suo libro, frettolosamente ritirato dal commercio, ha intravisto le sfumature di una opportunità per il ritorno su vasta scala della egemonia della sinistra». Come al solito l’analisi che troviamo su Atlantico quotidiano è intelligente e articolata, batte sul tema che la pandemia non deve essere sottovalutata ma va affrontata con un senso della misura che serva anche a salvaguardare le istituzioni democratiche da derive volontariamente o meno autoritarie. Tutto molto interessante. Forse però scambiare Roberto Speranza per un nuovo Vladimir Ilic Lenin è un po’ esagerato. Almeno un po’.
Sulla Zuppa di Porro si scrive a proposito di Emmanuel Macron e gli aerei Rafale venduti agli Emirati arabi: «Chi predica una gestione dello Stato affidata a tecnocrati che vogliono abolire sia la destra sia la sinistra, dovrebbe riflettere su quale sarà poi la base concreta e reale del loro potere».
Su Dagospia si riporta un articolo di Giacomo Amadori sulla Verità nel quale, in merito alle indagini sulla Gedi per presunte irregolarità sui prepensionamenti di giornalisti, si scrive: «I De Benedetti, che non risultano indagati, non sarebbero, però, stati messi a conoscenza degli escamotage illeciti con cui sarebbero stati raggiunti gli obiettivi da loro prefissati». Due i commenti raccolti: «Finalmente qualcuno che poteva non sapere», e «Editori a loro insaputa?».
Su Dagospia si riporta un articolo di Anais Ginori sulla Repubblica in cui si scrive: «Le scuole francesi si bloccano per lo sciopero nazionale indetto da sindacati di insegnanti ma anche da presidi e associazioni genitori. Una mobilitazione storica per contestare la ”confusione” dei protocolli imposti dal governo. Allo sciopero ha aderito il 75 per cento degli insegnanti della scuola primaria mentre l’adesione è del 62 per cento alle medie e ai licei». In Francia, innanzi tutto nelle scuole, il profumo Arrogance va sempre meno di moda.
Su Linkiesta Francesco Cundari scrive: «C’è poi il fatto che la composizione del prossimo parlamento, e della successiva platea dei grandi elettori, sarà molto diversa, per l’entrata in vigore della sciagurata riforma costituzionale sul taglio dei seggi. Per questi motivi, dunque, sembrerebbe molto ragionevole una scelta che avesse anche il significato di una proroga». Anche Cundari si perde nel magnifico labirinto circolare inventato da Michele Ainis: «Siccome con il taglio dei parlamentari le Camere sono oggettivamente delegittimate, rieleggiamo presidente quello che ha lasciato, senza mai intervenire, che le Camere si delegittimassero».
Su Strisciarossa Paolo Branca scrive: «L’istinto di sopravvivenza del Parlamento può fare anche il miracolo (un presidente davvero autorevole e condiviso) ma è meglio non farci troppo affidamento». Bei tempi in cui si confidava nel senso di responsabilità nazionale di parlamentari rappresentanti di una Repubblica nata dalla Resistenza, adesso ci si affida all’”istinto di sopravvivenza”. Come dicono i grillini: dateci almeno un altro anno di indennità (e indegnità).
Sul blog di Beppe Grillo Gianni Girotto scrive: «Il Governo deve opporsi, in tutte le opportune sedi a livello europeo, all’Atto delegato complementare su nucleare e gas naturale e valutare se vi siano elementi per contestarne l’adozione dinanzi alla Corte di Giustizia europea. È quanto chiediamo nella mozione appena presentata, che mi vede come primo firmatario insieme a tutti i componenti del Gruppo MoVimento 5 Stelle Senato». Le insensate posizioni grilline sull’energia che già tanti problemi hanno causato all’Italia (dalle trivellazioni al Tap) sono uno dei principali motivi che spingono a terminare l’esperienza di governi di unità nazionale. Si trovino i necessari accordi bipartisan per il contrasto alla pandemia e per realizzare gli investimenti previsti dal Pnrr preparato dal governo Draghi e poi si vada al voto. E se gli elettori vogliono un avvenire al buio e al freddo, votino pure per i 5 stelle
Su Fanpage Annalisa Girardi scrive: «Poliziotti in protesta per il colore delle Ffp2 ricevute. Mascherine di colore rosa che, secondo il Sap (Sindacato autonomo della polizia) sarebbero indecorose e pregiudicherebbero l’immagine dell’istituzione». La vie en rose et la police en gris?
Su FirstonLine Ernesto Auci scrive: “E il rinnovamento appare finalmente avviarsi con il patto federativo tra Azione di Carlo Calenda e Più Europa di Bonino e Della Vedova” Tanto tuonò che piovve. Molti auguri ad Auci per questa acquetta politica sterile che il cielo di gennaio gli ha regalato.
Su Affari italiani Andrea Deugeni scrive: sullo scontro all’interno delle Generali” A quanto risulta, i prossimi 10 giorni saranno decisivi anche per l’individuazione del ticket di vertice e del piano da parte dei Pattisti che alzeranno il velo sulla propria lista a metà febbraio, immediatamente un minuto dopo che avrà preso forma la versione ridotta della lista del consiglio uscente (da presentare poi in forma definitiva a marzo)”. L’impasse dell’Italia, il suo essere “sospesa” sono ben rappresentati dallo scontro interno a due delle istituzioni finanziarie fondamentali della nostra economia (le Generali e Mediobanca) che avviene in un atmosfera surreale nella quale né i media né la politica scelgono di spiegare se preferiscono un sistema gestito da manager autoreferenziali o se i protagonisti dell’economia reale possano avere un loro decisivo peso.
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