
A Cair Paravel
L’imperfetto splendido epilogo di Silvana De Mari
È finalmente nelle librerie “L’ultima profezia del mondo degli uomini – L’epilogo”, di Silvana De Mari, edito da Fanucci, capitolo conclusivo della saga dell’Ultimo elfo. Per quel primo libro l’autrice casertana ricevette il premio Andersen, il Bancarellino e un’infinità di riconoscimenti all’estero. Per il sequel “L’ultimo orco”, le fu conferito il prestigiosissimo Premio IBBY (International Board on Book for Young Peolple).
Va subito detto che la letteratura fantastica di Silvana De Mari non si nutre di ideali posticci o larvali, come spesso avviene quando si pensa che basti poco a conquistare un pubblico giovane, ma nasce da una solida rabbia e da una altrettanto solida fiducia nell’uomo, creatura imperfetta e incline alla dimenticanza di sé, eppure segnata da un’originaria positività, che emerge caparbiamente, per quanto soffocata e repressa, nella forma di amore per la Bellezza.
In quest’ultimo romanzo gli assi portanti della sua poetica ci sono tutti. In primis i bambini. Tutti i libri partono da una figura di bambino, destinato a diventare adulto pagina dopo pagina, senza fretta però, perché il mondo visto dagli occhi dei più piccoli piace molto all’autrice, che ha una capacità fuori dal comune di immedesimarsi nel loro punto di vista, di indovinarne la percezione delle cose e di emularne le reazioni e il linguaggio. Gli altri temi sono il dolore, la miseria, la morte, la violenza gratuita e, sommersa da tutto lo squallore del mondo, una forza viva, latente, che preme per emergere e scuote la terra a intervalli: il ricordo di un rapporto con l’Infinito. Ne sono traccia oggetti come una trottola che disegna la spirale aurea o pratiche come la scrittura e la musica o anche l’agricoltura e la pesca, descritte quali attività che legano l’uomo al Creatore, perché gli consentono di continuarne l’opera.
La storia inizia tra gli Yurdioni, il popolo che ha rinunciato a coltivare la sua umanità e si è imbestialito assolutizzando un particolare: la guerra. In mezzo a tanta brutalità, spuntano però dei “diversi”, personaggi che portano i segni di una discendenza “anomala” nella sillaba finale del nome e in quella trottola ereditata da madri disobbedienti. Chiunque riceve la trottola non è più come prima, perché ricevere un dono lo fa sentire amato. Poi c’è una strana propensione ad affezionarsi ai consanguinei, a stupirsi di fronte alla realtà, a essere curiosi del nuovo e ad apprezzare la bellezza… Questi personaggi, macchioline apparentemente insignificanti nel sordido mondo yurdione, saranno i portatori della rinascita. Sull’altro fronte sta il popolo invaso, allibito, che si era adagiato sul comodo cuscino del quieto vivere, che aveva abbassato le difese e aveva lasciato che altri combattessero contro il nemico considerandolo sempre troppo lontano per preoccuparsene. Anche tra costoro la memoria è stata cancellata troppo facilmente e solo chi, a costo della vita, ha mantenuto almeno la capacità di leggere, pone ancora fiducia nelle antiche profezie, oltre ad aver conservato la facoltà di saperle decifrare.
Una letteratura così può risultare ostica per un ragazzo (età di lettura dai 12 anni), ma solo perché spesso i giovani lettori amano scivolare sugli agevoli pendii erbosi di una narrativa nota e stereotipata e, soprattutto da un punto di vista stilistico, assolutamente priva di qualsiasi dosso. Di ostacoli naturali questo libro, invece, ne ha più d’uno, ad esempio i personaggi muoiono. Quando le cose si mettono male, come avverrebbe nella realtà, anche i protagonisti muoiono. Non ci sono improbabili colpi di scena, perché nel mondo si Silvana De Mari non sono necessari: una vita spesa per salvare la donna che si ama o il popolo cui si appartiene, è una vita compiuta e, se pur con gran dolore di chi rimane, può essere restituita.
Qualche parola sulla prosa. Inconsueta: ironica e epica insieme. Intrisa di metafore in tono con il contesto e vivacizzata da un linguaggio spesso molto moderno. Rifugge la suspense o almeno non la cerca spasmodicamente, questo a volte penalizza un po’ il ritmo e spiazza.
Una parola sull’editing: frettoloso. La mia personale sensazione è che il revisore abbia mancato di coraggio o di visione d’insieme, finendo col lasciarsi dietro parecchie ripetizioni e qualche sbavatura nello svolgimento dell’intreccio, che non credo siano volontari e vanno a creare qualcuno di quei dossi… Detto questo, credo che tali ostacoli siano in ogni caso superabili persino da un dodicenne, sullo slancio di una lettura motivata. E credo soprattutto che ne valga la pena.
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